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E’ vero, siamo sempre sotto elezioni, ma non sempre sappiamo davvero valutare cosa ci aspetta. Ora si avvicina anche il momento di votare il Sindaco, e allora credo che sia utile proporre qualche considerazione sul tipo di città che vogliamo. Di seguito propongo qualche riflessione.
La città rappresenta la società in cui viviamo, in cui corriamo, talvolta senza sapere in quale direzione. Siamo spesso travolti dalla complessità creata da noi stessi ed abbiamo crescenti difficoltà a gestire i valori. Che cosa facciamo affinché le città siano un luogo di felicità? Perché le stiamo distruggendo?
In realtà forse abbiamo difficoltà a capire cosa sia una città da un punto di vista sociologico, urbanistico o economico; le città sono oggi delle realtà molto complesse, differenziate e turbolente, non si lasciano guidare da progettualità tradizionali, ma richiedono impegni globali e risorse trasversali. È un errore molto diffuso ritenere che l’appartenenza collettiva sia in contrasto con progetti legati a individualità e universalità. Vero è piuttosto il contrario: anche il più universale dei consensi ha bisogno, per realizzarsi, di essere delimitato dall’approvazione dei singoli. Ciò che è grave è che spesso l’uomo, immerso com’è nella complessità, si abbandoni alla fatalità. Se ritiene lontana la soluzione o il suo reale coinvolgimento tende ad escludersi o meglio a vivere da “esterno” il problema. Troppo spesso, anche sull’ambiente, comunichiamo i disastri, le situazioni ingestibili e comunichiamo paure, non coinvolgimento. L’uomo si è arreso a “qualcosa” (non a qualcuno come in passato) e cerca sicurezza, certezza, conforto.
Oggi assistiamo al primato della comunicazione sulla conoscenza e, talvolta, è la comunicazione a fare politica e non viceversa. Invece il consenso, come il profitto, può essere giudicato e se ne possono mettere in luce la natura e le condizioni.
Siamo dunque in una fase di passaggio dalla comunità alla società, dunque dalla sociologia alla soggettività in una divaricazione crescente tra sistema e attori nelle società moderne. La vita sociale si riduce all’interesse e al piacere dell’individuo e perde la coscienza collettiva. Si parla molto di emarginazione, di povertà, di criminalità, disoccupazione e si pensa alla repressione; diventa così paradossale che ci si rifaccia a qualcosa che esclude e segrega. Diventa sempre più difficile parlare dei diritti dell’uomo e del cittadino, cioè identificare diritti collettivi e diritti civili. E’ giusto parlare di diritti politici, sociali e culturali, ma anche di doveri nei confronti delle collettività private e pubbliche a cui si partecipa.
Conoscere come la gente spera e chiede di star bene sarà lo scopo basilare di ogni politica futura. Dalla politica fatta di rappresentanza alla politica di motivazione; da quella degli specialisti alla politica di tutti, con progressivo sganciamento della politica dal potere. A tutti toccherà comandare, insegnare e aiutare. Cominciamo dalla scelta del nostro Sindaco.

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Andrea Cirelli

È ingegnere ed economista ambientale, per dieci anni Autorità vigilanza servizi ambientali della Regione Emilia Romagna, in precedenza direttore di Federambiente, da poco anche dottore in Scienze e tecnologie della comunicazione (Dipartimento di Studi Umanistici di Ferrara).

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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