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La storia di ‘Gialla, la stella’ è nata nel 2003 in una classe terza che ha vissuto direttamente un percorso di integrazione. La presenza di un compagno con disabilità pone infatti l’insegnante di fronte al dovere di parlare con gli studenti dei diversi modi che gli essere umani hanno per esprimere emozioni e bisogni, delle diverse strategie comunicative, dei limiti e delle abilità di ciascuno. Ciò può diventare uno stimolo per ricercare nuove tecniche didattiche e per creare un clima cooperativo in classe: insieme si impara meglio. Anche l’invenzione di storie, a partire dal proprio vissuto, può insegnare ai bambini a guardare le cose da altri punti di vista e può comunicare la propria esperienza.

La storia di Gialla, la stella
C’era una volta il cielo e in quel cielo tante stelle.
Lucio e Lucilla erano due stelle grandi e innamorate, che si volevano così bene ma così bene che stavano aspettando una stellina tutta loro.
Quando nacque decisero di chiamarla Gialla.

Lucio e Lucilla le volevano tanto bene e non vedevano l’ora che facesse luce come loro.
Purtroppo, dopo pochi giorni, invece si accorsero che Gialla non faceva luce e non illuminava neanche un poco.
Riusciva soltanto a brillare per pochi secondi, come se lampeggiasse.
I suoi genitori erano tristi e allora la portarono dalla dottoressa Luciana che aveva l’ambulatorio nella via Lattea.
Gialla aveva paura della dottoressa e non ci voleva andare, ma i suoi genitori gliela portarono lo stesso perché era per il suo bene. Gialla fece tutte le visite, gli esami e le analisi e, alla fine, la dottoressa Luciana disse ai genitori che la loro figlia non aveva i “brillantini” nel sangue e quindi non poteva illuminarsi e, se non poteva illuminarsi, non poteva neanche illuminare. Al massimo poteva brillare per pochi secondi.
I suoi genitori non sapevano come fare e Gialla non capiva perché i suoi genitori non sapevano come fare.
Lei stava bene, era contenta di avere due genitori che le volevano bene, ma era anche triste: non capiva perché loro erano tristi quando la guardavano.

Dopo un po’ di tempo Lucio e Lucilla decisero di mandare Gialla alla scuola “Stellare”, per vedere se imparava qualcosa.
Le maestre si accorsero subito che non potevano insegnarle l’alfabeto della luce e nemmeno a illuminare da sola o vicino alle compagne.
Per forza che Gialla non ci riusciva: le mancavano i “brillantini” nel sangue!
Però a Gialla piaceva stare a scuola; c’era qualche sua compagna che la prendeva in giro, ma lei non ci faceva tanto caso.
A lei piaceva giocare ed era proprio lei che, durante l’intervallo, inventava sempre giochi nuovi e li proponeva alle altre. Sembrava che non si stancasse mai.
Al lunedì Gialla diceva: “Giochiamo a Stella comanda color”?
Tutte erano curiose e le chiedevano come si giocava, lei lo spiegava, poi giocavano insieme e si divertivano molto.
Il martedì Gialla diceva: “Chi vuol giocare a un, due, tre, Stella?”
Di mercoledì Gialla diceva: “Dai che giochiamo a Stella in alto?”
Al giovedì Gialla diceva: “Cri, cri, chi gioca a Nasconditistella venga qui!”
Il venerdì Gialla diceva: “So un gioco nuovo, si chiama Labirinto stellare. Chi gioca con me?”
E di sabato Gialla diceva: “Facciamo una partita a Pallastella?”
Tutti i giorni le sue compagne erano curiose e le chiedevano come si giocava, lei lo spiegava, poi giocavano insieme e si divertivano molto.
E tutte le settimane Gialla inventava giochi nuovi.
Le maestre, che si erano accorte della fantasia di Gialla, decisero di farle spiegare in classe i giochi che inventava in modo che tutti li potessero imparare meglio.
E quando avevano bisogno di trovare un modo per insegnare meglio una certa materia a tutte, le maestre si facevano aiutare dalla fantasia di Gialla.
Ma la domenica la scuola non c’era e Gialla si annoiava. Rimaneva a casa da sola perché i suoi genitori dovevano andare a illuminare le notti del mondo.
Le sue compagne, invece, di notte, andavano con i loro genitori perché sapevano far luce… ma si annoiavano perché sentivano molto la mancanza dei giochi inventati da Gialla.
Per fortuna che al lunedì c’era la scuola e a scuola c’era chi inventava giochi nuovi tutti i giorni.

Presto però arrivarono le vacanze estive e quella fu un’estate che il cielo non dimenticherà tanto facilmente.
Successe che, finita la scuola, le compagne di Gialla e anche le sue maestre sentivano talmente la mancanza dei suoi giochi inventati che diventarono sempre più tristi.
E più diventavano tristi, meno illuminavano le notti.
E meno illuminavano le notti, più il cielo diventava buio.
E più il cielo diventava buio, meno la gente lo guardava.
E meno la gente guardava il cielo, più perdeva la voglia di sognare.
E più la gente perdeva la voglia di sognare, meno speranza aveva nel futuro.
Luna, che era saggia e aveva capito la gravità del problema, decise di fare qualcosa.
Parlò con i genitori di Gialla e disse che dovevano portare sempre la loro figlia con loro, soprattutto quando andavano a illuminare il mondo altrimenti le belle notti stellate sarebbero state sempre più rare.
Lucio e Lucilla non capivano bene il perché, ma obbedirono perché Luna era molto importante nel cielo.
Quando le compagne e le maestre videro arrivare Gialla insieme ai suoi genitori, furono talmente felici che iniziarono a ridere e Gialla fu talmente emozionata che iniziò a tremare di luce.
Iniziarono subito a giocare nel cielo tutte insieme e a divertirsi tantissimo.
Le stelle grandi che stavano tutte intorno erano felici di vedere tutto quel movimento e a loro volta si illuminarono ancora di più. Poi giocarono anche loro.
Giocavano tutte insieme e non si erano mai divertite tanto.
Lucio e Lucilla erano le stelle più brillanti che si fossero mai viste nel cielo.
Quella notte il cielo diventò straordinario e la gente che lo vide non riusciva a staccare lo sguardo.

Da quel giorno Gialla andò sempre a illuminare le notti del mondo insieme alle sue amiche e anche se lei brillava solo a tratti, il cielo senza di lei non sarebbe stato così luminoso di felicità.
Perciò se una notte ti capita di guardare il cielo e di non vedere neanche una stella, prova ad aspettare un po’ perché forse Gialla e le sue amiche stanno giocando a “Nasconditistella”.

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I Bambini del Cocomero


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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