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Un numero sempre crescente di aziende si sta impegnando per inserire il rispetto dell’ambiente tra le proprie priorità strategiche. E’ furbizia commerciale o esigenza reale? Certo non basta la risposta che si è attenti ai vincoli normativi; sappiamo che l’osservanza delle norme non è proprio una virtù nazionale e di solito viene intesa in forma elastica. Forse neanche la motivazione culturale può essere sufficiente; la consapevolezza pragmatica che i problemi ambientali tendono a peggiorare con il tempo e che un approccio positivo di tutti possa essere un’esigenza sentita non pare una motivazione consolidata. Neppure le risposte economiche sono tali da consentire di valorizzare in termini competitivi eventuali vantaggi di costo o di barriere all’entrata connessi alla eco-efficienza economica.
Però un dato certo è che le imprese leader nei loro mercati considerano di fondamentale importanza l’acquisizione di un alto profilo nel rispetto dell’ambiente: non basta rispettare le leggi, bisogna essere socialmente graditi. Sono noti gli esempi in cui una realtà aziendale inquinante e non rispettosa dell’ambiente ha spesso penalizzato gravemente l’immagine dell’impresa che ne è stata causa e, di riflesso, vittima (di se stessa).

La propensione all’acquisto dell’utente-cliente-consumatore sta crescendo di importanza e il ‘prosumer’ è sempre più attento al rispetto dell’ambiente. Gli elevati standard di compatibilità ambientale sono un elemento importante della competizione. In verità non tutti i consumatori sono sensibili al tema ecologico e solo un quinto costituiscono la tipologia del cliente coerente con le proprie convinzioni ecologiste. Un terzo sono passivi e poco propensi a favorire la eco-sostenibilità, anzi delegano agli altri (istituzioni di controllo) la verifica del rispetto ambientale (anche se poi però non credono che vengano fatti). Poi ci sono gli indifferenti, consumatori con scarso potere d’acquisto e minimo interesse ai prodotti ecologici.
Però le persone realmente motivate e caratterizzate da atteggiamenti decisamente responsabili stanno aumentando e in qualche modo stanno sollecitando modificazioni del mercato, anche se poi non sono disposti a rinunciare alle performance funzionali o ad accettare prezzi più alti. La crescita della sensibilità è un fattore decisivo.
La conseguenza è che ci sono le cosiddette aziende di lobbying passivo che cercano di intercedere con le autorità pubbliche per rallentare il cambiamento. Fingono la disponibilità al miglioramento sapendo di mentire e cercano di influenzare la evoluzione del contesto. Sono la maggioranza. Però ci sono anche le aziende che hanno adottato una strategia reattiva e anticipativa; che sviluppano una proposta commerciale sostenibile prima dei concorrenti per conseguire un vantaggio competitivo in campo ambientale attraverso nuove tecnologie “verdi” (‘early movers’). Penso che a ciascuno vengano in mente alcuni esempi. Ma quelle che ci devono interessare di più sono quelle che investono in innovazione e che considerano la dimensione ambientale come una importante priorità. Cercano strategie di prodotti e tecnologie di processo che permettano un miglioramento delle prestazioni ambientali, creando prodotti eco-compatibili. A loro un grazie e spero anche una propensione all’acquisto.

Qualche considerazione di sintesi: è ormai maturata la consapevolezza che la sfida per un ambiente più vivibile non si vince esclusivamente attraverso le normative né tantomeno con le schermaglie diplomatiche fra i potenti della terra. Però neanche tramite la delega a movimenti critici spontanei. L’azione culturale per sviluppare una migliore qualità della vita inizia con il posizionare al centro dell’attenzione e della ricerca il binomio ambiente-economia. L’obiettivo è quello di perseguire uno sviluppo sostenibile, un avanzato equilibrio fra crescita economica e salvaguardia dell’ambiente. Il coinvolgimento di tutti i soggetti della sfera produttiva, istituzionale e sociale, che prescinda da pregiudizi ideologici, è indispensabile come insieme di risorse da tutelare e utilizzare responsabilmente a garanzia delle generazioni presenti e future.

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Andrea Cirelli

È ingegnere ed economista ambientale, per dieci anni Autorità vigilanza servizi ambientali della Regione Emilia Romagna, in precedenza direttore di Federambiente, da poco anche dottore in Scienze e tecnologie della comunicazione (Dipartimento di Studi Umanistici di Ferrara).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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