Skip to main content

Sostenibilità, un’espressione di norma associata a sviluppo, inquinamento, traffico, agricoltura… Quasi mai, però, si discute di natalità sostenibile. Eppure la natalità è un fattore determinante nel rendere un’economia solida nel suo insieme: il numero di individui presenti in una società influisce direttamente e in modo determinante sulle necessità e sui bisogni che questa società dovrà essere in grado di soddisfare. La popolazione globale ha recentemente superato i 7 miliardi di individui e si calcola che nel 2040 arriveremo ad essere 9 miliardi. Le risorse per adesso ci sono per sfamare tutti. Distribuirle è senz’altro difficile e lo sforzo verso questo obiettivo attualmente è insufficiente per il suo raggiungimento, ma è chiaro che la situazione potrebbe degenerare improvvisamente se ne venisse meno anche la possibilità.
Prendiamo per esempio il consumo di acqua dolce, indispensabile per la sopravvivenza degli umani e di un elevatissimo numero di altre specie vegetali e animali: l’agricoltura e l’allevamento consumano attualmente oltre l’80% dell’acqua dolce disponibile a livello planetario e occupano circa il 25% del terreno globale. Si stima che una crescita della popolazione come quella appena prospettata, con conseguente aumento della domanda di beni agricoli, porterebbe la percentuale di suoli globali coltivati ad aumentare fra i dieci e i venti punti percentuali. A questo punto ci troveremo di fronte non solo a un’indubbia carenza di spazio, ma anche all’impossibilità di avere le risorse idriche necessarie per dissetare e sfamare la popolazione mondiale. Se a questo problema aggiungiamo anche quello della tutt’altro che perfetta redistribuzione dei beni di prima necessità nelle economie è evidente che l’umanità potrebbe trovarsi a dover pagare un dolorosissimo armistizio con la natura.
Già all’inizio del diciannovesimo secolo un economista, Thomas Robert Malthus, avvertiva tramite i suoi libri “An Essay on the Principle of Population” e “Principles of Political Economy” riguardo i pericoli derivanti da un’incontrollata crescita della popolazione: sebbene si sia portati a pensare che un miglioramento della tecnologia, con conseguente maggiore disponibilità di mezzi di sussistenza possa portare le persone a vivere una vita migliore, spesso capita che, soprattutto tra le classi più povere, all’aumentare del tenore di vita, vi sia un aumento della prolificità, non solo di quanto il reddito consenta di mantenere, ma addirittura oltre a quella soglia, finendo per generare una situazione peggiore rispetto a quella di partenza. Per farla breve, se si mettono al mondo più figli di quanti se ne possano mantenere, questi muoiono di fame.
Quella che ci sembra un’ipotesi inumana e assurda nelle nostre economie ‘sviluppate’ è una situazione tremenda e reale che si verifica tuttora nei Paesi più poveri del mondo, dove i casi di morte per fame non sono nemmeno considerati come un’emergenza, bensì come la drammatica normalità di tutti i giorni. Ho usato la parola ‘tuttora’ non a caso. Anche nei Paesi che definiamo arrogantemente ‘sviluppati’, in un passato relativamente recente, si sono verificate situazioni di questo tipo: Malthus non era un teorico, basava il suo modello su osservazioni empiriche, e, per le sue formulazioni, gli bastò osservare la realtà sociale dell’epoca che viveva, ossia l’Inghilterra della Rivoluzione Industriale, con da un lato i ricchi capitalisti con al massimo uno o due figli, dall’altro la classe operaia che, al di là dell’indubbia limitatezza del salario, era estremamente prolifica. Non a caso la parola proletario è stata associata alla figura dell’operaio quando etimologicamente proletario indicherebbe semplicemente una persona con figli, con prole appunto.
Se le nostre economie, complice la nascita dello stato assistenziale e un acculturamento delle masse con conseguente presa di coscienza, sono riuscite a scampare da questa ‘trappola malthusiana’, lo stesso purtroppo non si può dire di molti Paesi in ritardo di sviluppo. Nella storia recente abbiamo avuto l’esempio di un Paese in grado di regolare le proprie nascite: la Cina, la quale, per evitare una ‘bomba demografica’ dovuta alla sua rapidissima crescita economica, ha limitato per legge il numero di figli che ciascuna coppia può avere. Si tratta di un metodo molto efficace che sul lungo periodo sta dando grandi risultati, al punto da garantirle il titolo di Paese traino dell’economia globale. Ma è veramente necessario arrivare a proibire alle coppie di avere il numero di figli che essa desidera? A mio avviso no. E non si tratta nemmeno dell’unica via possibile: come ho appena detto, a parte il caso della Cina, gli altri Paesi sviluppati sono arrivati allo stesso risultato attraverso un altro percorso, magari più lungo, ma decisamente meno doloroso. D’altronde cercare di migliorare le condizioni delle popolazioni più povere negando loro i diritti umani sarebbe un controsenso; per non parlare del fatto che difficilmente questi Paesi hanno un governo abbastanza forte da potersi permettere attuare e far rispettare un simile piano.
La soluzione auspicabile non è di tipo legale, né prettamente economico, bensì culturale. Al di là delle importantissime missioni umanitarie che cercano di garantire cibo alle popolazioni più povere, bisogna far sì che queste popolazioni possano riuscire, economicamente parlando, a camminare sulle proprie gambe. Non si tratta di portar loro l’industrializzazione come se fosse un prefabbricato, ma di innaffiare di conoscenza un terreno potenzialmente fertile di idee e di capitale umano. Sicuramente un acculturamento anche dal punto di vista della prolificità delle coppie, a partire dal semplice fatto pratico di far uso di contraccettivi, potrebbe portare a risultati straordinari sia dal punto della natività che dal punto di vista igienico-sanitario, con una grande diminuzione, oltre che della natalità, delle malattie sessualmente trasmissibili e delle morti per parto, realtà ancor oggi tristemente diffusa in quei paesi.
I benefici si troverebbero anche a livello economico: se una popolazione inferiore alle necessità occupazionali di un Paese genera un ridimensionamento ed un impoverimento dell’economia, un’eccessiva pressione demografica genera forte disoccupazione e tensioni sociali. Se alcune economie avanzate oggi si trovano nella prima di queste due situazioni di squilibrio, la maggior parte di quelle sottosviluppate si trova nella seconda, e questi ahimè sono la maggioranza anche a livello aggregato, altrimenti la popolazione mondiale non sarebbe in costante aumento. Trovare una soluzione equilibrata a questo doppio problema delle nascite, ossia una via di mezzo, sarebbe auspicabile sia a livello economico, consentendo in un primo momento di ottenere un reddito almeno di sussistenza per tutti e in un secondo di accumulare risparmi ed effettuare investimenti, che a livello ambientale: solo con una situazione di natalità sostenibile l’umanità potrà mantenere un certo tenore di vita e il pianeta terra una certa dose di salubrità. Se, al contrario, si proseguirà su questa strada, anche se si arrivasse (inverosimilmente) a usare solo energia pulita e completamente rinnovabile, in un futuro non troppo remoto ci troveremmo comunque a fare i conti con la mancanza di un elemento ancor più importante per la nostra sopravvivenza: l’acqua.

tag:

Fulvio Gandini


PAESE REALE

di Piermaria Romani

PROVE TECNICHE DI IMPAGINAZIONE

Top Five del mese
I 5 articoli di Periscopio più letti negli ultimi 30 giorni

05.12.2023 – La manovra del governo Meloni toglie un altro pezzo a una Sanità Pubblica già in emergenza, ma lo sciopero di medici e infermieri non basterà a salvare il SSN

16.11.2023 – Lettera aperta: “L’invito a tacere del Sindaco di Ferrara al Vescovo sui Cpr è un atto grossolano e intollerabile”

04.12.2023 – Alla canna del gas: l’inganno mortale del “mercato libero”

14.11.2023 – Ferrara, la città dei fantasmi

07.12.2023 – Un altro miracolo italiano: San Giuliano ha salvato Venezia

La nostra Top five
I
 5 articoli degli ultimi 30 giorni consigliati dalla redazione

1
2
3
4
5

Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

1
2
3
4
5

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it