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Numeri senz’anima. Si è parlato di involucri, dando peso al contenitore e sfiorando appena ciò che realmente conta: l’umanità del contenuto. Si è dato forse per scontato ciò che scontato non è: e il silenzio alimenta la rimozione, sicché la forma rischia di prevalere sulla sostanza. Venerdì c’è stata la conferenza dell’Acer Ferrara dal titolo “Politiche dell’abitare e riqualificazione urbana: l’esperienza di Ferrara”. Durante l’incontro, c’è stata anche la presentazione del libro “Acer Ferrara: 15 anni di interventi per i Comuni dopo la legge Regionale 24/2001”. I volti dei relatori sono illustri nel panorama ferrarese: dal presidente dell’Acer Daniele Palombo, al presidente della Provincia (e sindaco di Ferrara) Tiziano Tagliani, passando per Diego Carrara, direttore generale di Acer Ferrara, Luca Talluri, presidente di Federcasa, Romeo Farinella, professore di urbanistica presso la locale Università, concludendo con Patrizio Bianchi, assessore alle Politiche europee allo sviluppo, scuola, formazione, professionale, università, ricerca e lavoro della Regione Emilia-Romagna.
Come si desume dal titolo, il tema principale è stato quello dell’edilizia popolare, argomento molto scottante, soprattutto in una città come Ferrara, della quale sto conoscendo man mano che la vivo, le criticità sotto questo aspetto. Gli interventi sono stati specifici, con i consueti tecnicismi e riferimenti a leggi, norme, acronimi, sigle a me sconosciuti. Il tutto incentrato soprattutto su tre fattori: fondi, investimenti e appalti.
Fare un riassunto dettagliato di ciò che è stato detto, per me, che non sono specialista dell’argomento, sarebbe impossibile. Dirò quello che invece più mi ha colpito. Ogni conferenza porta con sé una componente di autoreferenzialità, rendendo il terreno ostico per chi non è esperto della materia e per chi, come me, alla quantità e alla specificità delle informazioni ha sempre preferito la sostanza di ciò che si dice. Vivo da poco a Ferrara, parlare dei suoi problemi mi sembra un atto di presunzione. Ma le problematiche edilizie sono ben visibili, alcune delle quali non affrontate dalla conferenza, stranamente.
L’edilizia popolare porta con sé due problemi fondamentali: l’impatto sociale e la gestione dei fondi. Sulla seconda non mi soffermo, c’è chi più ferrato di me ne parla già ampiamente. Ma sul primo punto mi sarebbe piaciuto poter approfondire con i relatori. Fare domande del tipo “ma il Gad?”, “ma il problema di Barco è solo il riassetto urbanistico, o anche ciò che gli abitanti respirano?”, “il palazzo degli specchi verrà demolito? Cosa sorgerà? Chi gestirà gli occupanti?”, “parlando dello studentato, siamo sicuri che non si possa dire che si tratti di una ‘cattedrale nel deserto’ (il presidente Tagliani ha tenuto più volte a sottolineare che quella struttura non lo sia)?”.
Giustamente una conferenza del genere deve essere un resoconto ai cittadini delle spese, dei lavori, del rispetto dei tempi. Ma io mi chiedo il perché di alcune rimozioni. Perché non ci fosse, tra i presenti, nessuno che vive nelle nuove dimore, perché quando si parla di edilizia popolare si parla di investimenti sul cemento, ma non delle persone; mi chiedo, infine, perché le persone, risultano numeri e statistiche, e la loro dimensione di esseri senzienti pare annullarsi.
Sarà la mia vena troppo polemica, sarà che io nei quartieri popolari c’ho vissuto, ma so che nel “popolare” bisogna andarci con i piedi di piombo. Purtroppo queste mie domande sono rimaste senza risposta, ma la cosa mi ha turbato.
Tornato a casa ho riletto più volte il libro/opuscolo: belle le immagini, dettagli dei finanziamenti, e ancora sigle, leggi, acronimi. L’ho aperto e richiuso almeno sette volte. Piantine, ottime descrizioni edilizie, ma nulla su chi ne usufruirà nel dettaglio, nulla sui criteri di assegnazione degli edifici Erp, nulla sul perché sia stato fatto quel recupero, i criteri di scelta. Mi convinco che sono io a farmi le domande sbagliate, in fin dei conti, questa era una conferenza sullo “stato dell’opera”, è normale che si sia parlato di soldi, metri quadri, leggi e appalti. Io però non posso far a meno di pensare che delle persone ne dovranno avere benefici, e mi chiedo chi saranno, come saranno scelte, quali sono i criteri di discriminazione. Mi risponde sempre Tagliani però su questo: “le assegnazioni vanno fatte in base a tabelle regionali”, risposta soddisfacente, ma di nuovo l’Uomo diventa numero. Credo sia normale, non potrebbe essere altrimenti per semplificare la burocrazia. Ma l’edilizia popolare dovrebbe essere per il popolo, e il popolo, quando viene considerato solo numero, si svuota del suo intrinseco significato di essere vivente.
Altra cosa che mi ha sorpreso e incuriosito è stato un passaggio, sempre di Tagliani: “L’Acer deve essere un nuovo mediatore sociale, dovrà mediare nei conflitti. Anche la costruzione degli alloggi ha cambiato parametri negli anni: ora la resa energetica, i costi di mantenimento, non sono più accessori. Le innovazioni tecnologiche servono e sono un fattore fondamentale per l’abitante, così da non incorrere, negli anni, in morosità che vedrebbero necessaria l’espulsione degli occupanti”. Credo di aver persino sognato il sindaco/presidente che ripeteva questa frase, diventata un mantra per me. Il risparmio energetico divenuto strumento per evitare morosità. Non per salvaguardare l’ambiente, non per limitare i consumi, non per creare efficienza, ma per evitare di essere cacciati da casa. Mi chiedo poi se la scelta della parola “occupante” sia stata voluta, o semplicemente capitata, avendo di lì a poco parlato del “palazzo degli specchi”.
Altra mia curiosità è stata il chiedermi se tra le persone presenti, ci fosse qualcuno che avesse avuto un’esperienza diretta della vita in un quartiere popolare, ne conosca davvero le problematiche, che possono essere riassunte in soli problemi edili? L’antropologia culturale insegna che per capire un qualcosa bisogna sottoporsi alla cosiddetta “osservazione partecipata”, ma con la giusta distanza: non troppo vicini, altrimenti non si “vede”, non troppo lontani, altrimenti non si “sente”.
Io, uscito dalla Camera di commercio, avevo più dubbi che certezze, un articolo su una conferenza dovrebbe farne un riassunto, ma il riassunto di un qualcosa che non si riesce a comprendere è impossibile. Allora cosa fare? Cosa mandare al direttore? Scrivo per un giornale che si occupa di approfondimenti, allora faccio l’unica cosa sensata da profano della materia.
Dopo due giorni e notti insonni, domenica mattina ho preso la decisione: io di questa edilizia popolare voglio vederne i risultati. Ho così deciso di visitare i luoghi citati, partendo dal primo, quello che si è più volte ripetuto “non essere una cattedrale nel deserto”.
1.continua
Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica dell’oggetto giornale [1], un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.
Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare il basso e l’altocontaminare di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta. Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle “cose che accadono” dentro e fuori di noi”, denunciare il vecchio che resiste e raccontare i germogli di nuovo, prendere parte per l’eguaglianza e contro la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo..
Con il quotidiano di ieri, così si dice, ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Tutto Periscopio è free, ogni nostro contenuto può essere scaricato liberamente. E non troverete, come è uso in quasi tutti i quotidiani, solo le prime tre righe dell’articolo in chiaro e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.
Sembra una frase retorica, ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni” . Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come quelli immateriali frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e ci piacerebbe cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e ogni violenza.
Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”, scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori) a tutti quelli che coltivano la curiosità, e non ai circoli degli specialisti, agli addetti ai lavori, agli intellettuali del vuoto e della chiacchera.
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Nato quasi otto anni fa con il nome ferraraitalia [2], Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Conta oggi 300.000 lettori in ogni parte d’Italia e vuole crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma anche e soprattutto da chi lo legge e lo condivide con altri che ancora non lo conoscono. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante. Buona navigazione a tutti.
Francesco Monini
[1] La storia del giornale è piuttosto lunga. Il primo quotidiano della storia uscì a Lipsia, grande centro culturale e commerciale della Germania, nel 1660, con il titolo Leipziger Zeitung e il sottotitolo: Notizie fresche degli affari, della guerra e del mondo. Da allora ha cambiato molte facce, ha aggiunto pagine, foto, colori, infine è asceso al cielo del web. In quasi 363 anni di storia non sono mancate novità ed esperimenti, ma senza esagerare, perché “un quotidiano si occupa di notizie, non può confondersi con la letteratura”.
[2] Non ci dimentichiamo di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno il giornale si confeziona. Così Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto.
Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it
L'INFORMAZIONE VERTICALE