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di Vittorio Formignani

Ha frequentato il corso di clarinetto del Conservatorio “Girolamo Frescobaldi” di Ferrara e nello stesso tempo studiava da autodidatta il saxofono e l’armonica. Ha girato l’Italia in lungo e in largo, ma non solo: con la Banda dell’Artiglieria Contraerea Leggere dell’esercito ha partecipato anche al Festival Internazionale di Bande Militare svoltosi ad Albertville.
È Paolo Santini, insegnante dal 2011 al 2015 di armonica presso la scuola di Musica Moderna e polistrumentista, attualmente fa parte dell’organica di The Big Solidal Band, Blues Brothers Tribute Band, in veste di sassofonista e armonicista.

La prima domanda non può che essere in che modo sei venuto a contatto con l’armonica e qual è il percorso che ti ha condotto a questo strumento?
Il primissimo contatto penso sia identico a quello di tutti coloro che da bambini hanno avuto un’armonica di plastica, magari presa al mercato, e hanno provato senza pensarci due volte a soffiarci dentro. Tuttavia, al tempo, non successe nulla di più di questo, anzi in seguito decisi di dedicarmi allo studio di tutt’altro strumento.
Infatti, una volta iscritto al conservatorio ho frequentato fin oltre al quinto anno il corso di clarinetto, strumento cui poi ho affiancato anche il saxofono, studiandolo però da autodidatta.
Il fascino dell’armonica nel frattempo ha continuato a crescere e mi ha spinto a commettere un incredibile atto di immodestia: ritenermi capace, dopo 5 anni di clarinetto, di poter suonare l’armonica senza troppi problemi. Quindi, nel lontano 1986, mi sono comprato un’armonica diatonica e lì sono stato severamente punito per aver pensato di riuscire al volo a suonarla. Infatti, l’inizio è stato traumatico perché si fa davvero fatica a fare ciò che si vuole e, in particolare, a centrare esattamente un foro. In più, quando cominci a suonare un foro alla volta, ti rendi conto che ci sono delle note che vengono ripetute. E allora il primo pensiero è stato quello di aver acquistato un’armonica difettosa, fatto che mi ha portato a lasciare nel cassetto l’armonica per quasi vent’anni. Nonostante ciò, a posteriori, mi è venuto il dubbio se fosse difettosa l’armonica o io. Una volta datomi una risposta, mi sono messo a studiare in maniera un po’ più seria e poi pian piano a suonare.”

Quindi, così come per il saxofono, hai intrapreso lo studio dell’armonica da autodidatta?
Precisamente. Tuttavia, devo dire che lo stimolo maggiore di riprendere in mano l’armonica me lo ha dato l’aver assistito alla prima edizione del concerto “Play Mr. D’Adamo”, evento di cui sono venuto a sapere quasi per caso, leggendo il giornale proprio quella mattina. Incuriosito la sera sono andato alla sala estense e mi si è aperto un mondo che praticamente non conoscevo. E’ stata una specie di illuminazione.

Sebbene all’inizio fossi solo uno spettatore, alla fine sei riuscito a diventare parte attiva del “Play Mr. D’adamo” esibendoti proprio come armonicista e poi, in seguito, anche a diventare insegnante di armonica alla scuola di Musica Moderna.
Verissimo. Anche se ci è voluto un po’ ed è stato tutto molto graduale. Inizialmente, ho cercato di apprendere qualche metodo da autodidatta, anche perché non ci sono molti corsi d’armonica, anzi, possiamo quasi dire che non esistono. In più, il continuare a seguire il “Play Mr. d’Adamo”, rendendolo praticamente un appuntamento fisso, non ha fatto altro che aumentare e crescere la mia curiosità e l’entusiasmo verso l’armonica.
La svolta è arrivata quando ho conosciuto Gianandrea Pasquinelli. È successo tutto in maniera abbastanza casuale e fortuita: lui già da tempo gestiva un sito nel quale adesso collaboriamo, www.bluestime.it. Era un sito nel quale mi andavo a informare, quando ho visto improvvisamente sparire il sito gli ho mandato una mail chiedendogli cosa fosse successo. Lui è stato molto disponibile e mi ha detto che aveva avuto problemi con l’hosting e che, purtroppo, temeva di aver perso tutti i contenuti presenti. Allora io gli ho risposto che forse sarei riuscito a recuperare tutto. E da lì è nata un’amicizia. Oltre a questo, poi, ho anche azzardato la richiesta di cambiare la grafica perché, nonostante i contenuti fossero interessanti, il sito aveva un’unica pagina in cui dovevi fare dei chilometri per leggere tutto. Per questo, gli ho proposto di fare una rivisitazione del sito e lui è stato ben felice della cosa: il risultato è il sito nella veste che ha oggi.
Da tutto questo poi, nell’ambito di una delle guide all’ascolto, è nata l’idea di far partire un corso di armonica tenuto inizialmente proprio da Pasquinelli. Nonostante il primo anno di corso sia addirittura cominciato in febbraio, ha subito incontrato un gran favore: si sono iscritte subito 11 persone. Il corso, inizialmente, aveva cadenza quindicinale, ma aveva durata doppia: stavamo assieme dalle 3 alle 4 ore. Il primo anno, la lezione del sabato era quasi diventata un happening. La svolta è arrivata nel 2011, a metà luglio, quando ho ricevuto una telefonata da Pasquinelli in cui mi chiedeva se me la sentissi di prendere le redini, dato che non riusciva più a portare avanti il corso. Ho accettato e il corso è ripartito con due alunni nella sede vecchia, l’anno scorso però erano in 9. Quest’anno, nonostante l’ambiente sia particolarmente stimolante e piacevole, ho dovuto fare la scelta di mettere in pausa il corso, a causa di esigenze lavorative. Roberto Formignani sta già spingendo perché io ritorni a far parte della squadra il prossimo anno e per questo mi sto già organizzando.

Paolo Santini2
Paolo Santini

Rimanendo sempre sul tema armonica, questo strumento nell’immaginario comune porta con sé una serie di preconcetti e pregiudizi, non è vero?
Adesso ti dirò una cosa che, se la pubblichi, probabilmente mi arriverà addosso di tutto, ma fa lo stesso. Sai qual è il problema dell’armonica? Dato che tutti ne hanno avuta una e l’hanno provata senza troppi sforzi, uno pensa che sia uno strumento che non richiede la cura e lo studio degli altri strumenti. E proprio a causa di questo preconcetto non esiste un metodo d’insegnamento standardizzato. In più, un secondo pregiudizio consiste nella convinzione che l’armonica sia lo strumento per eccellenza che devono suonare tutti quelli che la musica non la conoscono e non ne vogliono neanche minimamente sentir parlare dal punto di vista teorico. È proprio in questo contesto che sono nate le tablature, ma neanche in questo caso un armonicista ha vita facile: a differenza degli altri strumenti, le tablature per armonica non sono state standardizzate. In più, sull’armonica noi abbiamo a che fare con un foro che può produrre due note: una soffiata e una aspirata, quindi ognuno può segnalare la differenza tra nota soffiata e aspirata come vuole. Per esempio, tu potresti indicare quella soffiata con la lettera S e l’aspirata con la A mentre io invece, potrei intendere con un freccia in su, la nota aspirata, e con una freccia in giù quella soffiata. Quindi, finisce che ognuno fa un po’ quel che vuole. In più, le tablature sono spesso sovraccaricate di informazioni perché, prendendole come riferimento, tu potrai anche sapere la nota che indica il foro, ma difficilmente ne viene indicata la durata. Per questo, attraverso un tablatura, non riesci mai a capire subito un brano com’è. Per di più, data la varietà di modelli di tablature, per un armonicista risulterebbe addirittura più difficile imparare i vari stili rispetto a imparare le note sul pentagramma, conoscenza che si rivelerebbe anche più utile.

Ora toglimi una curiosità. A me pare che il blues per un armonicista risulti essere più difficile del folk, forse dati i numerosi musicisti che hanno affiancato l’armonica alla chitarra. E’ veramente così o è un altro preconcetto?
Per quanto riguarda il blues, esiste un contro senso nell’armonica. Sull’armonica diatonica sono già presenti i tre accordi principali del blues e sono anche abbastanza facili da riprodurre. Il blues può apparire difficile, se cerchi di spingerti oltre, ma come forma base alla fine, è una delle cose più semplici.
Nell’armonica però c’è un piccolo meccanismo a tradimento, che riguarda l’uso della tonalità corretta. Mi spiego meglio. Questo strumento è nato in Germania per accompagnare la musica popolare tedesca che, fondamentalmente, si basa su accordi di prima e di quinta. Per cui, in questo genere musicale, un armonicista può, senza troppa fatica, fare l’accompagnamento della musica tradizionale da ballo. Nel blues, le cose si ribaltano perché, per suonarlo, devi considerare come accordo fondamentale quello che aspiri. Quindi, prendendo come esempio un’armonica in Do, avremo che l’accordo di prima della tonalità dell’armonica risulta essere, invece, la quinta. A questo punto, se prendo il SOL come accordo di prima, quello soffiato diventa la 4a mentre, la 5a la ottengo prendendo prendo due fori distanti un’ottava. In conclusione, nel blues, non abbiamo che un ribaltamento della musica tradizionale tedesca.

Per quanto riguarda la convivenza con gli altri strumenti, dove e come si potrebbe inserire un’armonica?
La convivenza può risultare difficile in particolare nel caso dell’accompagnamento. Tuttavia, su YouTube ci sono molti video in cui armonicisti abbastanza esperti si alternano con un cantante o un chitarrista facendo in modo che ci sia una compenetrazione delle due parti. Tradizionalmente, parte la chitarra a fare l’accompagnamento lasciando la parte solista all’armonica, ma spesso per rendere una canzone meno ridondante ci può essere anche uno scambio di ruoli facendo rivestire all’armonica la parte d’accompagnamento.
È un meccanismo un po’ più complesso del solito ed è da mettere a punto con piccole formazioni di massimo due o tre componenti. Diciamo che, in una ipotetica jam, un’armonicista non può fare tanto di più di un assolo mentre, l’accompagnamento diventa praticamente impossibile.

Nel caso del Play Mr D’Adamo, invece direi che, la convivenza è pienamente riuscita, nonostante la presenza sul palco di molti musicisti.
Il bello di questa manifestazione si può vedere in vari aspetti. Il primo: è una bella testimonianza di chi ha condiviso con D’Ada anni di musica e negli anni ci tiene a mantenerne vivo il ricordo. Tra l’altro, io non ho avuto il piacere di conoscerlo, ma ho comunque avuto modo di capire di chi potesse essere attraverso i dischi dei Bluesman. Quindi il desiderio di volerlo ricordare, oltre ad essere la ragione principale di questo evento, è già di per sé una cosa molto bella. È un legame sanguigno. Poi il fatto di avere un evento in cui si alternano addirittura 16 armonicisti sul palco, come nel 2015, rappresenta una grande manifestazione della diversità di stili e peculiarità presenti tra i vari armonicisti. Non si va ad ascoltare un concerto o un ricordo fatto da un persona sola, ma si ha modo di sentire almeno 16 modi differenti di interpretare l’armonica: può capitare che i medesimi brani qualche anno dopo vengano riproposti, ma la cosa straordinaria è che, se un brano viene interpretato da un armonicista diverso, si sentono modi di suonare completamente diversi. Ognuno ci mette del proprio. E’ quella parte che rende ognuno di noi unico. Già il primo anno mi sono reso conto che l’ambiente è tale da farti sentire a tuo agio, per cui il poco che porti è comunque un contributo che può servire.

Parliamo, ora, dell‘impiego nei vari generi musicali dell‘armonica. La diatonica possiede un range abbastanza ampio, tuttavia esistono anche altri tipi di armonica per allargare il ventaglio delle possibilità?
Sì, esistono altri tipi di armoniche. Una è la cromatica, per la quale vive un altro armonicista presente al “Play Mr D’Adamo”, Angelo Adamo. Per spiegarti la differenza tra diatonica e cromatica ti faccio un parallelismo con la tastiera del pianoforte. La diatonica è come una tastiera senza i tasti neri e per aggiungerli devi cercare degli espedienti. La cromatica, invece, si avvale di un bottoncino, chiamato registro, che senza gli espedienti della diatonica permette all’armonica di avere anche i tasti neri, rendendola così uno strumento completo. Tuttavia, c’è anche uno svantaggio: non puoi approcciarti alla cromatica come faresti con la diatonica, perché è anche uno strumento che copre generi musicali diversi. Si sentono pochi cromatici suonare blues e quelli che lo fanno è come se stessere suonando una diatonica, snaturando in questo modo lo strumento.
Se parliamo, invece, della diatonica, tutti la conoscono come strumento da blues, anche se la trovi molto impiegata nel country e nella musica irlandese, genere per cui Brendan Powers si è speso molto. Infine, la trovi nella musica leggera e pop, e tra gli utilizzatori anche musicisti come: Bennato in Italia, Alanis Morissette, Bruce Springsteen e Bob Dylan, in America.

Abbiamo parlato, precedentemente, delle difficoltà per una persona che vuole approcciarsi all’armonica. Quali sono effettivamente gli ostacoli più grandi?
L’armonica, a differenza degli altri strumenti, non ha un metodo standardizzato di apprendimento. Questo problema deriva dal fatto che per l’armonica grandi esecutori spesso, risultano essere pessimi didatti. Inoltre, quando si deve redigere un metodo senza toccare quasi minimamente la teoria, ci si rende conto che anche molti metodi qui hanno sempre qualcosa di fallace. La mia opinione è che, anche per chi si approccia all’armonica, un minimo background musicale è obbligatorio. Poi sarebbe necessario creare in Italia un movimento per standardizzare il metodo dell’insegnamento di questo strumento che, di per sé, sembra banale, ma potrebbe avere difficoltà maggiori. Mi riferisco in particolare al fatto che, essendo diatonico, c’è n’è una per ogni tonalità, quindi quando mi approccio a un brano devo avere ben chiaro tutto il trasporto. Per questo motivo, da strumento che appare banale, può diventare forse più difficile di tanti altri.

Come hai menzionato all’inizio dell’intervista, hai frequentato il conservatorio. Come mai hai scelto di intraprendere questo percorso e come è stato il passaggio da un’impronta più classica a quella completamente moderna dell’armonica?
Quando ci siamo iscritti, io e un mio amico, al corso di clarinetto io avevo 11 anni e lui 10 e ci piaceva ascoltare un vinile 33 giri che aveva mio papà. Il disco conteneva la Rhapsody in Blue di Gershwin e mi ricordo che rimanevamo sempre incantati dall’inizio, quel pezzo di clarinetto famosissimo: ci siamo detti che dovevamo riuscire a suonarlo. Abbiamo fatto l’esame di ammissione, quasi per scherzo e digiuni di qualsiasi nozione musicale: quando all’esame abbiamo visto e sentito ragazzi più grandi di noi, che avevano già cominciato a suonare nelle bande di paese, siamo rimasti affascinati anche solo dallo strumento, perché in realtà non l’avevamo neanche mai visto. In ogni caso quelli erano anni in cui davano possibilità a molti e ci presero. E abbiamo continuato per sette anni, finché io non ho preferito investire il mio tempo nel lavoro. Per dirla tutta, invidio chi riesce ed è riuscito a farne una professione, ma per quanto riguarda me vedevo e ho visto difficoltà nel portare a casa la pagnotta. Per questo ho portato avanti il discorso del conservatorio parallelamente a quello della scuola, e poi, in generale, quello della musica a quella del lavoro. La musica l’ho presa come un hobby, anche se senza dubbio mi ha permesso di cavarmi qualche soddisfazione.
Per quanto riguarda il passaggio dall’impronta classica a quella moderna, diciamo che partendo dalla formazione più jazzistica del clarinetto, sebbene con molte tracce di classica, mi sono trovato già a metà strada dalla musica moderna.

Oltre a essere stato insegnante della scuola di Musica Moderna, hai portato avanti anche il discorso musicale tramite una band?
Attualmente suono con la Big Solidal Band come sax tenore e armonica. La cosa incredibile, che mi dà davvero molta soddisfazione, è il fatto che siamo riusciti a creare un ambiente piacevole nonostante tutti i problemi logistici. In più, sono già arrivato a 70/75 date da quando ho cominciato con la Big Solidal Band e ho notato, magari un po’ immodestamente, che oltre ad avere un certo seguito siamo notevolmente cresciuti dalle prime registrazioni.

E a scuola di Musica Moderna che ambiente hai trovato?
“Allora, partirei dicendo che qui ho trovato una realtà che non mi sarei mai aspettato una cosa. E ciò che mi ha colpito di più è il comportamento dei fondatori della scuola e di quelli che ho conosco dal conservatorio che erano già miei idoli allora. Sono tutte persone estremamente alla mano, che se gli dai uno strumento fanno il disastro e che ti considerano come al loro livello o almeno, ti fanno sentire tale. Per cui, anche quando quest’anno ho dovuto abbandonare, mi è dispiaciuto. E lo stesso discorso vale anche per la Big Solidal Band.”

da “Un fiume di Musica”, rivista musicale indipendente e autogestita dagli studenti della Scuola di Musica Moderna Amf di Ferrara.

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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