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Da: Cristiano Mazzoni

Sentire parlare Renzi di Berlinguer è come sentire Gelain parlare di Edson Arantes Do Nascimiento. Non è semplicemente offensivo, è fuori tema. Non c’entra nulla, sono piani contrapposti, è come scivolare sulle pendici del Montagnone seduti su un cartone e fare la discesa libera sulla Streif a Kitzbühel.
L’ex leader di un partito, che alcuni, ancora, purtroppo, imperterriti ritengono di sinistra, che con orgoglio dichiara di mai essere stato comunista, rivendicando, anche se non palesemente, le sue origini democristiane, è la vera nemesi della evaporazione dei valori di sinistra nella società italiana.
Sia chiaro, nessuna critica a chi è diverso da me, io sono il solito, anacronistico dinosauro e quindi non faccio testo. Ma è interessante analizzare, in maniera sociologica il percorso effettuato dal Partito Democratico, figlio della tradizione catto-comunista italiana, da prima della sua fondazione ai giorni nostri.
Il povero Renzi, figlio dei fantasmi dei Natali precedenti, non perde occasione per dimostrare il suo fastidio nei confronti dei rossi, la lettera scarlatta che lui e pure gli altri, rifiutano senza se e senza ma.
Addirittura nel criticare Berlinguer ed il Pci addita il fatto di essere stato tra la gente, come un difetto, mettendo al primo posto la vittoria elettorale e non la rappresentanza di un popolo. Ricordo al ragazzaccio di Firenze che un Italiano su tre era comunista e che 12.600.000 nostri connazionali a metà degli anni settanta votarono il primo partito in alto a sinistra nelle schede elettorali.
Il coinvolgimento, il sentirsi una piccola parte di una grande utopia, non ha eguali nel misero panorama politico della nostra penisola.
Sarebbe bello un mondo dove i tasselli del puzzle riprendessero ad avere la loro consona collocazione.
Il Renzismo è un sepolcro imbiancato del neoliberismo attuale, il Partito Democratico è (a parere mio) un raggruppamento moderato di una destra liberale.
Mi assumo le responsabilità delle mie opinioni, criticabili, opinabili, ma mie.
Vedrei bene uno schieramento elettorale in stile Nazzareno, probabilmente competitivo alle elezioni.
E la sinistra ?
E’ un’altra cosa.
Non potrà mai esistere, e storicamente mai esistette, una ipotetica unità a sinistra, se non verrà fatta chiarezza su che cos’è o cosa vuole essere la sinistra italiana.
Mille anime, mille rivoli, mille raggruppamenti, che mai vinceranno le elezioni. Ma per ricreare un popolo e ritornare a parlare con quel medesimo popolo è fondamentale, partire da una vittoria elettorale ?
Ecco, io credo sia quello il problema. E’ come se una squadra di calcio dei dilettanti si ponga il problema di vincere la Champions.
Occorre camminare, prima di iniziare a correre.
La modernità di Berlinguer sta nelle sue idee, sta nell’aver capito che il mondo non è o bianco o nero, sta nella ottusa convinzione che gli ultimi sono la base di un qualsiasi raggruppamento di sinistra, che non si vergogna della bandiera rossa e che addirittura ne rivendica la forza trainante di cambiamento della società.
Io ritengo legittime le posizione centriste e centripete di molti esponenti della sedicente sinistra italiana.
Ma non sono le mie.
Non credo che si esca dalla crisi stando né a destra e né a sinistra, così facendo si diventa barricata, parafrasando Lenin.
Semplicemente credo che l’evoluzione del capitalismo rapace, quello della mercificazione e privatizzazione del tutto, abbia fallito, così in Italia e così nel mondo.
La cosa pubblica, il welfare, il solidarismo, “ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni” (cit.), non sono concetti superati e nemmeno ottuse paturnie di pochi trinariciuti vetero comunisti. Sono il punto di partenza o meglio di ripartenza, di una sinistra di popolo, una sinistra dell’anima, che non ha la velleità di ricostruire uno sbriciolato centro sinistra, ma ha l’obbiettivo di ricostruire se stessa.
Matteo, non volermene, ma non metterti più contro Enrico, non ne hai il fisico, sarebbe come se Patricio Sumbu Kalambay avesse voluto sfidare Muhammad Ali.
Sarebbe stato un match senza storia.
Cordialmente rosso,
e senza vergogna.

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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