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Domenica 16 luglio è stato siglato a Tunisi l’ormai famoso “Memorandum Tunisia – Unione Europea”. Gran commis Giorgia Meloni, ritratta in tutte le pose sorridenti e stringimano possibili. Il nome “memorandum” evoca il patto siglato con le milizie libiche e fior fiore di criminali vari di quel disgraziato paese, dal governo italiano nel 2017, per volere di Minniti. Sarebbe bastato questo per suggerire a un ghost writer avveduto, di usare un altro termine.

Comunque sia, lasciando da parte la propaganda e le foto opportunity, la prima cosa che salta agli occhi scorrendo il testo, al capitolo “Migrazione e mobilità”, è quel rifiuto da parte della Tunisia, scritto nero su bianco, di diventare futuro luogo di centri di detenzione per migranti respinti e deportati dall’Europa. Dei “cinque pilastri”, come li hanno definiti, che compongono il memorandum, è inutile che Giorgia Meloni, Ursula Von Der Layen e l’olandese Rutte, tentino di nascondere il fatto che proprio questo era quello portante.
Gli accordi sulla “stabilità macro – economica”, sulla ’”economia e il commercio”, sulla “transizione energetica verde” e sul ”unire le persone”, altro non fanno che da contorno al piatto forte, quello di cui italia ed europa hanno “fame”: come bloccare le persone migranti prima che arrivino sulle coste continentali, e come far diventare la Tunisia, un paese terzo da poter utilizzare come il Regno Unito vorrebbe utilizzare il Rwanda. Un paese in grado di detenere il numero sempre più alto di respinti che si annuncia con la ulteriore restrizione del diritto di asilo, contenuto del nuovo “Patto su Migrazione e Asilo” già sottoscritto dai ministri degli interni dell’Unione e in via di approvazione definitiva a Bruxelles.
L’approccio “non predatorio”, la formula “radicale” usata da Meloni per tentare di occultare l’impostazione “leggermente” neocoloniale che trasudano viaggi e tramestii nei paesi mediterranei dell’Africa, nel Memorandum è diventato “approccio olistico” sulla migrazione. Un’abbondante retorica illustra i vantaggi per lo sviluppo dei paesi, rappresentati da un rapporto corretto con il fenomeno migratorio, nello spirito migliore dei padri costituenti e bla bla bla.
Come quando si tira di fioretto, i ghirigori attorno al corpo del nemico, quasi a definirne dolcemente i contorni, preparano l’affondo, dritto al cuore. E infatti, dopo questi olistici bla bla bla, uno sprazzo di verità si affaccia tra le righe: il patto serve a “stroncare la migrazione irregolare”.
Per uno che voglia vedere la realtà, la stessa che ha costretto obtorto collo la “campionessa dei blocchi navali” e della “difesa dei confini a ogni costo”, a fare i conti con mille sbarchi al giorno e 75mila arrivi da inizio anno, la “migrazione illegale” è inversamente proporzionale ai canali di accesso e agli strumenti di protezione ed asilo che noi offriamo.

Più si chiude la possibilità per donne, uomini e bambini, per famiglie divenute erranti per costrizione, di avere il modo di migrare dove scelgono di voler provare a vivere, e più aumenterà la “migrazione illegale”.

Migrare, un diritto umano riconosciuto nella Dichiarazione Universale, non può essere “illegale”. E soprattutto, le persone che migrano non possono essere illegali. Nessun essere umano è illegale.

E dunque tutto questo Memorandum, la sua filosofia di fondo, rivela il vero scoglio culturale sul quale alla fine rovinano, sbattendo addosso alla realtà, tutti i condottieri a parole che il Mediterraneo ha conosciuto in questi ultimi anni. Le persone arrivano, provano, insistono, usano ogni mezzo possibile per tentare di fuggire da situazioni assurde e insostenibili, che non hanno scelto nemmeno in minima parte.
Il Memorandum, così olistico, partorito una domenica di luglio a Tunisi, va letto bene: quello “stroncare” diventa fare la guerra alle persone che migrano. Il nemico, sui quali contorni il fioretto indugiava prima di puntare al cuore, alla fine sono le donne, gli uomini e i bambini.
E certo, il tutto va letto in maniera assolutamente olistica: la transizione energetica “verde” di cui si blatera, andrebbe messa insieme al tema delle concessioni a favore dei colossi europei del “nero” petrolio e del gas, che pompano dal sottosuolo miliardi di extraprofitti in cambio di pochi spiccioli per chi li ci abita.
O la “valorizzazione della società civile”, capitolo incredibile e davvero da leggere, dovrebbe essere raffrontata allo scioglimento in Tunisia di ogni cosa democraticamente eletta, all’arresto degli oppositori politici e dei giornalisti scomodi, al potere concentrato su un solo uomo, grazie a un referendum farsa celebrato senza popolo.
Kaïs Saïed, altissimo presidente dittatore, non vuole solo milioni di euro o dollari per evitare che una guerra civile di gente affamata lo spazzi via. Bisogna nutrire anche la sua vanità, il suo ego, come quello dei molti capi di stato e di governo africani convocati a Roma per il loro momento di notorietà.
Saïed è un’autocrate che per prepararsi alla firma del Memorandum, ha fatto catturare casa per casa 1200 migranti che abitavano in Tunisia, e li ha fatti deportare in due diversi pezzi di deserto, uno al confine con la Libia e uno al confine con l’Algeria. Sono morti a decine, bambini, donne incinte, di sete, di caldo del giorno e di freddo della notte.
Sorridevate per quello nelle foto con lui, cari rappresentanti della civiltà cristiana e democratica europea? Certo, perché Saïed ha detto, nonostante foto e video che hanno fatto il giro del mondo, che si tratta di “fake news” delle Ong. Sempre lui, nel discorso di febbraio con il quale ha dato il via alla campagna di odio razziale contro i “neri”, parlava di un piano per la sostituzione etnica in Tunisia. Viene il dubbio che questo stretto rapporto tra Italia e Tunisia, preveda la condivisione tra i due governi anche dei responsabili della comunicazione.
Ma comunque, tutto si muove nel Mediterraneo. Le navi del soccorso civile ci sono e aumentano, nonostante il tentativo di criminalizzazione e di sabotaggio con i “porti lontani”.
La Geo Barents ha effettuato 11 operazioni di soccorso in sequenza, coordinata dalla Guardia Costiera italiana. La Libia, per far vedere che è cambiata, si è intestata il salvataggio alla frontiera con la Tunisia, nel deserto, di parte dei deportati abbandonati da Saïed. Speriamo che ora non li “accolgano” in un lager. Il Parlamento Europeo ha votato per acclamazione una mozione in cui chiede una missione di soccorso in mare europea. Salvini parla di tasse, perché non sa come spiegare agli elettori cornuti di Pontida, che il “suo” governo ha fatto il decreto flussi per migranti in ingresso per lavoro, più grande da dieci anni, per mezzo milione di migranti.  La rozza e brutale “dottrina Minniti”, a causa della quale tanti e tante sono stati uccisi e violentati nei lager in questi anni, o sono morti in mare, sembra lasciare il passo ad una più raffinata strategia “olistica” di parternariato come si deve.
E nel frattempo, perché tutto si muove, non solo i giochi elettorali e geopolitici fatti sulla pelle dei più disperati, le reti dei rifugiati stanno organizzando un contro vertice a Roma. Da una parte i capi di Stato africani, dall’altra gli africani. C’è un “underdog” con cui fare i conti sempre, cara Giorgia.

(pubblicato sulla pagina Fb dell’autore)

In copertina: Tunisi 19.07/23: la stretta di mano tra il Presidente del Consiglio italiano  Giorgia Meloni e il Presidente Dittatore tunisino Kaïs Saïed dopo la firma del Memorandum (foto da Avvenire)

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Luca Casarini

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