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Ieri pomeriggio su Rai 3 c’era Lucia Annunziata. Mezz’ora in più: mezzora d’aria, breve pausa di riflessione nel rissoso nulla politico televisivo. Perché Lucia – scuola Manifesto, poi corrispondente e columnist nei grandi giornali, persino una parentesi da presidente della Rai per 15 mesi – è di gran lunga la giornalista televisiva in circolazione più brava, intelligente, preparata. Rispettosa delle posizioni dei suoi ospiti, senza rinunciare al duro contraddittorio e al registro ironico.
Dunque la puntata di Lucia Annunziata; che consiglio a tutti, anche ai tanti che la televisione l’hanno eliminata portandola all’isola ecologica, ma che possono seguirla su raiplay: Mezz’ora in più – puntata del 15/01/2023
Questa volta Lucia Annunziata, dopo un benzinaio e dopo Gianfranco Fini, si dedica al Pd e alla sua crisi d’identità. E per farlo sceglie una domanda impegnativa per i suoi ospiti, non un commento o una previsione sulle prossime (abbastanza scontate) primarie di un ex grande partito da tempo in caduta libera, ma un quesito più radicale. La domanda di Lucia suona più o meno così: “Cos’è che non va oggi nel partito, cosa gli manca, quando e perché ha smarrito la diritta via?”
A rispondere, 3 pezzi importanti della storia del partito. Mario Tronti (91 anni), esponente dell’area operaista, da sempre in polemica con l’altro operaista illustre, Alberto Asor Rosa, morto la settimana scorsa. Claudio Petruccioli (81 anni) erede dell’ala migliorista di Giorgio Amendola e Giorgio Napolitano, giornalista, superdeputato e dirigente del Partito Comunista (e seguenti sigle) dagli anni ’70 in poi. E infine Rosy Bindi (71 anni), ex democristiana con in mente Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira e Tina Anselmi, poi tra i fondatori dell’Ulivo di Romano Prodi e del novello Partito Democratico lanciato in pompa magna da Walter Veltroni nel 2007.
Poco mi aspettavo, e niente di nuovo e interessante è arrivato dai primi due ospiti. Sia Tronti, perso nella confusione senile, sia Petruccioli, baldanzoso e sempre un po’ arrogante, hanno raccontato qualche pezzo di storia del partito (la loro storia soprattutto) ed evitato di rispondere alla domanda di fondo. Entrambi esponenti della destra del partito (anche se la tradizionale destra migliorista e stata diversa della destra falsa-sinistra operaista), non erano neppure in grado di cogliere una domanda che invitava a scavare in profondità, nel rapporto tra partito e società, passione e programmi. Potevano parlare solo di nomi, organigrammi, alleanze, strategie e tattiche parlamentari… Così è stato.
Rosy invece delle cose da dire ne ha eccome. E sono cose scomode. Sembra così tranquilla e rilassata, ripresa nel salottino di casa sua con un vaso di fiori alle spalle, ma appena Lucia Annunziata le cede la parola, torna in campo la leader appassionata e coraggiosa di sempre; e questa volta la sua analisi degli errori e dei tradimenti del Pd è implacabile, quasi crudele. Il suo partito l’ha già messa in pensione, ma è da lei – purtroppo solo da lei, non vedo nessun altro – che dall’interno del partito viene una critica capace di interpretare il sentimento diffuso, lo sconcerto di milioni di ex elettori.
Rosy Bindi parla a ruota libera. Della incapacità del Pd di rappresentare il nuovo. Della tiepidezza del partito a dare battaglia sui diritti. Della sua lontananza dai nuovi bisogni e nuovi movimenti, in particolare da quel grande moto di coscienza che si esprime nel movimento per la pace (c’era anche lei il 5 novembre a Roma, confusa in mezzo ad altri 140.000, e subito riconosciuta, accolta, applaudita da tutto il corteo). E ricorda l’impegno quotidiano di migliaia di volontari – tantissimi i cattolici democratici – contro i respingimenti, per l’accoglienza e i diritti di cittadinanza. Di come il partito anche sull’immigrazione abbia traccheggiato, senza il coraggio di scegliere la parte dei deboli. Di come anche la lotta alla povertà e contro l’ineguaglianza sia stata messa in sordina, derubricata dalla lista degli obbiettivi.
E il partito? Dice Rosy Bindi: “Quello che impressiona in questa fase” congressuale “è che si discuta di regole e di voto online ma non si ha il coraggio di dire ai candidati se questo Pd hanno intenzione di riformarlo o rifondarlo […] E se lo rifondano che partito vogliono fare? Da che parte vogliono stare? In nome dell’unità, che è un valore sacrosanto, si rischia ancora una volta di non fare alcuna scelta”.
Quale scelta? la scelta di stare a sinistra, di “fare la sinistra”. Di raccogliere ed interpretare quella diffusa domanda di cambiamento, di giustizia, di sinistra che cresce nel paese e che invece il Partito Democratico nemmeno riesce a vedere. Con grave danno per tutti perché, conclude Rosy Bindi: “Io so che senza il Pd non si fa la sinistra in Italia”.
Non ho mai votato Pd, ma so, proprio come Rosy, che in Italia la sinistra non può vincere senza, o addirittura contro il Partito Democratico (per questo mi viene l’orticaria quando alcuni amici e le micro-formazioni politiche ‘più a sinistra della sinistra’, invece di combattere la destra, individuano nel Pd il nemico da battere).
Per ora il Pd, la sua classe dirigente, non sembra aver nessuna intenzione di cambiare. Oppure la cosa è ancora più deprimente: interpreta e riduce ‘il cambiamento’ nella scelta di un ennesimo nuovo segretario. Sarebbero o Stefano Bonaccini o Elly Schlein, oggi contendenti ma finora presidente e vicepresidente di un’Emilia Romagna governata in unità d’intenti e perfetto accordo. Ma allora a cosa servono le primarie, per scegliere cosa?
Così Rosy Bindi, la piccola donna che non rinuncia alle sue idee e non fa sconti a nessuno, ha dichiarato che questa volta non metterà il suo voto nell’urna delle primarie.
Se posso aggiungere una cosa, a me le primarie, così veltroniane e così americane, non sono mai piaciute. Le ho sempre disertate, tranne una volta, parecchi anni fa. E quella volta, pur senza speranza, ho votato Rosy Bindi.
Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.
Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta. Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .
Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line, le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.
Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.
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Francesco Monini
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QUOTIDIANO INDIPENDENTE l'informazione verticale
Come al solito , una bella descrizione dell’intervistati e una bel articolo .
Una sola cosa non condivido , ” in Italia la sinistra non può vincere senza, o addirittura contro il Partito Democratico ” … ” le micro formazioni politiche ‘più a sinistra della sinistra’, invece di combattere la destra, individuano nel Pd il nemico da battere ”
il PD da anni che combatte queste micro formazioni politiche ‘ piu’ a sinistra della sinistra” , ti chiedo se in questo caso consideri il PD di sinistra ?
Veltroni rivendicò l’autonomia del PD e rifiutò qualsiasi rapporto con le micro formazioni di sinistra .
Il PD ha esercitato una politica per l’annullamento delle ” sinistre” che alla fine rischierebbe l’estinzione.
Non ho visto la puntata di Mezz’ora in più di domenica scorsa. Il resoconto di Francesco sui tre intervistati da Lucia Annunziata penso chiarisca con sufficienza il loro argomentare. In particolare, Rosy Bindi, le sue affermazioni, la sua schiettezza diretta e senza infingimenti mi conferma (soddisfazione da poco) nei miei convincimenti attuali ma mi mette addosso una grande tristezza sul futuro della sinistra che, mi spiace per chi la pensa diversamente, senza un PD rifondato nei contenuti e nella dirigenza non sarà in grado di fare la differenza. Per inciso, nel 2007, dopo essere stato segretario di sezione DS della “O. Putinati”, ero stato eletto segretario PD della stessa sezione che divenne Circolo. Abituati ai congressi con le tesi, in cui si approfondivano contenuti sia internazionali che locali, dove i compagni e le compagne erano punti di arrivo e partenza di proposte su cui lottare, la formula delle primarie sul modello americano sbilanciate sui leader e meno sui contenuti (c’erano delle parole d’ordine con frasi ad effetto) era la nuova realtà con cui gli iscritti dovevano confrontarsi. Inoltre, per la prima volta potevano decidere sulla segretaria o sul segretario anche i non iscritti al PD purchè dichiarassero genericamente di votare il centrosinistra e versassero un piccolo obolo. Gli iscritti con tessera non avevano più la gestione esclusiva del partito. Quella che sembrava ai più una straordinaria novità si rivelò una trovata populista e superficiale. I contendenti al ruolo di primo segretario del neonato PD erano quattro: Veltroni, Bindi, Letta e Adinolfi. Io scelsi senza ombra di dubbio Rosy Bindi, per il programma e le idee che s’intravedevano in quella persona. Pur non avendo mai nascosto la mia appartenenza al cattolicesimo di sinistra, dapprima nei Cristiani per il Socialismo e poi nei Cristiano Sociali, il fatto che il segretario di una delle sezioni con più iscritti di derivazione socialcomunista scegliesse una ex democristiana creò scalpore, sconcerto, discussione. Avrei anche degli aneddoti tra il divertente e il non so da raccontare ma mi fermo qui.