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Alberto Ridolfi ha chiamato ”pensieri” le prime poesie pubblicate. Trattano della quotidianità, di ricordi famigliari, della sua Ferrara, ma anche di temi universali. Inoltre ha scritto zirudele e storielle con smaliziato umorismo. Di seguito: a) una poesia dedicata ad una piccola chiesa, a un rituale pietoso che vi si svolgeva e alla musica del suo organo Cipri del 1551, b) un pensiér in cui l’autore presenta se stesso.
Ciarìn

 

La Céśa dal Sufràģ

Quand as viéη su piaη piaη par Saη Rumàn
dop soquànt mètar, uη puchìη źó ad man
a gh’è ‘na céśa, coη la sò fazàda
ad préda viva, briśa intunacàda.
L’entrada, du scalìn uη póch slisà;
al marciapié par fàragh da sagrà.
Cot più da gli intempèri che dal sól,
che la sóta al gh’ariva quand che al pòl,
un brut purtóη l’è mis int al pasaģ
pr’ andàr déntr’ a la Céśa dal Sufràģ.
La s’ciàma acsì parché i cundanà
che in piaza dal Travàj gniśéa cupà,
j’ i ciapàva i Cumpàgn dla Bona Mort
e i faśéva fiη chi al sò traspòrt;
una Messa in sufràģ dl’anima ria
e po’ iη spala, una cróś e via.
Comunque, apéna déntar, che splendór!
Una penombra, il candél, l’udór,
tut iηmasćià da céśa e da umdità,
che as sént sól int i pòst ch’è tgnù sarà.
Sénza lusso, però bén adurnàda,
e la Madòna sémpr’ iηluminàda.
Un òrgaη, che s’tié tanta furtunà
da capitàr intànt che al viéη sunà,
al t’ciapa da la strada e po’ al t’mena
déntr’ a la céśa, cóme ‘na siréna
e apéna al t’a tirà déntr’ al purtón
al t’fa gnir vója ad dir il tò urazión.

La Chiesa del Suffragio
Quando si viene su pian piano per San Romano / dopo alcuni metri, un po’ giù di mano / c’è una chiesa, con la sua facciata / di pietra viva, non intonacata. / L’entrada, due scalini un poco lisci; / il marciapiede per farci da sagrato. / Cotto più dalle intemperie che dal sole, / che là sotto gli arriva quando può, / un brutto portone è messo nel passaggio / per entrare nella Chiesa del Suffragio. / Si chiama così perché i condannati / che nella piazza del Travaglio venivano accoppati, / li prendevano i Compagni della Buona Morte / e facevano fin qui il loro trasporto; / una messa in suffragio dell’anima malvagia / e poi in spalla, una croce e via. / Comunque, appena dentro, che splendore! / Una penombra, le candele, l’odore, / tutto mischiato da chiesa e da umidità, / che si sente solo nei posti tenuti al chiuso. / Senza lusso, però per adornata, / e la Madonna sempre illuminata. / Un organo, che se sei tanto fortunato / da capitare mentre vien suonato, / ti prende dalla strada e poi ti accompagna / dentro alla chiesa, come una sirena / e appena ti ha attirato dentro al portone / ti fa venir voglia di dire le tue orazioni.

 

A son uη zitadìη

Mi a son uη zitadìη;
mi a son uη ‘d quéi
nat avśìn al zéntar
tacà al Ghétt di ebrèi.

A scriv ad quél che a véd,
a scriv ad quél che a sént,
iη fraréś parché agh créd,
ma briśa par la źént.

Par fisàr il j idèi,
par métar źó i peηsiér,
par dscórar di mié cvèi,
prima che i dvénta iér.

Sono un cittadino
Sono un cittadino; / sono uno di quelli / nati vicino al centro / vicino al Ghetto degli ebrei. /
Scrivo di quello che vedo, / scrivo di quello che sento, / in ferrarese perché ci credo, / ma non per la gente. /
Per fissare le idee, / per mettere giù I pensieri, / per parlare delle mie cose, / prima che diventino ieri.

Tratte da: Alberto Ridolfi, Pensiér in frarés, Ferrara, AMGA,1992.

Alberto Ridolfi (Ferrara 1931- 2012)
Ingegnere elettronico, insegnante di informatica. Presidente del Tréb dal Tridèl dal 2003 al 2006. Socio anche del Gruppo Scrittori Ferraresi. Simpaticissimo attore dialettale dalla memoria formidabile, attento e puntuale studioso del nostro vernacolo. Altre sue poesie nella raccolta Fora dal temp (2000).
Ideatore di un utile opuscolo Scrìvar e lèzar al fraréś, dó o tré pìlul ad gramatica (2006). Co-autore di un Vocabolario italiano-ferrarese (2007).

Al cantóη fraréś: testi di ieri e di oggi in dialetto ferrarese, la rubrica settimanale curata da Ciarin per Ferraraitalia, con il grande caldo rallenta il passo ma non chiude per ferie. Nei mesi di luglio ed agosto uscirà ogni quindici giorni, sempre il venerdì. Per leggere le puntate precedenti clicca [Qui]

 

Cover:  Ferrara, via San Romano, Chiesa del Suffragio (foto di Marco Chiarini, giugno 2020)

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Ciarin


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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