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di Fabio Rossi

Al di fuori di Germania e paesi nordici quali Svezia, Norvegia o Regno Unito, il terreno per le band Hard n’ Heavy è generalmente poco fertile e, spesso e volentieri, per via della poca popolarità in terra natìa –nonostante l’esistenza di Internet- al difuori di tali confini si fatica a venire a conoscenza di gruppi di questo genere. Premesso ciò, è significativo che una band come i Game Over, formatisi a Ferrara nel 2008, a distanza di otto anni giri il globo in tour, per oltre 50 date estere solo quest’anno. La loro ultima fatica in studio, intitolata “Crimes Against Reality”, è datata Aprile 2016 e consta di 10 tracce mature e curate, frutto di uno studio maniacale che alla fine della corsa fa sì che il disco sia giudicabile nettamente superiore a buona parte della concorrenza underground italiana e non solo.

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L’introduzione al disco “What Lies Within”, dalle parvenze pulite, si riscalda col tempo, dando un degno inizio alla seguente “33 Park Street”: esempio lampante di cosa significhi fare thrash, ovvero velocità, tecnica e durezza. A ciò va ovviamente aggiunto un pizzico di doppia cassa per rendere l’impasto sonoro degno di spettinare a sufficienza l’ascoltatore alla maniera dei Game Over. Il terzo brano “Neon Maniacs” è forse quello più orecchiabile del disco, rilasciato in anticipo come singolo e senza dubbio uno dei pezzi più emblematici della cura applicata in fase di scrittura a livello vocale dell’album; cori corposi sostengono il ritornello e le linee delle strofe – intervallate da due assoli in cui i chitarristi si sbizzarriscono liberamente – che entrano in testa e difficilmente ne escono. Se questo non bastasse, i frequenti cambi di tempo fanno sì che il pezzo non risulti mai noioso né monotono, rendendolo decisamente uno dei più riusciti fra le dieci tracce presenti. “With All That is Left” è una novità assoluta per la band: una ballad in puro stile anni ’80 che richiama l’arpeggio di “18 And Life” degli Skid Row nella sua introduzione. Prima malinconica ed introspettiva, poi rabbiosa e violenta, è senza dubbio una canzone che non ci saremmo aspettati in questo disco. Lo stupore sicuramente gioca un ruolo chiave nel giudizio del primo impatto, ed i Game Over sono riusciti a pieno nel loro intento, rendendolo uno dei pezzi più curati e meglio riusciti della loro carriera. Gioca sicuramente a loro vantaggio il fatto che l’assolo, subito dopo un breve bridge, riprenda in causa il riff di un brano storico dei Rainbow: “Kill The King”. Chapeau. Siamo giunti dunque ad “Astral Matter”, che introdotto da un riff di basso distorto e accompagnato da un wah, ricorda le storiche sonorità del caro e vecchio Cliff Burton. Il riff successivo, con tutti gli strumenti, ha un tempo più “rilassato” del solito, ma non preoccupatevi: i Game Over ormai ci hanno abituati ai cambi di tempo e rientrerà nello standard del thrash anche questo pezzo. Ad ogni modo, le parti di chitarra solista durante l’assolo risultano abbastanza “appoggiate”, e qui mi permetto di muovere una critica, perché un brano come questo poteva avere una potenzialità non indifferente, forse non sfruttata a pieno nel processo di scrittura, anche a livello vocale, è leggermente sotto la media degli altri 9 brani presenti nel disco. Un finale arpeggiato e pulito conclude uno dei pezzi che fin dalle prime note mi aveva fatto sperare di più, ma che si è rivelato inferiore alle aspettative, peccato! “Fugue in D Minor” è un exploit neoclassico che riprende in maniera ironica la Bouree di Bach attraverso una apertura violenta e frenetica. L’ultima cosa che mi sarei aspettato da una band thrash era di sentire un clavicembalo! La settima traccia, “Just a Little Victory” è un pezzo che conferma le doti di questi quattro thrasher; lineare, selvaggio e bello tosto! La canzone fila dritta come un treno nonostante i cambi di tempo, gli assoli non stancano e non danno l’idea di qualcosa di già sentito, ampiamente oltre la sufficienza. “Gates Of Ishtar” è senza dubbio uno dei brani più singolari dell’album; fin dalle prime note l’aria si fa arabeggiante, il che è assolutamente una novità per le sonorità tipicamente occidentali tipiche ad un genere come il thrash, di cui i Game Over si fanno portabandiera. Notevole ancora una volta, sul finale del primo assolo, la citazione ad un altro brano composto dalla formazione post ’75 di Ritchie Blackmore: stiamo parlando di “Gates Of Babylon” dei Rainbow. Il ritornello della canzone è potente e ben orecchiabile e a mio avviso, uno dei migliori brani del disco. La title track “Crimes Against Reality” è invece uno dei pezzi più complessi del disco, un’apertura frenetica di chitarre e batteria lascia spazio ad un riff di basso nudo e crudo, per poi dare davvero il “La” alla canzone. Come già sottolineato, anche e soprattutto nel brano più importante del disco, le linee di voce sono decisamente meno spartane dei canoni dettati dal genere, rivelando una cura superiore alla norma nella composizione. Il primo assolo, dalle sonorità neoclassiche cambia di tempo verso metà, per poi sfociare in diversi riff totalmente nuovi all’ascoltatore e tipicamente thrash. Il brano prosegue con un tiro decisamente più furibondo verso i tre quarti della canzone, ancora con un assolo di un’energia incredibile, per poi sul più bello, cambiare di tempo e rientrare nella strofa e nel ritornello, prima di chiudersi con una meravigliosa atmosfera malinconica evocata dall’arpeggio conclusivo di chitarra. Con tutta sincerità, questo brano è uno dei più controversi del disco; dà l’idea che il gruppo voglia allontanarsi dagli standard del genere musicale che fino ad oggi avevano seguito senza distaccarsi troppo, per prendere strade più di nicchia. Siamo arrivati alla decima ed ultima traccia. È la degna conclusione di un disco che ha spinto tanto, fin dall’inizio, e che mi ha stupito davvero molto. L’album si chiude in maniera circolare, con le ultime frasi di chitarra che richiamano la prima traccia. “Fix Your Brain” ha comunque ottimi riff, belle parti vocali e come al solito un batterista eccezionale a reggere tutto il gruppo.

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In conclusione: i Game Over questa volta si sono decisamente superati. Il disco lascia parzialmente l’onda di thrash metal alle lunghe monotono e ripetitivo, per approcciarsi ad una strada più contaminata da generi coetanei. Nota di merito circa il lavoro di Vender dietro i tamburi: eccezionale sarebbe riduttivo. I fill di batteria sono precisi e innovativi, e l’uso della doppia cassa non è esagerata, nonostante il genere. Va riconosciuto da tutti i membri della band un lavoro oltre la norma, che si rispecchia nel prodotto finale che è “Crimes Against Reality”. I Game Over oggi sono un gruppo che merita di essere supportato, perché se vogliamo sentire ancora parlare di buona musica, per giunta in Italia, questa è davvero l’unica possibilità!

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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