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I leader della terra si ritrovano a Davos, tra le discussioni in programma: come porre freno alle migrazioni e risolvere il problema del lavoro in Europa da qui al 2050 .

Disuguaglianza, come è possibile valutarla? Talvolta con essa ci riferiamo a qualcuno che non ha abbastanza cibo, ma è sufficiente? Durante l’inverno, nell’emisfero settentrionale, essere in mancanza di qualcosa significa anche avere molto freddo e talvolta persino morirne. In questi giorni i leader mondiali ed europei si sono dati appuntamento per l’Economic World Forum di Davos, in cui avranno modo di discutere anche sul crescente numero di migranti che, purtroppo, in questo duro inverno stanno sfidando la sorte per rimanere in vita. Negli ultimi mesi abbiamo avuto modo di vedere il triste epilogo delle vittime sulle rotte di Iraq, Afghanistan, Siria e Somalia, ma anche negli insediamenti di fortuna, nei parcheggi, nei magazzini e nelle tendopoli in cui i migranti sono soliti riunirsi, dalla Bulgaria al canale della Manica.

Negli ultimi tre anni, l’Organizzazione Internazionale per la Migrazione, un’agenzia delle Nazioni Unite, ha calcolato che ci sono stati ben 18.500 migranti morti scomparsi, molti dei quali affogati nel mar Mediterraneo. Solo nello scorso anno, il sogno di una vita migliore si è infranto per almeno 7.500 di loro, ma, dati alla mano, il numero è destinato a crescere. È stato anche calcolato che ogni giorno perdono la vita circa 17 migranti, tra uomini, donne e bambini, quasi uno ogni ora. La situazione, d’altronde non è affatto rosea, lo sanno sia alle Nazioni Unite che nelle sedi delle ONG internazionali e persino i governi: le migrazioni di massa non finiranno tanto presto, almeno non in pochi anni.

Gli economisti prevedono che con il crollo delle nascite in Europa e l’invecchiamento della popolazione il vecchio continente predisporrà, e avrà oggettivamente bisogno, di posti di lavoro da affidare a chi deciderà di cercare qui un nuovo lavoro e una nuova famiglia. La situazione è misurabile in milioni di occupazioni, previste almeno fino al 2050. Si tratta quindi di vedere due diversi continenti: uno molto giovane, come quello africano, che deve in qualche modo indirizzare i propri talenti lavorativi e artistici e uno in via di invecchiamento, quello europeo, che è innegabilmente costretto ad aprire i propri confini sentendosi però protetto e sicuro. Questo è il nodo principale cui la politica internazionale sta cercando una soluzione.

Sicuramente gran parte della diplomazia ha individuato un possibile proponimento nel ridurre l’immigrazione irregolare favorendo un transito più regolare di chi effettivamente arriva in Europa per cercare lavoro e fuggire da condizioni geo-politiche prettamente negative. A questo punto si apre uno scenario su cui è importante che i leader mondiali trovino un’idea convergente. È chiaro che in questi anni uno dei principali quesiti posti alle dinamiche diplomatiche internazionali è stato come porre rimedio ad una situazione emergenziale legata alle migrazioni, ma nel prossimo futuro la sfida sarà quella di fare progetti a lungo termine per milioni e milioni di persone che arriveranno, e sono già arrivate, in Europa.

Uno dei programmi che molti economisti e politici hanno disegnato, risiede nell’aumentare la possibilità di lunghi permessi di soggiorno per studenti e lavoratori nel breve termine, nella speranza che tale offerta possa generare abbastanza ricchezza, nel tempo, da frenare l’arrivo di componenti della stessa famiglia, anche nell’ottica di un assestamento delle condizioni politiche orientali. Non è affatto facile, d’altronde, prevedere i flussi migratori e i movimenti delle popolazioni, gli europei ne sono stati testimoni sulla loro stessa pelle nel 1800 e anche dopo la caduta del muro di Berlino con il crollo dei regimi comunisti. Era imprevedibile assistere alla fine del blocco sovietico, eppure… Oggi molti dei partiti nazionalisti vedono come unica soluzione quella di bloccare interamente le migrazioni, nonostante sia evidente che linee politiche restrittive nei confronti dei migranti siano molto obsolete, come concezione e come modo di sostenere linee programmatiche internazionali che trattano di vite umane.

Quello che si spera venga ricercato – e trovato – a Davos è un vero e proprio piano comprensivo delle migrazioni, meno emergenziale e più costruttivo del futuro dei nuovi cittadini e dei già residenti europei. L’Unione Europea, su questa linea, sta già collaborando assieme allo Iom (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) con 14 stati africani per arginare in ogni modo possibile il movimento di popolazioni poverissime attraverso il deserto e poi attraverso il mare, una strada che potrebbe già di partenza, portare a migliaia di morti. Sta però anche ai vertici delle industrie, riunirsi a Davos, per dar vita a una nuova politica industriale che tenga conto delle migrazioni. In un mondo globalizzato le grandi corporations hanno la possibilità di spostare facilmente insediamenti e mercati, ma non ne hanno altrettanta facoltà molti piccoli imprenditori, allevatori, coltivatori, vessati dal minor costo delle importazioni e decisamente fuori mercato nel loro stesso paese.

Rivitalizzare l’economia in questo senso è una grande sfida, prevalentemente lo è cercare di far crescere l’indotto interno proprio grazie a chi arriva da fuori, ma d’altronde è l’unica possibilità al momento concepibile. In Europa ci sarà ben presto bisogno di tantissimo lavoro, soprattutto nei livelli di cosiddetto “lower-skilled labour” e sarà quasi logico per le aziende regolamentare un accesso all’impiego per molti che arriveranno nel continente.

Di sicuro, credono anche alle Nazioni Unite, i migranti saranno felici di sostenere una spesa per entrare legalmente in Europa e avere lavoro. Lo fanno già adesso sapendo di non riuscire nemmeno ad attraversare il Mediterraneo.

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Diego Gustavo Remaggi


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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