L’INTERVISTA
Malacarne su Santa Maria in Vado: “Il terremoto ha ridotto i beni culturali a cenerentole”
Tempo di lettura: 9 minuti
La chiesa e il convento di Santa Maria in Vado è tra i complessi ecclesiastici più belli e meglio conservati di Ferrara, carico di valore storico testimoniale. Purtroppo però, a causa dei gravi danni riportati con il terremoto e dei ritardi negli interventi post-sisma, lo stato del bene sta peggiorando di giorno in giorno e i danni, con il parziale disuso, rischiano di aggravarsi in modo esponenziale.
Subito dopo le scosse del maggio 2012 l’architetto Paola Rossi e l’ingegner Giuliano Mezzadri vengono incaricati dalla diocesi di occuparsi del progetto di restauro: in pochi mesi sono resi agibili, con fondi per opere provvisionali urgenti, chiesa e chiostro adiacente e redatto un progetto preliminare molto dettagliato, quasi operativo, per cercare di abbreviare i tempi tecnici che precedono i lavori di recupero. Il progetto viene presentato in Regione a inizio ottobre 2014 ma solo in questi giorni, dopo quattro mesi dalla richiesta e due anni e mezzo dal sisma, è arrivato il primo parere “parzialmente favorevole”.
Della necessità di accelerare i finanziamenti da parte della Regione Emilia Romagna e di partire con una seria riflessione sul tema “terremoto e beni culturali” abbiamo parlato con l’architetto Andrea Malacarne, consulente al progetto. Per renderci conto delle reali condizioni di degrado di Santa Maria in Vado, abbiamo visitato il complesso con l’architetto Paola Rossi, titolare del progetto, che ci ha anche reso note una serie di importanti scoperte fatte durante i rilievi e le campagne di sondaggi.
Siete preoccupati, i tempi si stanno facendo molto lunghi, l’intervento di recupero non parte e il degrado aumenta. Cosa fare?
Malacarne: Sarebbe necessario fare una riflessione su “terremoto e beni culturali” perché questi ultimi rischiano di diventare la cenerentola di questo terremoto, nel senso che sono in coda a tutto il resto e la Regione cerca di limitare i finanziamenti alla semplice riparazione dei danni. Ma come si fa a metter mano su edifici di questa importanza senza considerare tutta una serie di aspetti storici e architettonici complessivi e senza una riflessione anche di prospettiva? E’ insensato tamponare soltanto, senza procedere con interventi più consistenti, non solo per un discorso di messa in sicurezza (perché il sisma purtroppo potrebbe verificarsi di nuovo, e anche più forte), ma anche perché si tratta di edifici delicati e complessi, che quasi sempre ospitano attività con grande affluenza di pubblico. E poi da sempre i terremoti, pur nella loro drammaticità, sono stati l’occasione per importanti operazioni di recupero e miglioramento del comportamento antisismico degli edifici monumentali presenti in tutto il territorio del nostro paese, che non ci possiamo permettere di perdere. Nell’incertezza dell’entità dei finanziamenti si rischia di far partire tanti cantieri che resteranno tali per chissà quanti anni. Questo Ferrara non se lo può permettere.
A quando risale il vostro progetto e a che punto siamo?
Rossi: Il progetto preliminare è stato presentato ai primi di ottobre 2014 alla Regione Emilia Romagna e solo la settimana scorsa, dopo quattro mesi, abbiamo ricevuto la conferma che il progetto è passato, seppure con molte osservazioni e limitazioni. Ora comincia la fase dell’elaborazione e della consegna dei progetti esecutivi e solo con la loro approvazione definitiva si capirà quanti fondi saranno effettivamente assegnati. Il problema è che nel frattempo il degrado procede e i danni rischiano di aumentare. E’ una questione grave che riguarda non solo Santa Maria in Vado, ma anche tanti altri edifici e chiese importanti della città che hanno subito danni con le scosse del maggio 2012.
Sono ormai 17 mesi che la parrocchia e la contrada di Santa Maria in Vado sono inagibili, con un grande disagio per la comunità e un preoccupante degrado della struttura. C’è qualche possibilità che i restauri procedano?
Noi stiamo lavorando per rimettere in moto la vita della comunità: assieme all’ingegnere strutturista ci siamo adoperati nel primo anno per riaprire, con poche opere di messa in sicurezza, prima buona parte della chiesa, poi il chiostro con alcuni locali, ossia gli ambienti essenziali per riprendere le attività parrocchiali. In seguito, per mesi, si è rimasti in attesa che la Direzione regionale del Ministero dei beni culturali fosse in grado di valutare con proprie schede i danni e lavori da eseguire nei singoli edifici, con i relativi costi; poi la Regione ha emesso le ordinanze con l’indicazione delle priorità degli interventi sui beni culturali danneggiati. Solo allora è stato possibile cominciare a lavorare ai progetti. Va tenuto presente che a Santa Maria in Vado ci sono tanti danni diffusi da terremoto ma anche situazioni di degrado pregresso delle quali non si può non tener conto.
Dopo i primi lavori per rendere agibili la chiesa e il chiostro, siete riusciti a fare qualche altro intervento?
Praticamente nulla. Solo sondaggi ed indagini preliminari. Finché non si è certi dell’approvazione dei progetti (il preliminare, il definitivo e l’esecutivo) e di quanto stanzierà la Regione non è possibile aprire il cantiere.
Cosa comporta il vostro progetto?
Si tratta di un progetto di recupero dell’intero complesso che ha comportato campagne di sondaggi diretti e approfondimenti storici e d’archivio. E’ stato inoltre eseguito un rilievo completo dell’edificio monastico che non era mai stato fatto prima (esisteva solo un buon rilievo della chiesa commissionato anni or sono dalla Soprintendenza). Un lavoro quindi lungo e approfondito, attraverso il quale è stato possibile conoscere l’edificio nella sua evoluzione storica, farne riemergere l’impianto originario, scoprire anche l’esistenza di decorazioni e affreschi prima sconosciuti.
Di che scoperte si tratta?
Nella parte dell’edificio che era stata adibita a palestre (anche per ricavare reddito per sostenere le attività della parrocchia) abbiamo fatto le scoperte più belle. Le due palestre erano in origine un unico grande ambiente: l’antico refettorio del monastero. Nel progetto vorremmo ripristinare lo spazio originario, ma conservandone l’uso per attività di vario tipo, quindi mantenendo negli ambienti limitrofi i servizi necessari. Dai sondaggi è poi emerso che tutti i soffitti cinquecenteschi di quel corpo di fabbrica erano decorati e che la parete di fondo del refettorio era affrescata (forse tra il Seicento e il Settecento). Si tratta quindi di un complesso di ambienti di grande qualità e bellezza.
Come avete capito che le palestre erano l’antico refettorio dei monaci?
Da una serie indizi: le quote dell’attuale soffitto non funzionano rispetto alla dimensione degli ambienti, sono troppo basse; nella facciata orientale, quella che prospetta sul campetto sportivo, compaiono segni di capichiave ai quali non corrisponde attualmente alcun solaio interno; nel sottotetto sono collocate magnifiche travi composte in posizione anomala, utilizzate oggi solo per sostenere controsoffitti in arellato; poi documenti e mappe antiche ci dicono che i muri che separano le palestre sono relativamente recenti, quindi posticci. Sulla base di tutte queste osservazioni abbiamo eseguito un sondaggio al primo piano, nel muro che attualmente divide gli ambienti, ritrovando all’interno, intatta, una trave rimasta nella posizione originaria. Tutte le altre travi del solaio principale sono quelle oggi impropriamente collocate nel sottotetto. I solai attuali, più bassi, sono sorretti da travi in ferro, ma tutta l’orditura secondaria e l’assito sono stati recuperati dai soffitti originari. Quindi il soffitto dell’antico refettorio, ligneo e completamente decorato, era collocato circa due metri sopra le quote attuali ed esistono in loco tutti gli elementi per rimontarlo completo nella posizione originaria. C’è però il rischio che questa operazione, volta a ricomporre l’antico assetto strutturale dell’edificio, non venga finanziata perché non direttamente collegata ai danni da sisma. E’ pensabile, in casi come questo, limitarsi a consolidare la situazione esistente anche se palesemente deturpante ed incongrua? Sarebbe uno spreco di denaro inutile e assurdo.
In che periodo sarebbe stato fatto lo smembramento e l’abbassamento del solaio?
Pensiamo nel primo dopoguerra, o forse tra le due guerre, ma è al momento difficile indicarne la data precisa.
Sono visibili le travi rinvenute nel sottotetto?
Certo, e anche la trave rimasta dentro al muro al primo piano. Poi nel sottotetto, che la contrada di Santa Maria in Vado ha utilizzato fino al terremoto del 2012 come deposito, ci sono altre scoperte interessanti. Il disegno del pavimento in cotto definisce l’antica scansione di ambienti che altro non erano che le celle dei monaci. Il volume di una cella rimane visibile, attraverso un pertugio, sul lato verso il chiostro. Alle pareti affiorano, anche a questo livello, tracce di decorazioni e di affreschi.
Avete fatto scoperte davvero sensazionali…
Non sensazionali, ma sicuramente di grande interesse, sia storico che artistico. Quando si mette mano seriamente ad edifici di questa importanza non è raro trovarsi di fronte a belle sorprese. Nel progetto di fatto riproponiamo la scansione degli ambienti principali e l’assetto strutturale dell’antico monastero ed il recupero dell’apparato decorativo. Tutto questo lasciando inalterato l’uso consolidato negli ultimi decenni, anzi potenziandolo perché di fatto renderemmo totalmente agibile il sottotetto che ad oggi e utilizzabile solo in parte. Recuperare in modo organico il convento è anche l’occasione per riorganizzare gli spazi e gestirli al meglio, sia quelli parrocchiali, che quelli della contrada e quelli destinati alle attività sportive-ricreative.
Sarebbe bellissimo…
Sì, ma se i finanziamenti non corrisponderanno a quanto previsto nelle schede della Direzione regionale, e tutto oggi lascia temere che sarà proprio così, non si potrà fare un intervento complessivo per riportare a vita piena questo gioiello. Una riflessione complessiva sul futuro dei nostri edifici monumentali dopo il terremoto è quindi più che mai necessaria.
Le foto sono di Paola Rossi (tranne la veduta aerea del quartiere che è scaricata da Google), cliccaci sopra per ingrandirle.
Si ringraziano gli architetti Andrea Malacarne e Paola Rossi dello Studio Malacarne per averci accompagnato nella visita al complesso, per la concessione del materiale fotografico, per averci messo a disposizione la Relazione storico e archivistica e, infine, per l’accurata revisione dell’articolo per quanto riguarda gli aspetti tecnici e specialistici.
DOCUMENTAZIONE
La struttura, così come si presenta oggi nel complesso, risale alla metà del XV secolo (1494 la data probabile di inizio lavori) e venne commissionata dal duca Ercole I d’Este a Biagio Rossetti (ingegnere ducale), Bartolomeo Tristano e Ercole de’ Roberti. Ercole I volle contestualizzarla e inserirla nel piano di rinnovamento che investiva a quei tempi tutta la città [vedi estratto della Relazione storico e archivistica a cura dell’arch. Paola Rossi e del dott. Giuseppe Lipani].
Foto arch. Paola Rossi
Sara Cambioli
I commenti sono chiusi.
Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it