Tempo di lettura: 5 minuti
Il tema della gender equality è uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile indicati dalle Nazioni Unite, ma inutile dire che siamo ancora ben lontani dal conseguirlo.
Secondo le Nazioni Unite le donne stanno soffrendo di più per l’impatto economico del virus.[1]. Prima di tutto perché meno donne lavorano. Il 94%degli uomini tra i 25 e i 54 anni ha un’occupazione contro il 63% delle donne nella stessa fascia di età. Le donne che lavorano hanno uno stipendio minore. Gli ultimi dati Eurostat sulla disparità salariale in Europa, registrano una differenza media del 15%.
Secondo il rapporto Eures nei primi 10 mesi del 2020 in Italia sono stati registrati 91 femminicidi di cui 18 avvenuti all’interno del nucleo familiare. Il 2020 è stato l’anno in cui l’incidenza della componente femminile nel totale degli omicidi è stata del 40,6%, cioè la più alta di sempre. Ben 15mila sono le chiamate di aiuto delle donne al nr 1522 tra marzo e giugno 2020, un numero doppio rispetto a quello dell’anno precedente. Ogni anno i fondi vengono stanziati e i nomi delle donne uccise dal partner aumenta. 28 milioni è la cifra stanziata per i centri antiviolenza e le case rifugio. Vedremo quanti ne arriveranno a destinazione.
Durante il lockdown il peso maggiore è stato sostenuto dalle donne. La chiusura delle scuole e dei centri diurni per le persone non autosufficienti aumenta la mole di lavoro domestico e di cura. Il lavoro da una manodopera retribuita – asili scuole, babysitter – si trasferisce ad una che non lo è. Le donne che lavorano spendono in media più di 4 ore al giorno per i lavori domestici e di cura non retribuiti, contro solo meno di 2 ore al giorno degli uomini occupati.
I dati dell’Ispettorato del lavoro confermano la situazione pesante per le donne: nel 2019 sono aumentate le dimissioni delle lavoratrici che avevano avuto da poco dei bambini. Di contro, solo un terzo (rispetto alle donne) dei neo papà hanno lasciato il lavoro per seguire i figli. La pandemia ha pesato sull’occupazione. Del resto nel 2020 per le famiglie mancano all’appello 29 miliardi di reddito e 108 miliardi di consumi. Nel solo dicembre scorso su 101 mila posti perduti, ben 99mila erano donne.
Il settore dei servizi alle famiglie, dove le donne sono l’86,8% del totale, conta 65mila occupate in meno e 15mila uomini in più.
Inutile dire che la chiusura delle scuole ha penalizzato le madri e i bambini specialmente nelle famiglie meno abbienti, in cui la didattica a distanza è più problematica sia per le minori attrezzature informatiche sia per il minore livello di competenze scolastiche.
Già prima della pandemia, nella fascia tra i 25 e i 49 anni, il tasso di occupazione delle donne senza figli era del 71,9%. Con un figlio in età scolare scendeva al 53,4%. Il titolo di studio incide sulla partecipazione e la qualità del lavoro, quindi il fatto che le laureate in Italia siano il 22,4%, contro il 35,5% della media europea, pesa negativamente sulla posizione lavorativa.[2]
La chiusura delle scuole e dei centri diurni per le persone non autosufficienti accresce la mole di lavoro domestico e di cura per le donne. Le donne infatti, spendono in media 4,1 ore al giorno per i lavori domestici e di cura familiare, contro solo 1,7 al giorno degli uomini. Si è creato per le donne un carico di lavoro, mentale, psicologico, emotivo molto pesante.
Secondo una ricerca recente condotta dalla Bocconi, il 66% delle donne (rispetto al 40% degli uomini) dichiara di avere svolto in questi mesi più lavoro domestico rispetto al periodo precedente alla pandemia. Lo stesso vale per i figli: più del 60% delle donne intervistate ha dichiarato di avere speso più tempo nella cura dei figli, contro il 50% dei maschi.
Prima di tutto perché meno donne lavorano. Il 94%degli uomini tra i 25 e i 54 anni ha un’occupazione contro il 63% delle donne nella stessa fascia di età.
Le donne, quando lavorano, hanno uno stipendio minore. Gli ultimi dati Eurostat sulla disparità salariale in Europa, registrano una differenza media del 15%.
Durante il lockdown il peso maggiore è stato sostenuto dalle donne. La chiusura delle scuole e dei centri diurni per le persone non autosufficienti aumenta la mole di lavoro domestico e di cura. Il lavoro da una manodopera retribuita – asili scuole, babysitter – si trasferisce ad una che non lo è. Le donne che lavorano spendono infatti in media 4,1 ore al giorno per i lavori domestici e di cura non retribuiti, contro solo 1,7 ore al giorno degli uomini occupati.
Secondo una ricerca recente condotta dalla Bocconi, il 66% delle donne (rispetto al 40% degli uomini) dichiara di avere svolto in questi mesi più lavoro domestico rispetto al periodo precedente alla pandemia. Lo stesso vale per i figli: più del 60% delle donne intervistate ha dichiarato di avere speso più tempo nella cura dei figli, contro il 50% dei maschi.-
Nel Piano nazionale di ripresa dell’Italia – Next Generation – sono previste risorse ingenti per la parità di genere (4,2 mld); sarà importante che gli obiettivi legati all’occupazione femminile vengano realizzati nei tempi previsti, utilizzando tutte le risorse a disposizione.
In ogni situazione le donne affrontano in un modo importante le difficoltà della vita: hanno maturato una vera e propria cultura della cura, hanno sviluppato la capacità di andare avanti comunque, ma non senza costi. In generale, afferma la direttrice del Centro di Medicina di Genere dell’Istituto superiore di sanità, “le donne sono più attente, sono loro che ad esempio in famiglia portano il marito e i figli all’attenzione del medico, seguono le vaccinazioni, si occupano in generale della salute”.
Verifichiamo una differenza di genere forte nei comportamenti e nelle attitudini nell’affrontare la pandemia che è stata confermata anche da studi analoghi condotti in Francia, Germania, Inghilterra e Stati Uniti e che probabilmente è destinata a rimanere anche nei prossimi mesi”.
Non c’è molto da festeggiare nella prossima ricorrenza dell’8 marzo, ma invece molto da fare in ogni ambito: dall’istruzione, al lavoro, ai servizi, non da ultimo alla costruzione di immagini sociali meno stereotipate.
Quindi, almeno questo anno, mettiamo da parte le mimose: ognuno in rapporto ai propri ruoli, è chiamato ad avviare azioni concrete.
[1] F. De Bortoli, “Futuro grigio senza la forza delle donne”, Corriere della Sera, 8/21/21
[2] , Nazioni Unite, The Impact of COVID-19 on Women [Vedi qui]
Per leggere tutti gli articoli della rubrica Elogio del presente di Maura Franchi clicca [Qui]
Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica dell’oggetto giornale [1], un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.
Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare il basso e l’altocontaminare di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta. Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle “cose che accadono” dentro e fuori di noi”, denunciare il vecchio che resiste e raccontare i germogli di nuovo, prendere parte per l’eguaglianza e contro la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo..
Con il quotidiano di ieri, così si dice, ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Tutto Periscopio è free, ogni nostro contenuto può essere scaricato liberamente. E non troverete, come è uso in quasi tutti i quotidiani, solo le prime tre righe dell’articolo in chiaro e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.
Sembra una frase retorica, ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni” . Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come quelli immateriali frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e ci piacerebbe cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e ogni violenza.
Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”, scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori) a tutti quelli che coltivano la curiosità, e non ai circoli degli specialisti, agli addetti ai lavori, agli intellettuali del vuoto e della chiacchera.
Periscopio è di proprietà di una S.r.l. con un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratico del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.
Nato quasi otto anni fa con il nome ferraraitalia [2], Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Conta oggi 300.000 lettori in ogni parte d’Italia e vuole crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma anche e soprattutto da chi lo legge e lo condivide con altri che ancora non lo conoscono. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante. Buona navigazione a tutti.
Francesco Monini
[1] La storia del giornale è piuttosto lunga. Il primo quotidiano della storia uscì a Lipsia, grande centro culturale e commerciale della Germania, nel 1660, con il titolo Leipziger Zeitung e il sottotitolo: Notizie fresche degli affari, della guerra e del mondo. Da allora ha cambiato molte facce, ha aggiunto pagine, foto, colori, infine è asceso al cielo del web. In quasi 363 anni di storia non sono mancate novità ed esperimenti, ma senza esagerare, perché “un quotidiano si occupa di notizie, non può confondersi con la letteratura”.
[2] Non ci dimentichiamo di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno il giornale si confeziona. Così Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto.
Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it
L'INFORMAZIONE VERTICALE