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Il tema della gender equality è uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile indicati dalle Nazioni Unite, ma inutile dire che siamo ancora ben lontani dal conseguirlo.
Secondo le Nazioni Unite le donne stanno soffrendo di più per l’impatto economico del virus.[1]. Prima di tutto perché meno donne lavorano. Il 94%degli uomini tra i 25 e i 54 anni ha un’occupazione contro il 63% delle donne nella stessa fascia di età. Le donne che lavorano hanno uno stipendio minore. Gli ultimi dati Eurostat sulla disparità salariale in Europa, registrano una differenza media del 15%.

Secondo il rapporto Eures nei primi 10 mesi del 2020 in Italia sono stati registrati 91 femminicidi di cui 18 avvenuti all’interno del nucleo familiare. Il 2020 è stato l’anno in cui l’incidenza della componente femminile nel totale degli omicidi è stata del 40,6%, cioè la più alta di sempre.  Ben 15mila sono le chiamate di aiuto delle donne al nr 1522 tra marzo e giugno 2020, un numero doppio rispetto a quello dell’anno precedente. Ogni anno i fondi vengono stanziati e i nomi delle donne uccise dal partner aumenta. 28 milioni è la cifra stanziata per i centri antiviolenza e le case rifugio. Vedremo quanti ne arriveranno a destinazione.

Durante il lockdown il peso maggiore è stato sostenuto dalle donne. La chiusura delle scuole e dei centri diurni per le persone non autosufficienti aumenta la mole di lavoro domestico e di cura. Il lavoro da una manodopera retribuita – asili scuole, babysitter – si trasferisce ad una che non lo è. Le donne che lavorano spendono in media più di 4 ore al giorno per i lavori domestici e di cura non retribuiti, contro solo meno di 2 ore al giorno degli uomini occupati.

I dati dell’Ispettorato del lavoro confermano la situazione pesante per le donne: nel 2019 sono aumentate le dimissioni delle lavoratrici che avevano avuto da poco dei bambini. Di contro, solo un terzo (rispetto alle donne) dei neo papà hanno lasciato il lavoro per seguire i figli. La pandemia ha pesato sull’occupazione. Del resto nel 2020 per le famiglie mancano all’appello 29 miliardi di reddito e 108 miliardi di consumi. Nel solo dicembre scorso su 101 mila posti perduti, ben 99mila erano donne.

Il settore dei servizi alle famiglie, dove le donne sono l’86,8% del totale, conta 65mila occupate in meno e 15mila uomini in più.

Inutile dire che la chiusura delle scuole ha penalizzato le madri e i bambini specialmente nelle famiglie meno abbienti, in cui la didattica a distanza è più problematica sia per le minori attrezzature informatiche sia per il minore livello di competenze scolastiche.
Già prima della pandemia, nella fascia tra i 25 e i 49 anni, il tasso di occupazione delle donne senza figli era del 71,9%. Con un figlio in età scolare scendeva al 53,4%. Il titolo di studio incide sulla partecipazione e la qualità del lavoro, quindi il fatto che le laureate in Italia siano il 22,4%, contro il 35,5% della media europea, pesa negativamente sulla posizione lavorativa.[2]
La chiusura
delle scuole e dei centri diurni per le persone non autosufficienti accresce la mole di lavoro domestico e di cura per le donne. Le donne infatti, spendono in media 4,1 ore al giorno per i lavori domestici e di cura familiare, contro solo 1,7 al giorno degli uomini. Si è creato per le donne un carico di lavoro, mentale, psicologico, emotivo molto pesante.

Secondo una ricerca recente condotta dalla Bocconi, il 66% delle donne (rispetto al 40% degli uomini) dichiara di avere svolto in questi mesi più lavoro domestico rispetto al periodo precedente alla pandemia. Lo stesso vale per i figli: più del 60% delle donne intervistate ha dichiarato di avere speso più tempo nella cura dei figli, contro il 50% dei maschi.

Prima di tutto perché meno donne lavorano. Il 94%degli uomini tra i 25 e i 54 anni ha un’occupazione contro il 63% delle donne nella stessa fascia di età.

Le donne, quando lavorano, hanno uno stipendio minore. Gli ultimi dati Eurostat sulla disparità salariale in Europa, registrano una differenza media del 15%.
Durante il lockdown il peso maggiore è stato sostenuto dalle donne. La chiusura delle scuole e dei centri diurni per le persone non autosufficienti aumenta la mole di lavoro domestico e di cura. Il lavoro da una manodopera retribuita – asili scuole, babysitter – si trasferisce ad una che non lo è. Le donne che lavorano spendono infatti in media 4,1 ore al giorno per i lavori domestici e di cura non retribuiti, contro solo 1,7 ore al giorno degli uomini occupati.

Secondo una ricerca recente condotta dalla Bocconiil 66% delle donne (rispetto al 40% degli uomini) dichiara di avere svolto in questi mesi più lavoro domestico rispetto al periodo precedente alla pandemia. Lo stesso vale per i figli: più del 60% delle donne intervistate ha dichiarato di avere speso più tempo nella cura dei figli, contro il 50% dei maschi.-
Nel Piano nazionale di ripresa dell’ItaliaNext Generation – sono previste risorse ingenti per la parità di genere (4,2 mld); sarà importante che gli obiettivi legati all’occupazione femminile vengano realizzati nei tempi previsti, utilizzando tutte le risorse a disposizione.

In ogni situazione le donne affrontano in un modo importante le difficoltà della vita: hanno maturato una vera e propria cultura della cura, hanno sviluppato la capacità di andare avanti comunque, ma non senza costi. In generale, afferma la direttrice del Centro di Medicina di Genere dell’Istituto superiore di sanità, “le donne sono più attente, sono loro che ad esempio in famiglia portano il marito e i figli all’attenzione del medico, seguono le vaccinazioni, si occupano in generale della salute”.

Verifichiamo una differenza di genere forte nei comportamenti e nelle attitudini nell’affrontare la pandemia che è stata confermata anche da studi analoghi condotti in Francia, Germania, Inghilterra e Stati Uniti e che probabilmente è destinata a rimanere anche nei prossimi mesi”.

Non c’è molto da festeggiare nella prossima ricorrenza dell’8 marzo, ma invece molto da fare in ogni ambito: dall’istruzione, al lavoro, ai servizi, non da ultimo alla costruzione di immagini sociali meno stereotipate.
Quindi, almeno questo anno, mettiamo da parte le mimose: ognuno in rapporto ai propri ruoli, è chiamato ad avviare azioni concrete.

[1] F. De Bortoli, “Futuro grigio senza la forza delle donne”, Corriere della Sera, 8/21/21
[2] , Nazioni Unite, The Impact of COVID-19 on Women [Vedi qui]

Per leggere tutti gli articoli della rubrica Elogio del presente di Maura Franchi clicca [Qui]

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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