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Fatti dai risvolti tragici, cronaca nera quotidiana, martellanti notizie inquietanti, news pessimistiche senza tregua, previsioni catastrofiste, vicende e storie dal triste epilogo. Ecco ciò a cui siamo abituati: un lento scivolare verso quel velo di negatività che ha finito col permeare il nostro vivere giorno dopo giorno, rendendo le nostre esistenze un po’ più grigie, un po’ più spente. A volte protestiamo con veemenza, altre commentiamo con un sospiro rassegnato, altre ancora e sempre più frequenti, passiamo tutto sotto silenzio perché ci si assuefa anche al grigiore. A volte arriviamo ad ammettere che abbiamo bisogno impellente di ridisegnate tutto con colori diversi e tinte vivaci per non soccombere sotto il peso di una realtà spesso intollerabile ma alla fine diventa più facile e sbrigativo adeguarsi, allinearsi alla maggioranza di un’umanità stanca e priva di emozioni, dove nemmeno i fatti e le storie più forti riescono ormai a scuotere qualcosa dentro.

Siamo così avvezzi alla crudezza e all’impatto brutale con ciò che accade, senza filtri e senza ‘paracaduti’, che ormai ci stupiamo di ciò che è buono, chiaro e tranquillizzante. Consideriamo gli ‘happy end’ quasi fossero miracoli e ci stupiamo possano ancora accadere cose dai risvolti finali positivi che superino il nostro pessimismo cronico. Eppure di happy end ne è piena la letteratura, con grande valenza gratificante e consolatoria. Ci piace leggere di storie finite nel trionfo dei buoni sentimenti, della giustizia e del riscatto; ne traiamo uno stato d’animo che ci fa star bene con noi stessi e ci predispone verso gli altri. Tra i grandi classici vale la pena ricordare Jane Eyre (1847) di Charlotte Brontë, in cui l’orfana Jane diventa istitutrice presso il castello di Mr. Rochester. L’amore che nasce tra i due sarà sottoposto ad ogni sorta di prova e sembrerà compromesso da un terribile segreto. Non sarà un incendio devastante, la cecità e il dolore a separarli. Solo alla fine essi si ritroveranno in un contesto completamente cambiato ma con l’amore di sempre rimasto intatto. Anche in Orgoglio e pregiudizio (1813) di Jane Austen si assiste alla saga della famiglia Bennet con le avventure delle cinque figlie, impegnate ad assecondare i genitori o i propri sogni e le proprie inclinazioni. Jane sposerà il ricco Charles Bingley dopo non pochi momenti di fraintendimenti ed equivoci che rischiano di compromettere la loro felicità. Romanzi in cui l’amore non è, come sembra, un punto di partenza ma un punto di arrivo, conquistato attraverso mille peripezie, sacrifici e anche una considerevole dose di buona sorte.

Non sempre però, nei romanzi dell’epoca, le vicende conducono a un finale soddisfacente: in certi casi le colpe dei protagonisti sono talmente inaccettabili e stigmatizzate dalla società ottocentesca, che non si concede loro nessuna possibilità di redenzione, nemmeno nella finzione letteraria. Ne sono l’esempio Anna Karenina (1877) di Lev Tolstoj e Madame Bovary (1856) di Gustave Flaubert, in cui l’adulterio viene additato severamente e le due protagoniste destinate al suicidio. Flaubert si ispirò, addirittura, ad un fatto realmente accaduto, riguardante la storia di Delphine Delamare di cui la cronaca dell’epoca si occupò per lungo tempo. Pip ed Estella sono i protagonisti dell’affollato e convulso Grandi speranze (1860) di Charles Dickens, uno dei più popolari romanzi della letteratura vittoriana. Dopo un incontro folgorante, contrastato dalle differenze sociali, la conoscenza di un misterioso galeotto, un viaggio in Egitto e l’allontanamento dei due innamorati, un insolito happy end distingue la vicenda dei due ragazzi: il loro ritrovarsi dopo tante peregrinazioni non avverrà all’insegna dell’amore e della passione ma di un forte, profondo e inaspettato sentimento di amicizia. “Siamo amici.” dissi, alzandomi e chinandomi su di lei, mentre si alzava dalla panchina. “E continueremo ad esserlo anche lontani.” rispose. Le presi la mano nella mia e uscimmo dal luogo in rovina; e come la nebbia del mattino si era alzata in un tempo lontano, quando avevo lasciato la fucina, così si stava alzando ora la nebbia della sera, e in tutta la vasta distesa di luce quieta che mi svelò, non vidi l’ombra di un altro distacco.

Agli inizi del ‘900 in Gran Bretagna nasce ufficialmente la ‘Letteratura rosa’, destinata ad un pubblico femminile. Gli schemi delle narrazioni percorrono un filo conduttore comune agli autori: lui, lei, le interferenze e l’inatteso. Uno schema rigido, che offre però la possibilità di identificazione da parte delle lettrici e soprattutto garantisce un happy end. Intrighi, tradimenti, fughe notturne, congiure, rapimenti, equivoci, vendette, duelli segnano le sorti dell’uno o dell’altro conducendo i personaggi in vortici pericolosi, per approdare alla risoluzione finale. Il contesto dei romanzi è costituito da castelli, monasteri, abbazie in rovina, covi di fattucchiere e zingare cartomanti, villaggi sperduti. Gli oltre 700 romanzi di Barbara Cartland (1901-2000), presentano lo schema vincente: un uomo bello, ricco e nobile, una donna bellissima, di notevole forza d’animo, illibata. Il loro amore è romantico e appassionato, sorretto esclusivamente dal sentimento: La costante nei romanzi della Cartland è infatti la castità prematrimoniale. I fattori esterni che possono minare il rapporto sono la guerra, le disgrazie, le differenze sociali. Ma alla fine il sentimento prevale. In Italia scoppia il fenomeno Liala (1897-1995), pseudonimo coniato da D’Annunzio per Amalia Liana Cambiasi Negretti Odescalchi, che ha venduto milioni di copie dei suoi romanzi, ambientati nel mondo della marina e dell’aviazione durante la Prima guerra mondiale. Negli anni ’50 in USA, il genere rosa diventa business e la casa editrice Harlequin conquista il monopolio di mercato. Il canovaccio narrativo è lo stesso ma la donna perde l’aurea che la idealizza per diventare eroina, a volte spregiudicata, che rincorre l’emancipazione, il riscatto e l’affermazione attraverso l’amore.

Negli anni ’70-’80 l’erotismo entra per la prima volta a far parte della narrazione. L’uomo è maturo, sicuro di sé, realizzato; la donna è giovane, disinibita. Vengono toccati temi come il divorzio, gli abusi, la famiglia allargata, la carriera. I tempi sono cambiati e con essi anche la necessità di rendere il romanzo attuale, realistico, anche se non si rinuncia ad un finale che faccia tornare felicemente i conti. Negli ultimi anni, tra le più significative autrici delle nuove tendenze letterarie compaiono Sveva Casati Modignani che ci narra di gente comune coinvolta in storie non comuni e Mara Venturi, che ha iniziato a scrivere su suggerimento di Italo Calvino, definita da Albereto Bevilacqua la ‘Sandokan dei sentimenti’. Oggigiorno è esploso il fenomeno della ‘chick-lit’ (letteratura per pollastrelle) con capostipite Il diario di Bridget Jones della giornalista Helen Fielding. Il lieto fine non è la relazione stabile o il matrimonio ma il raggiungimento della consapevolezza di sé.

Un happy end per ogni epoca, quindi, che percorra stili di vita, culture, ottiche ed aspettative legate alla nostra evoluzione. Rimane sempre e comunque il desiderio di trovare alla fine del romanzo, nell’ultima pagina prima di chiudere il libro, un qualcosa o un qualcuno che allontani per un attimo pensieri negativi, fredda disillusione e arrendevolezza.

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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