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bologna 1977

 

 

 

 

La scena di questo libro…

 

  1. La scena di questo libro è Bologna nell’anno 1976/77. Il sottoscritto curatore del libro insegnava allora all’Università di Bologna, e nel novembre 1976 ha iniziato un corso di letteratura che andava secondo i suoi umori del momento.  L’ho iniziato leggendo in classe i testi d’una letteratura vittoriana minore, chiamata del nonsense, che è come dire libri di sciocchezze o insensatezze. Leggevo le strofette comiche del Book of Nonsense di Edward Lear e i due libri fantasiosi di Lewis Carroll su Alice: Alice in Wonderland e Alice through the Looking Glass.

Le mie lezioni erano abbastanza frequentate. Molti le seguivano per passatempo, come andare a un numero di varietà; altri invece venivano per giudicare quello che dicevo secondo i canoni dell’indottrinamento politico. Ho in mente uno studente barbuto, con tascapane militare a tracolla, aria timida e seria, aderente a uno dei gruppi d’estrema sinistra che si nutrivano di frasi della Terza Internazionale. Questo un giorno mi ha dichiarato il suo stupore che io facessi lezione su cose così poco serie, invece di trattare i problemi della società. Credo che quello studente abbia lasciato le sue tracce nel libro, con severi richiami all’ordine, per poi sparire tra le voci che si accavallano discutendo su incerti argomenti. […]

Il fatto è che quello studente e gli altri a un certo punto discutevano seriamente sulle avventure di Alice, ma era come se parlassero sempre della loro situazione di studenti fuori casa, fuori dalla famiglia. La formula «Alice disambientata» è nata dal loro disambientamento. Il disambientamento dipendeva dal medio strozzinaggio degli affittacamere, dal frequente malservizio delle mense, dalla mancanza di posti per radunarsi senza dover stare sempre per strada. […]

  1. Un giorno nel marzo 77, la polizia assaltava la zona universitaria di Bologna a colpi di candelotti lacrimogeni. Ero capitato lì per sbaglio e mi sono riparato dietro una colonna. Un candelotto fumante è atterrato a pochi passi da me, e subito ho visto qualcuno uscire da dietro un’altra colonna e rispedirlo verso la polizia con un lancio elegante. Era un giovane distinto, con guanti scamosciati (i candelotti scottavano e ci volevano i guanti per lanciarli indietro). Abbiamo scambiato poche frasi, e ho capito che era lì senza altri fini; era lì solo per fare quello sport occasionale che lo eccitava un po’. Ma quando il giorno dopo gli studenti hanno eretto le barricate nella stessa zona universitaria, non credo che facessero niente di piú.

Tirava dappertutto un’aria di svago, di sfida all’autorità, senza sacramenti ideologici, e con qualcuno che suonava allegramente un pianoforte dietro una barricata.

A parte le finzioni di serietà rivoluzionaria, ciò che dava senso ai tumulti studenteschi era la pura voglia di sfogarsi, aprendo la gabbia dell’addomesticamento sociale. Questo andava assieme alla sospensione di certe convenzioni che determinano le scelte sociali del sesso; dunque con amori piú facili, e l’idea d’una liberazione dai tabù sessuali […]

L’altro aspetto comune nelle sommosse studentesche era il bisogno di razionalizzare a posteriori i fatti successi, nascondendo gli sfoghi gratuiti o puramente corporei, e tutto ciò che non rientrava nel canone ideologico. […]

Le novità del marzo sono state queste: che prima la polizia, poi i mezzi di informazione hanno collaborato alla razionalizzazione integrale dei fatti successi a Bologna. I fatti successi si riassumono nell’assassinio d’uno studente colpito da uno sparo della polizia, nella devastazione d’una stazione radio da parte d’una squadra di poliziotti, e in un contingente di carri armati spediti nell’alba alle porte della città come per proclamare uno stato d’assedio. La devastazione della radio – Radio Alice – è stato un colpo di testa paranoico, oltre che illegale. Gratuito l’assassinio dello studente, salvo pensare che la nostra polizia sia attratta irresistibilmente da gesti del genere, cosa da non escludere.

E stupidamente intimidatoria la mossa del ministro Cossiga di mandare carri armati come se fossimo a Budapest nel 1956. Queste non erano operazioni d’ordine pubblico; erano atti di sobillazione per produrre scontri piú accesi, e poter far passare qualche sparso assembramento studentesco per una situazione d’emergenza.

Gianni Celati (a cura di), Alice disambientata, Le Lettere, Firenze 2007, pp. 5-7

Per leggere tutti i testi di Gianni Celati su questo quotidiano, clicca [Qui]

Puoi visitare l’esposizione NEL MIO DESTINO DI DISAVVENTURE PERPETUE: OMAGGIO A GIANNI CELATI presso la Biblioteca Bertoldi di Argenta fino al 31 gennaio 2022.

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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