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Alla Festa del cinema di Roma del 21 ottobre scorso è stato presentato il documentario Francesco, del regista russo Evgeny Afineevsky, contenente un’intervista realizzata nel maggio 2019, in cui papa Bergoglio parla delle unioni civili fra omosessuali.

Sono diverse le traduzioni pubblicate di quelle frasi dette in lingua spagnola. Si va da: “Le persone omosessuali hanno diritto a stare in una famiglia” a: “Le persone omosessuali hanno il diritto di essere in una famiglia”. Differenze minime, che però hanno dato il la a letture diverse. Un conto sono i commenti sui diritti a restare nelle famiglie di origine senza la paura di esserne esclusi, come è stato scritto, un altro sono le prese di posizione sulle unioni civili fra omosessuali.
In verità, le frasi che seguono sembrerebbero togliere ogni dubbio che si tratti della seconda chiave di lettura: “Ciò che dobbiamo creare è una legge sulle unioni civili. In questo modo sono coperti legalmente”.

Comunque sia, le parole del papa hanno scatenato un putiferio. Non si capisce, da lontano, quanto questa uscita del video, a distanza di oltre un anno dal girato, sia stata voluta.
In un clima vaticano avvelenato da scandali e intrighi finanziari, si fatica ormai a capire se la narrazione ecclesiale sia quella che avviene sul palcoscenico, oppure dietro le quinte.
In ogni caso, è stata l’ennesima occasione per un’ondata di critiche al pontefice, tanto che anche alcuni che ne hanno preso le difese si sono affrettati a dire che nulla cambia nella dottrina sulla sessualità e sul matrimonio, da non confondere con le unioni civili.

La dottrina e la sua immutabilità resta il crinale sul quale si continua a misurare il dentro e fuori un’ortodossia, nonostante la pastoralità, il concilio e tanta teologia sulla storicità della stessa parola biblica. Ora anche per il papa in persona, con la conseguenza, forse non del tutto calcolata,  che così si mette inesorabilmente a tema – da destra – lo stesso principio d’infallibilità (il papa sbaglia). Quasi un testacoda sorprendente da chi afferma il criterio indiscutibile dell’autorità gerarchica dentro la Chiesa, con la prospettiva di un varco le cui conseguenze potrebbero essere indesiderate, specie se si pensa alla provenienza dell’innesco.

Prendendo congedo dal piano tattico ed entrando nel senso delle parole di papa Francesco, se non hanno certo la forza di un cambio di paradigma, è tuttavia sensata l’opinione di chi, come il teologo Andrea Grillo su Munera (23 ottobre), vi vede un passaggio epocale. Non solo perché, è stato scritto, è la prima volta che un pontefice si pronuncia a favore di una copertura legale per le relazioni omosex. Per capire il perché occorre partire da lontano.

Sui temi dell’identità sessuale, famiglia e matrimonio – scrive il teologo che insegna a Roma e a Padova – l’astrazione di una “competenza ecclesiale” e di una “civile”, è un’invenzione del novecento che si solidifica con il Codice di Diritto Canonico del 1917. È il tentativo antimodernista (ma con strumenti rigorosamente moderni), di risolvere un “conflitto di competenze” sulle domande fondamentali: chi decide della generazione, Dio o l’uomo? Una domanda “troppo drastica” che ha finito per produrre risposte altrettanto drastiche, sia sul versante ecclesiale che in quello civile.

Da qui l’immaginario diffuso di una sorta di “rivincita” contro la “breccia di Porta Pia”, che avrebbe illuso la Chiesa a ritagliarsi un ambito di autorità (famiglia, matrimonio, figli), su cui dichiararsi competente in ultima istanza: una riserva di temporalità. Ne ha scritto anche Daniele Menozzi nel suo Chiesa e diritti umani, 2012, con la distinzione fra ‘diritti dell’uomo’, maturati lungo la direttrice storico-secolare-illuminista e ‘diritti della persona’, di cui custode è la Chiesa.

Andrebbe letta nella chiave di ‘conflitto di competenze’ anche la stagione italiana delle leggi su divorzio e interruzione volontaria di gravidanza, non a caso vissute in terreno ecclesiale come un duplice trauma: se la legge civile ha solo valore pedagogico, non avrebbe dovuto spingersi in quella che è stata subita come un’invasione di campo. Qui trova origine la non negoziabilità di uno spazio che va a definire una dottrina veritativa, che si fa ‘legge oggettiva’.
Questa tendenza a ‘giuridicizzare’ le questioni, specie in terreno morale, porta alla progressiva definizione di una tradizione da difendere contro ogni intrusione o attacco. Non a caso il tema della ‘laicità’ resta ancora non pienamente digerito nella Chiesa. Se poi la messa in discussione viene ad intra, si può capire lo sconcerto. È quello che sta avvenendo con il pontificato di Bergoglio, in continuità con il Vaticano II: l’approccio definitorio-giuridico-dottrinale, è spiazzato, aggirato, da quello pastorale della misericordia, tenerezza e fraternità.

In Amoris Laetitia del 2016, l’esortazione dopo i due sinodi sulla famiglia del 2014 e 2015, papa Francesco dice: “il magistero non deve definire tutto (3); la famiglia è una pluralità di forme viventi e graduali di comunione (301); la conformità alla legge non implica necessariamente la conformità alla volontà di Dio (304)”. Concetto ribadito nella sua ultima enciclica: “il fatto di credere in Dio e di adorarlo non garantisce di vivere come a Dio piace” (74).

Se si aggiungono le immagini del poliedro da preferire all’omogeneità e compattezza della sfera e la superiorità del tempo, generare processi, sugli spazi da occupare (Evangelii Gaudium), prende forma un magistero che, per quanto non sistematico e tutto giocato sulla non (voluta?) definizione, ha la consistenza di un pensiero di indubbia portata teologica, per quanto in itinere. Disegno che, con il magistero sociale dell’ultima enciclica, chiede, propone e invoca, un cambio di mentalità, di rotta, di senso di marcia.

Sta qui, forse, il timbro profetico, e a tratti apocalittico, di un appello rivolto all’umanità, dentro e fuori la Chiesa, in cui rientra il recente episodio sulle unioni civili, comprensibilmente interpretato come un passaggio epocale.
In questa fine linearità, va compreso l’annuncio, all’Angelus del 25 ottobre, del concistoro che si terrà il 28 novembre, con la nomina di 13 nuovi cardinali. Basta scorrere i nomi delle nuove porpore, per rendersi conto della volontà che il cammino appena iniziato, non sia solo una parentesi.

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Francesco Lavezzi

Laurea in Scienze politiche all’Università di Bologna, insegna Sociologia della religione all’Istituto di scienze religiose di Ferrara. Giornalista pubblicista, attualmente lavora all’ufficio stampa della Provincia di Ferrara. Pubblicazioni recenti: “La partecipazione di mons. Natale Mosconi al Concilio Vaticano II” (Ferrara 2013) e “Pepito Sbazzeguti. Cronache semiserie dei nostri tempi” (Ferrara 2013).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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