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di Andrea Nascimbeni

Correre dietro a chimere, con l’illusione di essere colti; stordirsi con fole impossibili, condite di indegne paccottiglie; “bersi ridicoli polpettoni, in cui le sciocchezze e le banalità pullulano, dove con la scusa della “storia”, si sciorinano errori e bugie e, in nome di una falsità eretta a sistema, si confonde lo share con la serietà, l’audience con il fondamento scientifico: perché, non dimentichiamolo, la storia è scienza, juxta propria principia certamente, ma non per questo, di rango inferiore.

Il medioevo impazza: un fenomeno mediatico che ci riporta “ai secoli bui”, illuminati non tanto dal lume di seri studi, che si appellano a fonti sicure, da ricerche documentarie, quanto, piuttosto e ahimè, dico io, da luci della ribalta, da fotoelettriche di un set. Un medioevo da cinema, da festa cittadina o da sagra paesana, in cui abbonda la fiction: play games, in cui tra una giostra e una cena delle beffe, molti si travestono e giocano. Oppure visitano a frotte, inopinatamente, perché sono cascati nel tranello mediatico, paeselli pirenaici assolutamente “innocenti”, come Rennes-le-Château: eppure colpevoli – agli occhi di qualche sedicente odierno imbonitore della carta stampata – di custodire segreti terribili che, guarda caso, traggono la loro origine da una gnosi maldigerita. Tanto più piace, quanto meno si studia, povero medioevo!

Poi, a soffrirne, in questo analfabetismo di ritorno in cui è caduto il postmoderno, è la “cultura” con la maiuscola. Perché, nonostante il tempo trascorso, sembra che la querelle tra Illuminismo e Romanticismo, circa il Medio Evo, sia approdata ad un nulla di fatto: chi vince, tra Voltaire e Walter Scott? Sembra più facile leggere i fantasy nonostante la mole, swords and dragons a go-go, Dan Brown, Ken Follett o Norman Cohn, piuttosto che una sola riga di Étienne Gilson, Marc Bloch o Johan Huizinga. Intanto, le nostre università languono, le cattedre di storia medioevale o di filologia romanza, appassiscono come le rose e i centri di studio come quello di Spoleto, sono in affanno: gli studenti prendono altre vie, i neolaureati migrano all’estero.

Ma torniamo comunque alla nostra età di mezzo, che è una miniera da cui attingono letterati e artisti: il luogo degli opposti, come sosteneva Régine Pernoud, e il tempo in cui gli uomini oscillano tra la stabilità del castello e il moto inquieto del pellegrinaggio, in cui convivono la fede adamantina di San Bernardo e l’arditezza di Abelardo, Maria di Lais e Ildegarda di Bingen.

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Copertina di L’imperatore, il re del mondo, il cavaliere di F. Cardini

E, soprattutto, accostiamoci in sintesi ammirata al libro di Franco Cardini, storico di gran fama, L’imperatore, il re del mondo, il cavaliere edito da Cartabianca, opera in cui ricerca storica, esperienza narrativa e invenzione fantastica si intrecciano in modo mirabile. Un “racconto iniziatico” come lo definisce l’autore stesso, e la memoria letteraria scivola inevitabilmente verso L’asino d’oro di Apuleio o Die Zauberflöte di Schikaneder per Mozart, in cui è chiara la duplice valenza: sociale perché si diventa parte di un corpo sociale attraverso l’iniziazione; e personale, in quanto si acquista consapevolezza del proprio essere e padronanza di sé. “Un (quasi) nuovo romanzo” – è sempre Cardini che scrive – perché nato nel lontano e nevoso inverno del 1979-80 in località Paliana sull’Appennino tosco-emiliano, dove l’autore e la sua famiglia restarono bloccati da una nevicata, copiosa come poche altre, sui monti a Nord del passo della Futa. Il forzato isolamento favorì la genesi del romanzo che sarà edito da Camunia nel 1996, auspice l’amico Raffaele Crovi, con il titolo Il giardino d’inverno. Dal giardino d’inverno a Il Giardino della Vita il passo è breve. Come scrive l’indimenticabile don Franco Patruno nell’Introduzione «(é) chiara allusione a quel Giardino della Vita che anche la letteratura ha cantato come paradiso perduto. Ma per Franco non ci sarebbe pellegrinaggio senza mèta, non si avvierebbe, cioè il cammino, se non si vedesse Gerusalemme sullo sfondo, non come fondale di un proscenio illusorio ma come approdo di cuori e nazioni».

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Illustrazione di M. P. Forlani a L’imperatore, il re del mondo, il cavaliere

A percorrere il Vortice del Tempo per ritrovarsi dopo molte vicissitudini al punto di partenza, presso la reggia di Federico II di Svevia, è un cavaliere, uno di quei milites silvani di cui parla il più celebre dei Carmina burana e l’ambiente é il bosco, fin dai tempi dei Romani – la Silva Ercynia di tacitiana memoria, per esempio – luogo del mistero.

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Illustrazione di M. P. Forlani da L’imperatore, il re del mondo, il cavaliere

A commento e illustrazione di questo viaggio, in cui già la sapienza narrativa di Franco Cardini conduce il lettore, si rimane incantati dai bei disegni di Maria Paola Forlani: in un intreccio di segni fitti, Maria Paola «propone il suo Giardino, … e la fiaba nascosta nella storia emerge in tutta la sua chiarezza grazie al tocco dell’artista» (dall’Introduzione di Don Franco Patruno).

F. CARDINI, L’imperatore, il re del mondo, il cavaliere, Carta Bianca ed., Faenza, 2013, ill.

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

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Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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