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Ogni giorno mi chiedo se sono felice e la risposta è sì. Conta questo, a dispetto delle 15 ore che passo in teatro a preparare uno spettacolo e alla vita girovaga che il mio lavoro richiede. I dubbi vengono: a tutti capita di chiedersi ‘ma cosa sto facendo? Ne vale la pena?’. Ma io vivo di ciò che amo ed è un grande privilegio”. E la felicità di Valeria è evidente mentre mi parla, in collegamento skype, dal suo appartamento newyorkese bevendo una tazzina di caffè rigorosamente italiano.
Valeria Cossu, cagliaritana classe 1976, ballerina, performer e regista teatrale, sta vivendo il suo ‘sogno americano’. Selezionata tra 64 partecipanti, nel 2015, vince il Best Director Award al Thespis Theater Festival per il suo spettacolo ‘Discovering Magenta’, musical psicologico atipico che affronta lo spinoso tema del disagio mentale. E’ il coronamento di 17 anni di carriera artistica vissuta prevalentemente all’estero, lontana dall’Italia e dalla Sardegna dove il fenomeno dello spopolamento è una drammatica realtà.

Quando hai capito che l’arte era la tua vita?
Che la mia vita e l’arte fossero tutt’uno l’ ho capito fin da piccolissima. Quando ballavo riuscivo ad entrare in un’altra dimensione, quasi magica. Il movimento corporeo, per me, era una chiave naturale di espressione. Mi regalava un senso di libertà assoluta, quasi come se volassi Cosa significa essere un’artista? Se non hai la vocazione non fai l’artista, questo è sicuro. Il talento è la base ma da solo non basta. Ci vuole costanza, studio e sacrifici. Nel momento in cui inizi a vivere realtà enormi come quelle di New York, dove ci sono mille persone che sanno fare quello che fai tu, diventa evidente che ci vuole una marcia in più. Quel ‘quid’ che ti differenzia dagli altri ma che non si basa solo sul ‘genio’ ma deve fondare solide basi sullo studio e sulla preparazione artistica

Una carriera artistica lunga 17 anni: mi racconti come hai iniziato e le tappe fondamentali di questo tuo percorso?
Sono stata scoperta dal maestro Pierfranco Zappareddu, attore e direttore artistico, conosciuto nei teatri di tutta Europa. Per circa due anni mi sono esibita al Teatro lirico di Cagliari, danzando in molte opere, e coi soldi guadagnati sono partita a Roma per continuare a formarmi come ballerina. Nel 2001 ho avuto il secondo grande incontro professionale, con Jose Carlos Plaza, uno dei direttori teatrali spagnoli più importanti del mondo. Mi ha proposto uno stage a Madrid e dovevo starci solo tre mesi. Invece ci ho vissuto per tanti anni. Nel 2003 mi sono presentata alle audizioni di Mayoumana, una compagnia artistica internazionale, che cercava nuovi talenti da inserire nei suoi show.

Come è andata?
Sono stati tre giorni intensissimi, anche sette ore di fila di audizioni per dimostrare di meritare quel posto. Per mostrare, anche agli altri, quel fuoco che sentivo dentro di me. Quando mi hanno detto ‘Complimenti fai parte della compagnia’ ero incredula, in estasi. L’ unico rammarico era di essere sola, lontano dalla mia famiglia. Mi sono seduta nel bar sotto casa a brindare con qualche amico, ma mi mancavano le persone care. Dopo l’esperienza di teatro gestuale con la compagnia ‘Yllana’, ho iniziato a creare una mia tecnica personale di percussione corporale nella quale, tramite la voce e i movimenti, il corpo diventa un vero e proprio strumento musicale.

Nel 2007 arriva però l’ennesima svolta professionale…
Sì, il 2007 è stato l’anno della svolta: ho maturato dentro di me la certezza di non voler fare solo la performer ma di voler intraprendere un nuovo percorso: quello di registra teatrale. Mi interessava il lavoro di costruzione di uno spettacolo. L’incontro della svolta è con John Rando, regista pluripremiato ai Tony Awards, gli Oscar del teatro, nella mega produzione ‘The Wedding Singer’, e di cui sono diventata aiuto regista. Dalla Spagna mi sono trasferita quindi a New York grazie a un permesso di soggiorno speciale: l’Extraordinary Talent Visa, un visto difficilissimo da ottenere. Qui ho iniziato a studiare regia all’Acting Studio, diventando poi docente di percussioni corporali e coreografa di body percussion, iniziando anche il sodalizio professionale con Luis Salgado, coreografo, regista produttore e ora mio grande amico. Ho diretto due spettacoli fino a che, nel 2015 con “Discovering Magenta”, ho vinto il Best Director Award al Thespis Theater Festival.

Con che stato d’animo affronti le audizioni: lo chiedo alla ballerina e alla regista
L’audizione è un giudizio: io li ho vissuti sia come ballerina e ci sono dentro tutt’ora come regista. L’artista lo riconosci subito, basta anche un solo gesto. Eppure chi riceve un ‘no’ non deve viverla come un fallimento. Io ho sempre pensato che non dipendesse da me, ma dal non essere la persona giusta per quello spettacolo. Quando ricevi tanti rifiuti diventa dura credere ancora in te stesso ma non bisogna rinunciare al proprio sogno. All’inizio di un percorso artistico si fanno tantissimi casting, si pesca un po’ nel mucchio, ma poi ci si deve specializzare. Come regista, quando seleziono un artista per uno spettacolo, voglio vedere la persona dietro l’artista, il sacrificio e la dedizione al teatro. Però, ripeto, scegliere un attore o ballerino rispetto ad un altro non significa che quello scartato sia meno bravo. Può capitare, semplicemente, che non abbia le caratteristiche fisiche richieste per interpretare il personaggio per cui si presenta ai casting.

Abiti a New York da diversi anni. Che atmosfera si respira ora dopo l’elezione di Donald Trump?
L’arte è prima di tutto comunicazione, non esiste arte senza che si comunichi qualcosa. E’ un privilegio ma anche una responsabilità ed è un dovere che diventa sempre più pressante in tempi come questi. New York è un mondo a parte rispetto al resto degli Stati Uniti. Io vivo ad Harlem che è una bellissima realtà di integrazione tra etnie diverse. Una ‘mescla’, un mix di razze e di culture che della differenza fanno un valore, come io stessa credo che sia. Vivo immersa, anche per lavoro, in una comunità di latinoamericani tanto da arrivare a parlare più spagnolo che italiano. Però, in questo momento sono in una fase di studio e attesa voglio vedere come si evolveranno le cose con Trump. Attualmente poi sono impegnata come regista nel musical ‘In the Heights’, ambientata nel quartiere di Washington Heights a New York e che racconta la storia di giovani dominicani-americani. Parla dell’immigrazione dei latini negli Stati Uniti, dei problemi e della voglia di integrazione mantenendo vive le proprie radici. Un chiaro messaggio di una volontà di integrazione che non vuole innalzare muri.

Nelle tue parole si avverte forte l’eco della nostalgia per l’Italia…
Manco da così tanto tempo dal mio Paese, anche se sono felice delle opportunità che ho trovato qui a New York. La creatività europea non ha pari, basti pensare al teatro sperimentale che si può trovare a Berlino o la danza d’avanguardia in Olanda. Anche in Italia ci sono delle bellissime realtà ma il taglio ai fondi per la cultura non aiuta. Parlo con degli amici e so che è difficilissimo fare dell’arte una professione che possa permetterti di mantenerti. Qui c’è il vantaggio che di arte puoi vivere, mentre in Italia, se fai sperimentazione, non riesci a campare. Amo le mie radici e la Sardegna mi manca. Ma mai dire mai

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Simona Gautieri


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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