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Esistono malattie rare che non si possono riscontrare prima della nascita, tra queste la sclerosi tuberosa. Questa malattia genetica può colpire in maniera lieve oppure contagiare gli organi interni compreso il cervello. In questo caso oltre a problemi organici ci sono conseguenze a livello cognitivo e comportamentale.

Ho conosciuto N. su richiesta della madre che nei suoi imperterriti tentativi di non arrendersi ha chiesto il mio aiuto. Ma, dopo poco, sono io che ho dovuto cedere al principio di realtà: non si possono guarire tutti. Alle volte conviene non intervenire perché la consapevolezza che deriva da una psicoterapia può smantellare quelle difese che servono per salvarsi. Non sempre sapere aiuta.

Certo ho dato un nome alle difese del mio paziente, un giovane uomo bambino, con le istanze e le emozioni di entrambe queste fasi evolutive. Ho dato un significato alla loro funzione, ho fatto collegamenti con la sua storia reale. Alla fine, però, ho dovuto rassegnarmi all’inelutabillità della malatttia. Per rispetto e per salvaguardarlo, dovevo allearmi con il non cambiamento. La comunità terapeutica in cui viveva faceva già un lavoro di contenimento e riabilitativo.

Lasciarlo andare: il male minore.

La mia speranza è che anche la sua mamma, l’apparizione di un angelo quando l’ho vista la prima volta, sia riuscita a vivere senza illusioni e ad accettare la fatica dell’ambivalenza con questo amato e odiato figlio, desiderato e misconosciuto.

In una seduta N., come la vedesse per la prima volta, guarda esterrefatto una scultura dell’istituto in cui lo incontravo. Gli sta davanti. Non parla. Gli spiego il deterioramento che le intemperie hanno fatto subire al gesso di cui è fatta quella dolce testa di bambina.

È ammaliato. Qualcosa si è palesato nella sua mente e poi per fortuna sparito.

N. si risveglia ed è lo stesso di sempre.

Come in un flash mi pare che abbia visto se stesso in questa scultura, piccoli tubercoli che hanno minato la bellezza dell’opera. Decido che non continuerò la psicoterapia e che le fantasie/ossessioni di essere come Spiderman e che solo le Forze dell’ordine (tutte, ognuna con la sua funzione) potessero proteggerlo, mi sono sembrate non solo un rifugio sicuro, ma la spiegazione migliore per procedere con la sua vita.

Un figlio raro

Gustav Klimt, Maternità

Ti ho sognato prima ancora che tu nascessi.
Ti ho amato nell’istante che ho saputo che esistevi.
Ho preparato un posto speciale nel mio cuore e nella nostra casa, per te.

Poi sei arrivato. Bellissimo.

Ti allattavo e tu stavi bene, e anch’io, tenendoti nel mio abbraccio e nel mio sguardo stavo bene.
Stavi bene solo quando eri attaccato, per il resto piangevi sempre.

“Qualcosa non va” diceva tuo padre irritato. “Fa’ qualcosa! Quel bambino non è normale”. E ci lasciava soli sempre più a lungo.
Meglio il silenzio che le grida, pensavo, e ti appoggiavo al mio seno anche se diventava sempre più vuoto ed io con lui.

Poi quella paura tremenda: il tuo corpicino che trema, convulso, la febbre altissima. Non ti fermi, una, due, tre, dieci crisi, non si contano più. Siamo in ospedale, hai solo tre mesi, ci rimaniamo per quaranta giorni, un tempo eterno in cui il tuo piccolo corpo viene bucato, tastato, dissacrato da mani estranee, di lattice, che odorano di freddo e disinfettanti.
Sclerosi tuberosa, mi dicono. E io ti vedrò crescere e diventare grande insieme alla tua malattia.

Tuo padre se ne è andato ed anche gli altri uomini che ho avuto.

La mia giovinezza e la mia bellezza non erano sufficienti a costruire in loro un varco in cui tu potessi entrare. E tornavamo ad essere solo noi: io e te. Il tempo che passava era scandito da quei piccoli tubercoli che crescevano dentro e fuori dal tuo corpo, come piccoli fiori rosa in un prato, come piccole stelle nel cielo. La speranza che, come granelli di sabbia nella clessidra, non si esaurissero.

Il sogno

Sono con un uomo in un’atmosfera un po’ grigia. Volgendo lo sguardo verso il mio orizzonte, vedo un mucchio di gatti. “Guarda che belli” gli dico. Sono di diversa età. Grandi e cuccioli, e con manti tutti diversi.
“ Mi piacciono tanto i gatti! ”
Uno mi viene in braccio e lui dice: “Hanno la rogna!”. Mi accorgo che il musino del gatto ha una sorta di macchia, di escrescenza gommosa rosa intenso come i bubble gum.
Rimango un attimo perplessa, poi lo scrollo via dal mio grembo, con un misto di colpa e di disgusto.

Guardo i gatti e tutti hanno queste macchie, ho paura di essere aggredita, di essere contagiata.
Non so da dove sbuca, ma, alla mia destra, c’è un ragazzo, un uomo giovane che, in viso, ha le stesse macchie rosa.

Mi dice qualcosa, io sento il disgusto crescente e ho sempre più paura. Mi giro verso l’uomo che mi accompagnava, ma non c’è più.

Mi sveglio e non riesco a guardarti. Piango.

Mi piace disegnare. Guardo i cartoni animati. La mamma mi compra tanti video.

La mia mamma è bellissima. È bella come un angelo. Ha gli occhi azzurri. Anch’io ho gli occhi azzurri.
Però mi ha comprato quel gioco di merda. Brutta! Perché mi fa fare le cose che non capisco? Mi fa arrabbiare!

Sono molto arrabbiato. Rompo tutto. La picchio.

La mamma piange. Anche il papà la faceva piangere. Il papà la picchiava e dopo picchiava anche me.
Meglio che se ne è andato.

Aspetta! Un attimo: mi, mi mi chiamano dalla centrale. È urgente. Vedi ho la radiotrasmittente. Non posso più venire da te, c’è, c’è un’emergenza.

Ecco ti disegno la macchina dei pompieri. Domani faccio quella dei Carabinieri. Tu li chiami, vengono subito e, e ti salvano.

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Lo sai che un mio amico è finito in prigione perché ha usato delle interferenze con le linee della polizia? Senti, ma perché non si può fare?

Oggi mi sono dato la crema per essere più bello, così la dottoressa non mi prende per il culo.

Per fortuna che c’è la mamma che mi vuole bene. Sono stato nella casa nuova ma è troppo piccola per starci anch’io. Ma io voglio stare lì, è una bella famiglia.

Va bene, sarò buono così non ci vado all’SPDC vero? No, no. Non ho fatto niente.

Senti, ma, ma come nascono i bambini?

Lo sai che ho il vestito di Spiderman? …Io, io sono come Spiderman.
Spiderman non ha il papà e neanche la mamma. Nessuno lo vede, ha la maschera. Lo sai? Un ragno gli ha messo dentro un veleno ma lui, adesso, ha i super poteri.


Nota importante: 
tutti gli articoli della rubrica sono tratti da casi clinici reali, romanzati ed adattati per rispettare la privacy. Le immagini dei pazienti sono autorizzate dalla liberatoria che mi è stata concessa solo a scopo di pubblicazioni a mio nome. Ne è vietata la riproduzione per altri usi.

Per leggere gli  altri interventi  della rubrica L’Arte che Cura di Giovanna Tonioliclicca sul nome della rubrica o su quello dell’autrice.

Cover: Scultura nella sede di Therapy Italiana di Bologna – foro Giovanna Tonioli

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Giovanna Tonioli

Giovanna Tonioli da molto tempo si occupa di Dipendenze Patologiche nel servizio pubblico. A lungo, come educatrice, ha pensato di fare uno dei mestieri più belli perchè coraggioso, avventuroso, “stupefacente” come le storie delle persone. Il battesimo lo deve a Marco Cavallo e, sull’onda del pensiero della Psichiatria Democratica, le piace abbattere le porte chiuse e lottare contro tutte le forme di stigma; è testimone delle più svariate umanità. Si è laureata in Psicologia clinica, si è specializzata presso l’Istituto di Psicoterapia Espressiva di Bologna ed è socia di Art Therapy italiana. Lavora a Ferrara. Ha svolto docenze per il personale sanitario, il Servizio Civile e IPSE. Ha realizzato ricerche, progetti di prevenzione e sostegno per adolescenti a rischio, utenti psichiatrici in doppia diagnosi e famigliari, Collabora con iniziative delle associazioni del volontariato sociale e scolastiche. Svolge l’attività di tutor per la Laurea triennale di Tecnici della Riabilitazione Psichiatrica di Unife. L’incontro con l’arte terapia è stata una svolta importante sia personale che professionale – ma Marco Cavallo lo sapeva già – e così come libero professionista svolge l’attività di Psicoterapeuta Espressiva, dove l’arte, la creatività e l’estetica si sposano con la psicoanalisi, le neuroscienze, la mente con il cuore delle persone. Una terra di mezzo, uno spazio transizionale in cui le parole possono incontrarsi con tutte le forme espressive, il rigore con la curiosità e il gioco, la disciplina con l’immaginazione. Giovanna è anche un mezzo (e sottolinea “mezzo”) soprano, una sfocata fotografa, un’artista naif. Vive in provincia di Ferrara, precisamente alla Cuccia, una piccola casa in uno sperduto borgo di campagna, con i suoi cani che nel tempo si avvicendano, ma che, sempre, sono a loro modo grandi maestri di vita.

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