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Ufficio Stampa a cura di Mec&Partners

Estratto intervento di Prof. Fabio Pammolli – Politecnico di Milano

Bologna, 9 ottobre 2020 – Nei giorni in cui si torna a parlare di possibili nuove forme di lockdown, dal palco virtuale del Festival della Scienza Medica – in programma fino al prossimo 17 ottobre – Fabio PammolliProfessore di Economia e Management al Politecnico di Milano e membro del Comitato per gli investimenti del Fondi Europeo e per gli investimenti strategici presso la Banca Centrale Europea, spende parole dure contro le scelte messe in atto dal Governo, che  hanno avuto indubbie ripercussioni sull’economia del Paese.

“Credo che la distribuzione territoriale della contrazione delle attività economiche avrebbe potuto e dovuto stimolare una riflessione circa le modalità di fissazione della durata del lockdownA subire i danni maggiori sono stati non i territori più duramente colpiti dalla pandemia, come Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, bensì gli altri, specialmente nel Sud, con il risultato che la periferia è diventata ancor più periferia ed è plausibile che le ripercussioni si faranno sentire a lungo”.

Assieme al suo gruppo di ricerca, un team formato in collaborazione con Università di Venezia e CNR, Pammolli ha cercato di analizzare fin dalle prime fasi del lockdown quali sarebbero state le conseguenze economiche delle modalità di contenimento del contagio, a partire dai dati sulla mobilità inter e intraregionale. “Abbiamo osservato che i Comuni con una contrazione maggiore di mobilità non sono stati quelli dove i numeri del contagio erano più alti, ma quelli dove il reddito pro-capite è più basso. Un dato legato alla collocazione dei settori produttivi essenziali nel sistema economico italiano, che grazie alle deroghe e alle conseguenti riaperture progressive delle aziende hanno potuto continuare la loro attività”. Significativa è stata ovviamente anche la contrazione di getto nelle mete del turismo, sia per quelle tradizionali che per i Comuni più piccoli, che erano riusciti a stimolare flussi turistici negli ultimi anni.
Anche rispetto al tema della trasmissione del contagio, Pammolli si appella ai dati.

“Una volta che il virus è entrato sul territorio, il contenimento della diffusione dovrebbe spostarsi su interventi di prevenzione tramite isolamento tra fasce d’età. Le classi di età più contagiose sono le coorti giovani, con forme di socializzazione più pronunciate, bacini di coltivazione dell’infezione che poi si propaga attraverso il circuito familiare. Questa caratteristica è un elemento che poteva indurre il Governo a pensare a forme di lockdown differenziate dopo l’iniziale lockdown totale, perché unendo le evidenze – la contrazione relativa di mobilità e la trasmissione del contagio per fasce d’età – una serie di Regioni italiane avrebbero potuto essere aperte prima, magari con campagne di comunicazione mirate sull’importanza di misure precauzionali a livello micro”.

La pandemia e sue conseguenze economiche hanno messo in luce, secondo Pammolli, come in futuro “si dovrebbero disegnare norme di contenimento e rilascio che siano il più possibile basate su evidenze. Nonostante la probabilità di essere criticato, credo che siamo stati in overshooting: l’iniziale disegno delle prime misure di contenimento della mobilità, con l’istituzione delle zone rosse, è stato a mio avviso maldestro, non ha tenuto conto delle modalità di spostamento contemporanee, per cui Torino e Milano sono unite dall’Alta Velocità, nonostante si trovino in regioni diverse. Poiché il rapporto costi-benefici delle misure non era omogeneo sul territorio nazionale, un lockdown totale ha rappresentato un eccesso di precauzione”.

In chiusura, il Professor Pammolli anche un passaggio sulle relazioni che si sono determinate nel rapporto tra politica e scienza. Le modalità attraverso le quali si è comunicato al Paese la decisione di operare restrizioni hanno fatto sì che la politica si sia apparentemente responsabilizzata in modo assoluto, attraverso Dpcm. Al contempo però, invocando lo Stato d’eccezione sulla base di alcuni scenari prodotti dalla scienza, si è completamente deresponsabilizzata, con un principio di precauzione derivato dall’adesione alle indicazioni imperative della scienza. “La scienza – ha concluso Pammolli – è stata portata nell’agone politico, e questo è corretto; non è corretta invece l’assolutizzazione del messaggio che veniva da alcune considerazioni e alcuni scenari prodotti dalla scienza. Sul rapporto tra assunzione di responsabilità politica ed evidenze si gioca, a mio avviso, la sfida più importante che questa situazione ci lascia in eredità”.

Il Festival è su www.bolognamedicina.it o su https://piattaformaventiventi.genusbononiae.it/

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
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PAESE REALE
di Piermaria Romani


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