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Giuliano Gallini, anche quest’anno avete organizzato come CIRFOOD un momento di ricerca e dibattito al festival della rivista Internazionale. Al di là del tema e dello specifico dell’iniziativa, la vostra partecipazione rappresenta un profondo legame di CIRFOOD con Ferrara?
Sì. CIRFOOD ha una costola fondante ferrarese. Oggi è una azienda internazionale con più di 13.000 dipendenti, ma trentacinque anni fa era una piccola cooperativa di poche decine di cuochi e addetti mensa che si chiamava COFERI e che ha contribuito, con le cooperative gemelle di Modena e Reggio Emilia a fondare nel 1991 CIRFOOD.

Con un legame forte, in senso generale, alla cultura, e in particolare alla cultura ferrarese.
Oggi nella carta dei valori di CIRFOOD si legge che cibo è cultura. Ricordo una nostra iniziativa di, appunto, più di trenta anni fa, che consisteva nell’invitare i nostri clienti a una visita in orari esclusivi e guidata a una mostra al Palazzo dei diamanti. Dovetti vincere qualche resistenza: a chi vuoi che interessi dei nostri clienti una visita a una mostra d’arte! Invece vennero tutti gli invitati, e si dimostrarono entusiasti della esperienza. Qualcuno non era mai stato a una mostra.

Ma che cosa c’entra con il cibo con il vostro lavoro?
Quella mostra apparentemente proprio nulla. Ma offrivo ai miei clienti una esperienza nuova e legata al mondo ferrarese, alla grande intuizione di Franco Farina, alla bellezza di una città d’arte.

Apparentemente?
Apparentemente perché il discorso sul cibo ha tali implicazioni psicologiche, storiche, sociali, identitarie che è impossibile vendere bene cibo se non le si conosce. Naturalmente bisogna saper far bene da mangiare, ma questo è il minimo sindacale.

E CIRFOOD fa bene da mangiare?
Sì. Soprattutto se si tiene conto del fatto che i 100 milioni di pasti all’anno prodotti e serviti da CIRFOOD, tra cui i 3 milioni che serviamo in provincia di Ferrara, sono mediamente venduti a poco più di 5 euro. Primo secondo contorno pane. E’ il nostro un pasto d’inclusione.

Pasto d’inclusione reddito di inclusione. Cibo di cittadinanza, che era il tema del vostro intervento a Internazionale Ferrara dell’anno scorso. Prefigurate i tempi.
Le imprese devono avvertire i cambiamenti sociali. Non per accodarsi al politico vincente: ma per accordarsi ai bisogni, per essere insieme alla Storia. Oggi c’è una crisi culturale della globalizzazione. Nel 1989 cadde il muro di Berlino, ci fu il Washington Consensus e, come ti ho detto, le piccole cooperative emiliane di ristorazione, compresa la ferrarese COFERI, (i cui gruppi dirigenti avevano gli strumenti culturali per capire il cambio di passo della Storia perché venivano dalla grande tradizione di pensiero sociale del dopoguerra italiano) ne trassero le conseguenze, si unificarono e diedero vita a una politica di sviluppo globale e non più locale. Globale allora per noi voleva dire Italia: ma non solo. Dopo cinque anni eravamo già all’estero, con una fiorente attività in Bulgaria; e nel 2000 io ero per conto dell’azienda in Cina, a progettare un ristorante nella centrale via Dong Dang. Oggi il ciclo della globalizzazione dell’89 si è concluso e per non rischiare un nuovo Ballo Excelsior anche le imprese devono essere capaci di interpretare ciò che sta succedendo cambiando le proprie politiche imprenditoriali, il rapporto con la forza lavoro, il modo di produrre e di comunicare.

Il Ballo Excelsior fu uno spettacolo teatrale che dalla fine dell’ottocento fino all’inizio della prima guerra mondiale celebrava i trionfi della scienza e del progresso. L’elettricità e la lampadina, il battello a vapore, il canale di Suez, il traforo del Moncenisio, l’automobile. Pensiamo che i cambiamenti che abbiamo vissuto noi, in questi ultimi vent’anni, siano travolgenti ma forse tra il 1890 e il 1910 furono ancora più radicali di quelli di oggi. In quegli anni ci fu una fase di globalizzazione molto forte, e il Ballo Excelsior celebrava non solo le scoperte scientifiche e il progresso, ma l’aspettativa di un futuro di pace e prosperità. Poi abbiamo avuto due guerre mondiali. Pensi che possa succedere anche oggi?
Speriamo che non ci siano guerre in Europa! Ma tutti sanno che le guerre nel mondo non mancano. Direi che oggi le elite non sembrano in grado di gestire le contraddizioni della globalizzazione, la disuguaglianza e l’ingiustizia sociale soprattutto: proprio come cent’anni fa.

Torniamo alla CIRFOOD FERRARA, ex COFERI?
In provincia di Ferrara lavorano per CIRFOOD ex COFERI 312 persone, di cui 236 soci. Siamo infatti una cooperativa di produzione e lavoro e il 75% di soci testimonia l’antico insediamento lavorativo e sociale della ristorazione organizzata a Ferrara. Gestiamo 37 cucine e serviamo comuni, case di riposo, mense universitarie, mense aziendali. I nostri maggiori clienti oltre al Comune di Ferrara sono Conserve Italia, Cidas, Manifattura Berluti, Comune di Argenta, Salus, Quisisana, Consorzio RES, ASP, ASP del Delta e tanti altri, ne dimentico molti mi dispiace ma la memoria è quello che è. Gestiamo anche Bar e ristoranti pubblici esercizi come il Bar all’ospedale di Cona, e i self service Oasi, Diamante e Galleria.

E adesso riportiamoci a Internazionale.
Non ci piace sponsorizzare e lo facciamo molto raramente. Anche nel caso di Internazionale non siamo semplicemente degli sponsor ma facciamo ricerca e produzione culturale.

In che modo?
Per ogni tema che sottoponiamo all’attenzione della rivista elaboriamo un percorso di ricerca, organizzando tavoli di lavoro con esperti della materia i cui risultati vengono discussi nella sessione pubblica con i quattro giornalisti italiani e internazionali. Così è stato per tutte le nostre partecipazioni, la prima dedicata al tema del lavoro “L’azienda che vorrei”, la seconda al tema della cultura, “Il costo dell’ignoranza”, la terza al tema del cibo del futuro “Il cibo di cittadinanza”, la quarta al tema delle povertà alimentari e culturali, “Lo spreco”. C’è un evidente filo rosso che accumuna i momenti che abbiamo organizzato: il ruolo dell’ innovazione sociale. Per innovazione sociale intendo le pratiche che aumentano il capitale sociale, ovvero quel corpus di norme, valori e comportamenti che consentono ai gruppi sociali di cooperare tra loro e e alle persone di collaborare all’interno dei gruppi allo scopo di trovare soluzione ai bisogni delle persone; e di raggiungere – tutti insieme – gli obiettivi dell’agenda ONU 2030 per uno sviluppo sostenibile, mettendo quindi in discussione l’attuale modello di sviluppo della globalizzazione liberista.

Nella vostra carta dei valori al primo punto c’è scritto: CIRFOOD è una cooperativa fondata su democrazia, rispetto e sincerità. Sono parole importanti. Ma siete coerenti?
Naturalmente in una azienda così grande ci sono contraddizioni. Ti faccio un esempio: gestiamo oltre mille cucine. In ogni cucina c’è un gruppo di lavoro, un direttore o una direttrice. Non sono ovviamente sicuro che tutti i direttori o le direttrici siano democratici, rispettosi e sinceri. La cooperativa ha naturalmente sistemi di controllo e di indirizzo, per esempio assistenti che si recano ogni settimana in tutte le cucine, e così via. Ma possono esserci limiti. Però ciò che è decisivo, secondo me, è che sia dichiarato, voluto, agito che il nostro fine è quello di essere una azienda democratica, rispettosa di clienti, soci e dipendenti, sincera e trasparente nelle proprie decisioni.

La democrazia è ancora popolare?
Da noi spero proprio di sì.

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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