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Giorno: 2 Agosto 2020

In ricordo: il bar della stazione

In ricordo delle ottantacinque persone che non ci sono più, e delle duecento che non sono più le stesse, e di chi ha dato una mano.

“Oggi, stazione di Bologna, due agosto di un anno vicino al duemila, ore dieci e venti del mattino, tutti sono allegri perché partono, e faccio finta di partire anch’io”.
Stefano Benni

Una pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la settimana…

DIARIO IN PUBBLICO
Onda su onda: vivere al Lido

Inesorabile il termometro scandisce le ondate di caldo che tra Comacchio, Porto Garibaldi, Lido degli Estensi e il resto dei lidi comacchiesi come flussi e riflussi investono i bagnanti – si fa per dire- avvolti nella pellicola sudaticcia del reale e percepito: 32/37 °C, come m’informa in questo momento lo strumento consultato. M’arrivano dalla ancor più infrequentabile città di Ferrara immagini confortanti. Chiarina si è laureata e agli zii trepidanti viene mandata la foto rituale di lei bellissima con il serto d’alloro e il sorriso trionfante. Scaramouche dall’alto della sua pelliccia assiste pensoso alla richiesta di un compagno beagle molto difficile da ottenere. Filippo glossa che, a forza di chiamarlo Scar, qualcuno lo potrebbe prendere per uno sputacchio piuttosto che per un gatto di sì nobile razza.

Intanto, tra il brontolar dei gabbiani, si odono notizie sempre più minacciose sul destino riservato al capoluogo dei lidi comacchiesi. L’opera non eccelsa dell’architetto Cervellati, che aveva trasformato in una improbabilissima folie settecentesca il viale Carducci, sembra destinata allo smantellamento. Così sussurrano le voci comacchiesi, che reggono una amministrazione improbabile causa l’assenza del sindaco. Nel vialetto della mia via cumuli di aghi, come le balle del fieno, ricordano film famosi come Novecento. Gli abitanti rincorrono i pochi addetti alle pulizie che s’avventurano a spazzolare le vie principali e a chiedere ragione del perché di tanto disservizio. Stancamente per l’ennesima volta viene risposto che “il camion grosso” non può entrare nella via stretta e che l’amministrazione non ne possiede uno piccolo che raccolga i cumuli, ormai ricettacolo strepitoso di cacche canine. Alla minaccia di informare i giornali di tanta trascuratezza s’alzano gli occhi al cielo e il discorso scivola via, come la schiuma traboccante dai tombini occlusi. Ma le novità non finiscono qui. Si mormora che già siano stati presentati progetti che innalzerebbero al posto del vecchio albergo cadente, chiuso da anni, una torre di 13 piani!!! Alla faccia di tutte le case disabitate e quasi in rovina. Ma se Atene piange, Sparta non ride (o viceversa).

La perlina dei Lidi, quello di Spina, sembra in disarmo. Ormai quasi del tutto priva di esercizi pubblici vive ancora del ricordo di una imitazione del Forte dei Marmi, dove poche famiglie si ritrovano a ragionare del tempo che fu nelle loro case. Eppure Spina non è ancora il Forte, nonostante il cantante Bocelli insista nel trasformarlo in un luogo infrequentabile. Ma il Laido sa risollevarsi a volte con una forza che sembra mutuata dall’esempio di un celebre film di Olmi, L’albero degli zoccoli e così scrive una pagina che risolleva la fiducia nel mondo e nell’operatività e nell’intraprendenza umana.

Un babbo barbiere e una mamma che ha frequentato le cucine dei paesi hanno tre figli: Enzo, Davide, Matteo che lavorano in fabbrica. Sono sposati a tre belle ragazze e a loro volta mettono al mondo sette figli: sei femmine e un maschio, ultimo frutto del tatuato Enzo. Lavorano in fabbrica e decidono di tentare la fortuna creando un bagno, che fosse luogo di svago, ma che rinfrancasse i clienti con una cucina che fosse all’altezza della migliore tradizione emiliano-romagnola. Così interpellano amici pizzaioli e cuochi e affidano l’approvvigionamento delle merci, operazione fondamentale, a Piero il babbo barbiere dal calzino candido; la sovrintendenza della cucina alla mamma Costanza di nome e di fatto. E alzano una grande insegna, Onda blu che campeggia su un candido telone. Ora il lavoro comincia a dare i suoi frutti. I tre figli preparano tavoli e servono vivande deliziose, le mogli s’adoperano a procurare bevande e alla cassa, sotto l’occhio di Piero che tutto osserva dall’alto del suo sgabello, quando non è occupato nelle lunghe ore della spiaggia a giocare alle tradizionali partite con i suoi amici; Costanza esibisce il cappellino portato con la visiera dietro, tra una chiacchera e l’altra con le clienti più agées. Delle brave ragazze che parlano bene le lingue e si procacciano il denaro per andare a studiare all’estero ti servono festose.

Un bell’esempio di capacità, intraprendenza e di un po’ di fortuna, così dal Laido ci trasferiamo al Lido degli Estensi!

LO CUNTO DE LI CUNTI
Mozart e Pablito

Rubrica a cura di Fabio Mangolini e Francesco Monini

Abbiamo conosciuto Stefania Bergamini come un’originale poetessa ( Ferraraitalia ha già pubblicato alcune sue poesie [Vedi qui] ) e colpiti dal suo approccio e dal suo stile le abbiamo chiesto di inviarci le sue prose. Stefania lavora dopo il tramonto, tra Ferrara e Bologna, in uno dei tanti locali per giovani e meno giovani. Dai suoi fuggevoli incontri con alcuni reduci del “popolo della notte” ha tratto materia per alcuni racconti, scritti con una lingua attenta e personalissima. Sceglierne due per questa rubrica non è stato facile. La lettura è affidata a Teresa Fregola
(I Curatori)

Rubrica a cura di Fabio Mangolini e Francesco Monini

Lo Cunto de li Cunti – Stefania Bergamini, Mozart e di seguito Pablito, letti da Teresa Fregola

Mozart

Il signor “una bottiglia di rosso buono fate voi” entra ogni venerdì sera alle 23:30, si toglie la giacca, aggiusta la sedia e nell’attesa sfoglia  un libretto copertina nera, poi versa un dito di vino nel bicchiere si appoggia allo schienale e chiude gli occhi. Così ogni volta, gli stessi gesti precisi, come il rito di un gatto abitudinario, sembra che il mondo intorno a lui non esista.

– vuole mangiare qualcosa?
– questo è Mozart

Solo in quel momento mi accorgo dell’auricolare
– amo Mozart mi scusi l’ho disturbata
– no, no, anzi si sieda, mi fa piacere condividere il vino e Mozart
– sto lavorando…
– su, un attimo, mi fa piacere…

Prendo un bicchiere mi siedo assaggio il vino e osservo lui che chiude gli occhi

– il Requiem, meraviglioso, anno scorso ho tentato di ammazzarmi, ho lasciato scritto che avrei voluto questa musica al mio funerale poi da vero vigliacco ho chiamato mia moglie e il 118 lavanda gastrica e via.
– non è stato vigliacco anzi, sua moglie avrebbe sofferto
– certo sì, anche i miei figli poi non avrei potuto mai più ascoltare Mozart e assaggiare questo vino
– già, mi scusi mi stanno chiamando e non è stato vigliacco, ha fatto la cosa giusta
– grazie lei è molto gentile.

Si appoggia di nuovo allo schienale, richiude gli occhi e immagino la perfezione di Mozart a proteggerlo da pensieri lugubri, che poi le vite degli altri sono sempre sorprendenti e intime e ognuna è un mondo da capire ascoltare e proteggere, le vite degli altri mi commuovono, ho saputo di tanti suicidi e sempre ho sofferto perché Bancio il ragazzo bellissimo impiccato a una catena, la signora dai capelli rossi per me senza nome, lei alle tende del bagno, il “fratello” con tutte le sue foto meraviglia  da mostrare chiuse ne portafoglio di cuoio trovato nel fiume e tanti altri, tante sconfitte. Le vite degli altri, la mia ossessione, un raccontare sempre per onorarle e non dimenticarle.

 

Pablito

Sono venuta di mattina presto qui a Riccione (stasera lavoro), queste poche ore le passo davanti a una casa abbandonata, il giardino pieno di erbacce e pozze di acqua con piccoli fiori, è la casa dove da piccola  facevo le vacanze estive con genitori, zii, cugini, nonni, tutti insieme. La porta di entrata sulla strada e quella dietro che guarda la spiaggia, una grande terrazza dove la sera si cenava quando l’aria era più fresca. Di mattina, noi bimbi in fila indiana con già infilato addosso il salvagente e in mano i secchielli, formine, tutti i giochi che dalla casa si trasferivano al mare per poi riportarli la sera, dietro a noi, mio padre, gli zii con gli ombrelloni a righe rosse e blu, era un posto libero, i bagni lontani. Erano gli anni delle camicie di mio padre, del suo cappello da mare, i suoi libri, l’orologio d’argento che mi faceva provare, il profumo del pesce fritto che dalla casa arrivava in spiaggia, i costumi della mamma che pareva una diva del cinema tanto era bella, la nonna i capelli raccolti e i vestitini di cotone, le mie braghette di spugna, il cappello da marinaio e le trecce lunghissime che legavo dietro con un nodo perché mi infastidivano. Tutte le mattine, da quattro anni, Pablito veniva dalla spiaggia, un bel cane bianco con le orecchie nere, si fermava a mangiare, stava con noi tutto il giorno e la sera spariva, lo avevamo chiamato Pablito per via di una vaga somiglianza con zio Pablo di Madrid. Una sera di luglio, era quasi buio (si restava al mare  fino a molto tardi), il cielo nuvoloso, opprimente di una cappa afosa, il mare un olio nero, la spiaggia deserta, mio padre ci chiamava per rientrare, mamma zie e nonna già a casa per le docce e la cena. Mio fratello a riva, dritto sulle gambette, le mutande fradice in mezzo alle chiappe, i capelli chiari, bagnati, sparati che parevano saggina e Pablito seduto accanto a lui, solenne e protettore, guardavano l’orizzonte, immobili, vicini, e io dai!! andiamo! è tardi! loro niente se ne stavano là fermi a guardare quel mare pauroso con Pablito che fissava mio fratello e il mare, una faccenda talmente surreale e bella e triste e comica,  incancellabile come certi film di infanzia di Ivan, un flash che ho nel cervello. Quella fu l’ultima estate di Pablito. Negli anni a venire non tornò più e noi a parlare anche da adulti del cane cercatore di conchiglie che ci aveva così tanto amato e che anche noi avevamo tanto amato, tornato nel posto invisibile da dove era misteriosamente arrivato una mattina. Era il cane meno cane del mondo, non abbaiava neppure e forse lo abbiamo solo immaginato.
Ciao Pablito
Ciao casa delle vacanze
Ciao pesce fritto
Ciao faccia di mio fratello

Stefania Bergamini, i brevi racconti Mozart e Pablito, parte di una serie dedicata al popolo della notte, sono entrambi inediti.

Lo Cunto de li Cunti, i racconti da leggere, guardare e ascoltare, torna su Ferraraitalia alla domenica mattina. Per guardare e ascoltare tutte le videoletture di Lo Cunto de li Cunti clicca [Qui] 

Cover: elaborazione grafica di Carlo Tassi

PER CERTI VERSI
La morfina

Ogni domenica Ferraraitalia ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio.
Per leggere tutte le altre poesie dell’autore, clicca
[Qui]

LA MORFINA

il dolore che invade
Un dolore enorme
Che pervade la fibra
Un dolore da delirio
Di sete e sveglie incessanti
Fiumi grandi e arsi
In gola solo oboli
Bagnati da canarini

Un dolore da soglia
Infranta e baratro
Che lascia viva la ragione
Un dolore che marchia
La memoria
Un fiotto di voce
Che mugola una tregua

Un dolore così
Da morfina

LA MORFINA II

Sembrava di volare
In un verdecalma
Remando verso il meglio
La morfina mi aveva spazzato
Da tutto il piombo operatorio
L’intero corpo liberato
Di sudore e sete
Al risveglio