Skip to main content

Lo scadere di ogni anno porta con sé il tempo dei bilanci. Sul terreno dell’istruzione e della formazione ci forniscono spunti di riflessione l’annuale rapporto dell’Ocse “Education at a Glance” e, in casa nostra, il “Rapporto sul benessere equo e sostenibile” dell’Istat. Da tempo le ricerche internazionali utilizzano il livello di istruzione come misura indiretta del capitale umano, hanno dimostrato che le persone con un alto livello di istruzione in genere godono di una salute migliore, sono socialmente più impegnate, il loro tasso di occupazione è maggiore e i guadagni più elevati. Da questo punto di vista dovremmo essere davvero preoccupati del nostro 41% di popolazione, tra i 25 e i 64 anni, con un livello di istruzione al di sotto della secondaria superiore, contro la media Ocse del 24%. Per non parlare del nostro esiguo 17% con un livello di istruzione terziario contro la media Ocse del 34%, esattamente la metà. Nel conto va considerato che l’accesso all’università da noi è ostacolato dal numero chiuso e dai test di ammissione, non è gratuito come in Germania e i nostri studenti non godono di supporti economici.
Ma guardiamo le cose in positivo, il rapporto dell’Istat in materia di istruzione esordisce con un titolo rassicurante: “Migliorano i livelli di formazione e si riduce il divario con l’Europa”. Non dice però che, da dieci anni a questa parte, tutti i paesi dell’Ocse registrano un progressivo miglioramento, ma i tassi di incremento nel nostro paese sono tra i più bassi, pertanto inadeguati a colmare la distanza accumulata.
Si ha l’impressione che gli ‘zero virgola’ più che una tendenza al miglioramento registrino gli effetti del naturale avvicendarsi generazionale. Man mano che nei rilevamenti statistici ci si approssima a popolazioni che hanno beneficiato dell’istruzione di massa, anche gli indici di percentuale sono destinati a mutare. A non mutare invece è la capacità di aggredire ciò che del nostro sistema formativo continua a non funzionare. L’Italia si conferma un paese che in materia di cultura e istruzione ha due velocità tra Nord e Sud, un paese in cui le condizioni di partenza per censo e cultura fanno ancora la differenza.
I dati non ci dicono nulla di diverso da quanto già non sapessimo; ci saranno anche quelli che spasimano per uno zero virgola in più o in meno, ma il dato di fondo non cambia: ci troviamo di fronte a politiche formative mal disegnate, incapaci di garantire equità e mobilità sociale.
Siamo lontano dall’obiettivo, uscito dal summit mondiale sull’istruzione tenutosi a novembre a New York, di garantire entro il 2030 un’istruzione di qualità, inclusiva ed equa per tutti, accrescendo le opportunità di apprendimento permanente per le persone di ogni età.
Una cosa, per esempio, che non viene detta nei rapporti statistici di casa nostra, è che l’Italia non partecipa alle indagini Ocse sui livelli di competenza della popolazione adulta, il Piaac (Programme for the International Assessment of Adult Competencies). L’istruzione degli adulti, che incide sui livelli culturali complessivi del paese, è un capitolo da noi ancora ampiamente trascurato. L’Italia, tanto per incominciare, non fornisce dati circa la padronanza delle tecnologie informatiche e la capacità di problem solving da parte della sua popolazione adulta, su questo terreno preferiamo non confrontarci con gli altri paesi dell’Ocse. Misuriamo invece i nostri livelli culturali computando i libri che leggiamo, con quanta frequenza andiamo al cinema e a teatro, per non parlare della lettura dei giornali, che pare essere crollata. Insomma nei casi migliori rimaniamo aggrappati ai cliché culturali della tradizione, disdegnando le opportunità offerte dalle nuove tecnologie della comunicazione.
Quando si arranca per recuperare strada, per raggiungere gli altri, difficilmente si è in grado di vedere cosa c’è oltre la linea d’arrivo dei nostri sforzi. E questo è l’errore che ci manterrà sempre in ritardo, perché mentre noi siamo impegnati nella rincorsa, gli altri partono per traguardi più avanzati, lasciandoci così sempre più indietro. Allora, forse, cambiando la macchina anche noi potremmo darci obiettivi nuovi e più ambiziosi, anziché continuare a inseguire quelli ormai mancati.
Fotografare il presente resta una buona pratica, registrare gli output del nostro sistema formativo è utile per dirci quanta distanza ci separa dagli altri, ma non ci aiuta a guardare più lontano. Se il sistema formativo non cambia non possiamo attenderci performance molto differenti da quelle che ormai da anni registrano sia i dati Ocse che i dati Istat.
Inseguire indicatori come il numero di diplomati, di laureati, di abbandoni scolastici, eccetera è come il serpente che si morde la coda, perché si continuano a rilevare e misurare i sintomi senza mai aggredirne le cause. Alla narrazione degli output dovremmo imparare ad accompagnare la narrazione degli input e degli indicatori di processo, quelli che potrebbero davvero cambiare la trama dei racconti e assicurare un finale una volta tanto diverso da quelli già conosciuti. Quali sono questi indicatori? La qualità degli insegnamenti e di chi insegna, la qualità degli ambienti dove si impara e come si impara. Attori e politiche dell’istruzione, questo è il nostro teatro dei pupi che ogni anno mette in scena il copione della formazione nel nostro paese.

tag:

Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it