È da tempo che mi occupo della crisi di linguaggio che stiamo vivendo.
Una crisi archetipale perché la lingua è lingua madre, è parola incarnata che  viene da lontano, ed è legata ai corpi delle donne, alla terra in cui nasciamo, alle vibrazioni dei pensieri e delle parole che hanno accompagnato il nostro sviluppo da embrione a feto, fino alla nascita e che accompagnano, poi il nostro viaggio qui sulla Terra ( anche lei madre).

Dunque una crisi che segna quanto malato, non solo fisicamente, sia il tempo che stiamo vivendo!
Questa crisi del linguaggio mi è apparsa chiara molti anni fa quando ho cominciato a interessarmi della pratica aberrante della maternità surrogata.
Allora mi ero resa conto quanto fossimo immersi, in modo del tutto inconsapevole, in un linguaggio distopico, disconnesso dalla realtà viva e palpabile. Noi che avevamo chiaro quanto fosse aberrante questa pratica, cosa per altro evidente, è infatti lampante che è una pratica commerciale, anche quella “altruistica” remunerata con rimborsi spese – dove il giro di affari non riguarda solo la donna madre surrogata, ma avvocati, assicurazioni, cliniche mediche, laboratori etc. –  ci trovavamo a dover contrastare una narrazione che la dipingeva come uno dei più grandi atti di amore e di gratuità.

Per descriverla, le parole venivano e vengono ancora oggi manipolate, staccate dalla loro reale incarnazione, staccate dalla realtà e restituiscono alla opinione pubblica questa pratica come una battaglia progressista e di nuovi diritti.  Le forze progressiste, oggi, ne hanno fatto una bandiera di libertà e di diritti.

Dare dei figli a chi non può averli è il gesto più altruistico che si possa fare, i figli diventano un diritto di tutti e i diritti sono sacri inviolabili.  Questi gli slogan delle democrazie occidentali, il così detto mondo “primo” ! E questa narrazione ha funzionato ed è diventata fondamentale per portare avanti quella idea di libertà fallace che in tanti  denunciamo  da tempo, e che oggi è la bandiera del pensiero transumanista che ci governa.

Le parole che ci hanno accompagnato in questi due anni di emergenza sono uguali a quelle che hanno accompagnato la narrazione della maternità surrogata. “Più vaccinati più liberi“, eccola li la libertà nuovamente immessa sul mercato!
E di nuovo, come per la maternità surrogata, la maggioranza della gente non ha avuto moti di indignazione. I pochi che hanno osato farsi delle domande sono stati dileggiati, diffamati e poi  perseguitati.

Il Green Pass e il super Green pass sono un altro lampante esempio di distorsione delle parole.
Cosa ha di green la tessera verde? 
La parola green ce l’hanno spalmata ovunque, ma non c’è un’azione politica che sembra corrisponda al suo vero e profondo significato. Quando è comparso all’orizzonte questo nome che serviva a definire appunto una tessera che apriva le porte alla vita sociale, alla vita lavorativa, agli studi agli sport , la maggioranza delle persone non si è accorta dell’uso manipolatorio di questa parola.

E la domanda è sempre la stessa: “quanto è diventata accettabile questa tessera legandola alla parola green?”  Sappiamo bene che il super green pass non era una misura sanitaria, e anche se lo fosse stato, mai avremmo pensato anni fa che avremmo accettato supinamente una misura che obbligava surrettiziamente le persone a fare delle cose sul proprio corpo contro la loro stessa volontà per potere accedere al lavoro, alla scuola alla università, agli sport etc.

Chi per ragioni proprie, di salute o di libera scelta, ha legittimamente esercitato il suo sacrosanto diritto alla autodeterminazione facendo  una scelta contraria al pensiero dominante, si è visto togliere addirittura il diritto al lavoro, il diritto allo studio, il diritto allo sport!

Siamo giunti ad accettare che minoranze, perché di queste si parla, venissero progressivamente escluse dalla vita sociale fino a rendergli quasi impossibile vivere e sopravvivere.  Siamo giunti ad accettare che giovanissimi potessero essere esclusi dallo sport. La famosa autodeterminazione, per noi femministe tema alla radice di ogni nostro ragionamento filosofico e pratico, nella emergenza è diventata carta straccia.

Questo tipo di manipolazione delle parole proviene da lontano.  E’ stata costruita a tavolino con astuzia, appartiene alla storia del potere da sempre  e noi donne dovremmo conoscerla bene, eppure mai sembra abbia raggiunto vette così distopiche. L’esercizio del più banale ragionamento logico difronte ad aberrazioni di senso è stato  bandito dalle scuole, dalle aule, dalla vita.  In questi due anni il mainstream si è fatto portavoce del distorcimento delle parole. Più paradossale è l’incongruenza tra il significato autentico della parola e il suo uso e più diviene utile al mercato e al potere di cui il mercato è il padrone.  Ed è questo che è sconvolgente. Sembra che la gente abbia completamente perso il senso critico, quello semplicemente dato dal “ buon senso” !

Foto della scatola da 10 pz in vendita

Oggi ho ricevuto da una cara amica, con la quale spesso ci confrontiamo su questa crisi  delle parole, una foto illuminante. Alla Coop di Busalla erano esposti in bella vista i pacchi da 10 di ffp2 imballate in una bella scatola di cartone rosa e bianca dove campeggia al centro l’immagine di un mascherina, con su scritto “RESPIRATORE”.
Se con questo ultimo esempio non vi viene un sussulto dal profondo,  non avete un moto di rabbia, quella sana, che vi possa finalmente muovere  in direzione opposta e ostinata, beh credo che la vostra lingua madre ormai sia finita nei meandri più reconditi del vostro inconscio con il danno conseguente che siete  irrimediabilmente disconnessi da voi stessi e dal mondo che vi circonda.

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Roberta Trucco

Classe 1966, genovese doc (nel senso di cittadina innamorata della sua città), femminista atipica, felicemente sposata e madre di quattro figli. Laureata in lettere e filosofia con una tesi in teatro e spettacolo. Da sempre ritengo che il lavoro di cura non si limiti all’ambito domestico, ma debba investire il discorso politico sulla città. Per questo sono impegnata in un percorso di ricerca personale e d’impegno civico, in particolare sui contributi delle donne e sui diritti di cittadinanza dei bambini. Amo l’arte, il cinema, il teatro e ogni tipo di lettura. Da alcuni anni dipingo con passione, totalmente autodidatta. Credente, definita dentro la comunità una simpatica eretica, e convinta “che niente succede per caso.” Nel 2015 Ho scritto la prefazione del libro “la teologia femminista nella storia “ di Teresa Forcades.. Ho scritto la prefazione del libro “L’uomo creatore” di Angela Volpini” (2016). Ho e curato e scritto la prefazione al libro “Siamo Tutti diversi “ di Teresa Forcades. (2016). Ho scritto la prefazione del libro “Nel Ventre di un’altra” di Laura Corradi, (2017). Nel 2019 è uscito per Marlin Editore il mio primo romanzo “ Il mio nome è Maria Maddalena”. un romanzo che tratta lo spinoso tema della maternità surrogata e dell’ambiente.

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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