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Il libro Ibridi ferraresi continua a sollecitarmi ricordi, spero di interesse non solo personale.
Si sottolinea l’assenza dell’Università nella riflessione sui processi di trasformazione urbana e sociale che investono Ferrara dal dopoguerra agli anni Settanta.
“C’era il Magistero che era molto modesto” dice giustamente Varese. “Quasi tutte le persone che hanno lavorato come docenti al Magistero sono morte”, annota Scandurra. “Le persone che hanno fatto il Magistero sono morte: Miegge, Magri, Carabelli, Walker”, ribadisce la Zanotti. Bene ho fatto dunque a resistere alle proposte – mi hanno molto lusingato – di Miegge, per rendere più stabile la mia collaborazione di semplice ‘cultore della materia‘. Sulla costituzione ed i primi tempi di Magistero qualcosa, tuttavia, posso dire.

Gli enti locali non danno solo un magro contributo economico, pensano e rendono possibile la realizzazione. L’Università di Ferrara ha una lunga storia. È Università della casa d’Este, poi Università pontificia, quindi Università libera, retta da una commissione di nomina comunale. È divenuta statale dall’anno accademico 1942-43 con intitolazione a Italo Balbo: corsi di laurea in Giurisprudenza, Medicina e Chirurgia, Farmacia, Scienze Matematiche e Fisiche, Chimica, Scienze naturali e biennio di Ingegneria. L’interesse degli enti locali per l’Università, anche dopo la statizzazione, non è mai venuto meno. In particolare nel dopoguerra, su impulso del Comune capoluogo e della Provincia si costituisce il Consorzio fra Enti Pubblici Locali della Provincia di Ferrara per il potenziamento dell’Università degli Studi. Negli anni Sessanta è presieduto dal prof. Amleto Bassi e io ne divento segretario, succedendo al dr. Besini, segretario pure della Provincia, da tempo in pensione.

Il Presidente orienta con decisione l’attività del Consorzio a un unico scopo: realizzazione di una Facoltà che sia un contributo ‘umanistico’ nel quadro universitario presente, elemento di formazione e supporto all’attività educativa, stimolo e ricerca sui servizi pubblici in trasformazione. Magistero appare un obiettivo possibile e condiviso. Ricordo un colloquio, per me interessante e incoraggiante, avuto al riguardo con Luigi Amirante, forse allora preside della facoltà di Giurisprudenza, ma certamente il docente che mi ha fatto appassionare al diritto e alla storia. Ricostruendo le circostanze dell’incontro direi fosse il 1966. Anche dopo la laurea mi avviene di frequentarlo. Ci vediamo a Teatro, alle mostre d’arte. Mi incoraggia alla lettura di Nord Sud, a me nota dagli anni del Liceo, e mi suggerisce una rivista, che non conosco, Il Mulino.
Il mio ruolo nel Consorzio è stato di puro segretario-burocrate: verbali e bozze di convenzione. Bassi ha gestito direttamente i rapporti con Giorgio Spini, che ha dato l’impronta al Magistero.
Tra Spini e Miegge, giovane Preside, hanno realizzato un Magistero che, nelle condizioni date – nozze con i fichi secchi – ha fatto miracoli e si è subito posto come uno dei centri di cultura più vivi in città. “La convenzione istitutiva assegnava alla facoltà cinque cattedre: sette assistenti di ruolo e sette incarichi interni, cioè solo in parte retribuiti… abbiamo dovuto far funzionare cinque istituti e due corsi laurea”, ricorda Miegge. Le lauree sono in Materie letterarie e Pedagogia. E qui non posso non ricordare una straordinaria e vivente pedagogista: Egle Becchi. Quando lascia la facoltà rimangono gli assistenti Annalisa Pinter e Carlo Pancera, divenuti pienamente ferraresi. Ferrarese si è fatto pure Mario Miegge, come Sandro Cardinali e Marco Bertozzi, venuti al suo invito. Non ricordo se il Consorzio abbia con quella realizzazione esaurito la sua funzione. Certo io non me ne sono più interessato. Ho conosciuto Miegge appena giunto a Ferrara, ma non a Magistero, nell’impegno politico, che ho scoperto comune.
Magistero ho però cominciato a frequentare, fin dalle fasi iniziali, su richiesta di Alberto L’Abate, fiorentino, da me conosciuto nel piccolo tenace Movimento nonviolento promosso da Aldo Capitini. Incaricato di Sociologia dell’educazione mi chiede di collaborare. Opere generali di sociologia ho letto fin dal Liceo, su sollecitazione di Paolo Farneti, federalista, allievo di Bobbio, uno scienziato della politica. Sto per iniziare l’attività di assessore alla Pubblica Istruzione a Ferrara, dopo un’esperienza a Codigoro, nel basso ferrarese. Anche per questo accetto volentieri. Collaboro per una decina d’anni, sostituendo il professore in un suo anno sabbatico. Sono anni importanti per me e – mi dicono ancora allieve ed allievi di allora – non solo per me. Nuove amicizie – per restare solo ai primi incontri e non far torto ad altre che sono venute poi – come Carlo Carabelli, vecchie amicizie apparse sotto un diverso profilo, come Sandro Roveri, si spengono con la lontananza e la morte.
Sociologia dell’Educazione è il solo insegnamento di carattere sociologico. Perciò nei seminari largo spazio è dato alle metodologie: causale, strutturale, funzionale, processuale. L’Abate prospetta un modello in cui conflitto e cooperazione coesistono: “equilibrio instabile”.
– Ti ci sei troppo identificato – gli dico io, quando soffre di crisi di vertigine. Conduciamo seminari e ricerche multidisciplinari, soprattutto con Mario Miegge, filosofo e preside della facoltà, Egle Becchi, pedagogista straordinaria e Claudio Greppi, geografo e non solo. I temi sono soprattutto quelli dell’esclusione sociale. Ricordo i seminari di carattere metodologico o sull’esclusione nei suoi vari aspetti, sulla devianza, sulla riforma degli Ospedali Psichiatrici, sull’abbandono scolastico… Ricordo pure le ricerche sulla scuola dell’infanzia, materne e nidi, sulla trasformazione urbana, sulla nascita delle periferie…
Poi c’è tutto l’impegno per le 150 ore, all’Università. Un’attività aggiuntiva, volontaria, straordinaria, con l’esempio trascinante di Miegge e il rapporto con i Consigli di fabbrica. Per me è il coronamento delle iniziative diffuse nei quartieri, dedicate al recupero dell’obbligo scolastico e all’ottenimento del diploma di terza media. Qui siamo già nel ’72/’73. I lavoratori entrano nelle scuole e null’università e con i lavoratori parliamo nelle loro sedi. Ricordo una sera, su invito del Consiglio di fabbrica della Montedison, vado a un’assemblea dei lavoratori per illustrare le diverse iniziative in atto. Alla portineria mi dicono che non posso entrare. Dico di avere un appuntamento al quale non posso mancare e mi denuncino pure, come minacciano di fare. Un rappresentante del Consiglio, forse Barioni, arriva e rientro con lui. Non ho memoria dello svolgimento dell’assemblea. Mi resta solo il calore e l’attenzione. Calore e attenzione si sono spenti, non solo a Magistero. O forse, come spesso capita ai vecchi, ho bisogno ce ne sia di più per accorgermene.

Foto nel testo: Università di Ferrara, la facoltà dell’Ex Magistero, sede attuale della biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia (foto di Valerio Pazzi)
In copertina: il professor Mario Miegge, preside di Magistero.

 

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Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà presidente nazionale dal 1996 al 2010, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali – argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni – e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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