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da: Valeria Rustici segretaria circolo Sel Ferrara “Don Chisciotte”

Sono molti gli spunti di riflessione che ho potuto raccogliere dai miei compagni e dalle mie compagne durante questi mesi e ancor di più con l’approssimarsi del Congresso Nazionale a cui avrò l’opportunità di partecipare come delegata. Ho avuto modo di registrare preoccupazioni condivise non solo rispetto ai drammi di varia natura (occupazionale, ambientale, sociale) che stanno attraversando il nostro Paese e ma anche rispetto al ruolo che SEL dovrà assumere in un quadro di questo tipo.
In questi anni abbiamo visto avvicinarsi a SEL molti ragazzi e ragazze, che non provenivano dal mondo della politica ma da quello movimentista e associativo, me compresa.
Mi riferisco a quel popolo che spesso si è avvicinato a SEL durante i momenti di partecipazione collettiva, come quello delle primarie e che è rimasto a collaborare con noi grazie a quel racconto collettivo che siamo riusciti a scrivere insieme.
Per questo ritengo che la forma partito che abbiamo imparato a conoscere non sia l’unica e ritengo non sia più neppure sufficiente.
Il prevalere di una struttura verticistica è un aspetto che contraddistingue i vecchi partiti ed è una delle maggiori cause dell’allontanamento delle persone dalla politica.
Sappiamo bene a quali conseguenze porti la frattura che separa gli organismi decisionali dalla “base” e dai cittadini; la vera sfida sta nel creare strutture orizzontali (le Fabbriche di Nichi insegnano) e reti plurali di soggetti collaborativi e sinergici.
Occorre, a mio avviso rivedere tutti i meccanismi decisionali e che venga sperimentata la democrazia deliberante. A tutti i livelli. Dai Circoli al Nazionale.
Sel è stata per tantissimo tempo il soggetto che ha tenuto in vita, riportandolo sempre sul dibattito pubblico, il tema delle primarie dai leader di coalizione fino ai sindaci e ai presidenti di regione.
E allora che SEL si dia l’opportunità di essere un luogo contaminato anche nelle sue figure dirigenziali da eccellenze esterne, rappresentative di mondi, che possano portare istanze di politica utile. E lo faccia utilizzando un sistema di consultazione della base, rappresentata non solo da iscritti/e ma anche da tutti quegli elettori ed elettrici che molto spesso sui territori contribuiscono con dedizione a rendere SEL un luogo vivo e produttivo di proposta politica.
Apertura infatti non è solo ascolto, ma sopprattutto accoglienza.
Accoglienza che non va praticata solo in relazione ai nomi. Non voglio un partito che consideri il confronto alla stregua di un concorso di bellezza.
Con l’approssimarsi delle elezioni amministrative ad esempio si discute molto di alleanze e, a mio avviso, ancora troppo poco di contenuti.
Vorrei che il mio partito fosse la Sinistra che conquista responsabilità di governo non per accordi tra partiti ma perché in grado di raccogliere consensi nei territori e tra i cittadini.
Per questo credo anche che ogni decisione in merito ad alleanze e coalizioni dovrebbe essere discussa e condivisa con gli iscritti e con tutti i soggetti interessati, attraverso assemblee aperte e confronti autenticamente democratici.
La ricerca di un accordo non può avvenire “costi quel che costi”, magari al prezzo insostenibile della “svendita” dei nostri principi fondativi e dei nostri punti programmatici qualificanti e imprescindibili.
Il Centrosinistra è stato ucciso dai governi delle larghe intese, occorre quindi ridefinirne i confini.
Credo che debba essere questa l’ambizione di SEL: rompere il legame tra il PD e la destra e di rilanciare una nuova stagione di discussione e alleanza tra le forze della sinistra.
Il tema dell’alleanza con il Partito Democratico non può essere nè un dogma nè un obbligo.
Sel deve costruire la sua autonomia nei fatti e non perdere mai la missione di ricostruire la sinistra nel Paese.
Dobbiamo quindi avere il coraggio di sostenere con forza le nostre idee anche quelle più difficili e controcorrente che in questa fase storica assumono addirittura un carattere “rivoluzionario”.
Non dobbiamo essere coloro che raccolgono la sfida, bensì il soggetto che quella sfida la lancia con coraggio: alla Sinistra, al suo popolo, al Paese e all’Europa.
La sinistra non è un modo di votare, ma di vivere.
Che SEL quindi decida se vuole vivere di vita propria o morire di luce riflessa.

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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