Skip to main content

Per gli osservatori del settore è una scommessa interessante. Ma ‘per loro’ è molto di più: alcuni tra i maggiori produttori italiani di pere, dopo anni di frazionamento e frizioni, hanno deciso di costituire un consorzio per affrontare meglio il mercato del loro prodotto: un frutto gradevole e nutriente, da tutti conosciuto ma non adeguatamente presente sulle tavole, a partire da quelle degli italiani. Così circa un terzo dei produttori di pere italiani hanno accantonate le antiche rivalità e hanno deciso di fare fronte comune unendo le forze. Hanno costituito una realtà cooperativa, denominata “Opera”, costituita da oltre mille produttori e 18 importanti aziende che a vario titolo operano in questa filiera. E’ da notare che su poco più di 700.000 tonnellate di pere prodotte in Italia (dati Wapa, media ultimi 5 anni, ndr), in media oltre 500.000 (cioè oltre il 70%) crescono in Emilia Romagna, concentrate principalmente nelle province di Ferrara, Modena e Bologna. Inoltre, il 50% della produzione è dato da un’unica varietà, l’Abate Fétel. E da ottobre, sugli scaffali di vendita ci sono proprio le succose Abate Fétel e tutte le altre principali varietà a marchio Opera: si tratta dell’unica grande impresa del settore ortofrutticolo esclusivamente specializzata nella pera. Al vertice c’è il presidente Adriano Aldrovandi, che ha al suo fianco i vice Atos Bortolotto, Piero Emiliani, Raffaele Drei e il ferrarese Luigi Mazzoni. Come direttore è stato scelto Luca Granata, un uomo che molto ha fatto nel settore agricolo, ma che chiede di figurare solo come “un laureato in agraria da anni impegnato a vario titolo nel settore della frutticoltura” e che non gradisce foto. Spiega: “Per me ciò che conta sono i frutticoltori, il consorzio, la squadra ma nessuno dei singoli, perché solo insieme (forse) si vince”. Proprio a lui abbiamo chiesto ragguagli sull’ambizioso progetto.

operaLei è il ‘papà’ di Melinda, cosa l’ha indotta a intraprendere questa nuova avventura professionale?
La ringrazio per il titolo che mi ha attribuito, però vorrei precisare che non sono certo io il “papà” di Melinda. Semmai lo sono le migliaia di frutticoltori delle Valli del Noce che con coraggio, lungimiranza e determinazione hanno deciso che sarebbe stato più proficuo lavorare insieme invece che uno contro l’altro. Io ho semplicemente avuto il privilegio di percorrere una parte del mio percorso professionale insieme a Melinda servendo i soci al meglio delle mie capacità attraverso lo svolgimento degli incarichi che mi erano stati dati dal Consiglio di Amministrazione.
Il principale motivo per cui sono stato entusiasta ed onorato di accettare la proposta di collaborazione che ho ricevuto ormai un anno e mezzo fa dai promotori del progetto di aggregazione dell’offerta della produzione nazionale di pere sta nel fatto che da molti anni ritengo il settore della pericoltura italiana quello che, per diversi motivi, ha le maggiori opportunità potenziali di tutto il settore frutticolo europeo. Si tratta di un progetto che qualora portato a termine, potrebbe avere straordinarie ricadute positive sulla “sostenibilità vera” (intendo dire “a tutto tondo”: ambientale, sociale ed economica) in primo luogo del distretto di produzione della pera (il 70% della produzione nazionale di pere si trova in Emilia Romagna, ndr), ma poi anche sull’intero settore agricolo italiano. Quindi, a mio parere, non esiste un progetto relativo alla frutticoltura più stimolante ed eticamente nobile di questo in tutta Europa e farne parte, insieme a tante altre persone, è per me una preziosa fonte di quotidiana motivazione.

Opera è una pera ma, con un nome così, evidentemente ambisce a essere quantomeno una pera speciale. Cosa la renderebbe tale?
Opera è un nome che abbiamo scelto proprio perché racchiude molti significati. Dalla sua domanda traspare che lei per esempio gli ha dato il significato di “Opera d’arte”, e in effetti le nostre pere, per la qualità dei frutti e per la cura del confezionamento, possono a pieno titolo essere considerate come tali. Ma il significato potrebbe essere anche “Opera della Natura”, perché la pera è un alimento 100% naturale, con un profilo nutraceutico di grande interesse. Ma è anche un’ “Opera dell’Uomo” perché nella coltivazione e nel confezionamento delle pere Opera sono coinvolti mille agricoltori nei frutteti e circa mille collaboratori, in gran parte al lavoro nei centri di confezionamento e negli uffici commerciali ed amministrativi. Ma ovviamente è anche un’ “Opera dei sapori” per i tanti gusti unici delle diverse varietà di pera e per il ruolo che la pera gioca nelle ricette più gourmand (l’ha mai provata con una spolverata di cioccolato fondente?, domanda il nostro interlocutore…). E poi Opera significa “Italia” e infatti il 100% delle nostre pere sono italiane. E inoltre Opera è una parola facile da ricordare, breve abbastanza per essere leggibile quando stampata sul piccolo bollino presente su tutti i nostri frutti, che si pronuncia quasi allo stesso modo in tutte le Nazioni del mondo e che ovunque veicola un significato di alta qualità e di italianità. E poi “O Pera” è anche un po’ evocativo della nostra stessa essenza. Non le pare?

…Evocativo certamente lo è, quasi un’invocazione direi. Ma chi c’è all’interno di questa cooperativa di produttori?
I proprietari di Opera sono circa mille produttori italiani di pere che hanno deciso che era venuto il tempo di lavorare insieme invece che uno contro l’altro. Ed hanno deciso di farlo attraverso le 18 importanti aziende alle quali da anni fanno fedelmente riferimento e che hanno portato in dote ad Opera tutti i loro ‘assets’ principali tra i quali decine di professionisti specializzati in tutte le fasi della gestione del prodotto “pera”, centri di confezionamento e di stoccaggio di prim’ordine, solidi rapporti con oltre mille clienti in più di 40 nazioni del mondo e un know-how complessivo acquisito in decenni di attività.

opera3Questa riscoperta di un frutto, del quale le nuove generazioni stavano quasi per perdere memoria, a quali suggestioni può ricorrere per risultare appetibile anche ai giovani?
La risposta non può essere univoca perché i giovani – convenzionalmente in ambito commerciale si definiscono così le persone che hanno meno di 30 anni, chiarisce Granata – in realtà sono un insieme estremamente variegato. Basti pensare alle differenti esigenze e gusti che possono esserci tra un minorenne e una giovane mamma che però rientrano entrambi a pieno titolo nel segmento “giovani”. L’offerta di alimenti più o meno correttamente definiti ‘cool’ rivolta a questo segmento è incredibilmente ampia. Tuttavia anche molti giovani sono interessati a una nutrizione sana, senza additivi, senza olio di palma, senza colesterolo, senza lattosio, senza glutine, senza alcol, senza zuccheri aggiunti, senza ogm, con poche calorie, zero grassi, tante fibre, adatta a una dieta vegetariana e vegana, economica e quindi sono potenzialmente interessati a una pera, che racchiude tutte queste caratteristiche e molte altre. Però non dobbiamo mai perdere di vista il fatto che in Italia, così come in tutti i Paesi definiti evoluti, circa il 50% della popolazione ha oltre 50 anni e che tale percentuale è prevista in aumento. E queste persone per motivi metabolici consumano più frutta e verdura di quelle più giovani, sono ancora più interessati ad alimentarsi correttamente e ancora più attenti alla qualità di ciò che mangiano. Noi del settore della pera dobbiamo quindi riflettere approfonditamente sul corretto posizionamento che vogliamo dare al nostro frutto e alle infinite possibilità di segmentazione che abbiamo di fronte a noi per soddisfare i bisogni manifesti e latenti praticamente di tutti. E soprattutto dobbiamo comunicare con le persone. Con tutte loro. Dobbiamo informarle su tutto ciò che sta dentro una semplice pera, che è un frutto familiare per tutti, che quasi tutti consumano, almeno occasionalmente (con un indice di penetrazione superiore all’85%), ma che quasi nessuno conosce realmente bene perché noi produttori abbiamo finora colpevolmente omesso di informare le persone sul nostro prodotto. Compensare questa carenza di informazione è a mio avviso una delle maggiori opportunità che potrebbero essere colte.

E guarda caso Opera si sta promuovendo attraverso una massiccia e incisiva campagna di spot televisivi. Quali obiettivi di mercato vi siete posti?
Ancora una volta la ringrazio per l’aggettivo riservato alla nostra attività di comunicazione, iniziata solo il 06 novembre 2016, ma credo che il termine “massiccia” potrebbe essere più correttamente rivolto per esempio alla comunicazione di alcune grandi aziende del settore food che da anni inondano tutti i canali di comunicazione grazie alle loro enormi possibilità di investimento e che – anche grazie a questo – sono state, e continuano a essere, in grado di far aumentare continuamente i consumi dei loro prodotti nonostante contengano spesso tantissimi grassi e zuccheri semplici, siano ipercalorici e quindi abbiano un profilo nutrizionale ben diverso da quello di una pera o di un qualsiasi altro frutto. Non le sembra almeno sorprendente il fatto che fino a pochi giorni fa in nessun Paese del Mondo non si sia praticamente mai vista sui mass-media una comunicazione pubblicitaria di una certa visibilità a favore del consumo di pere? Il primo realistico obiettivo che ci siamo posti per il momento è proprio questo: far conoscere un po’ meglio alle persone che abitano in Italia le tante “buonissimissime” ragioni per preferire una pera Opera piuttosto che una pera qualsiasi, di cui non si sa nulla, e – soprattutto – piuttosto di un alimento molto calorico, ricco di grassi e di zuccheri.

Quali ritenete possano essere gli ingredienti in grado di favorire il successo di Opera?
Gli elementi necessari per il successo di qualsiasi iniziativa economica sono moltissimi e variabili nel tempo. Ma per la pera – ed anche per tutta l’Agricoltura italiana – ciò che a mio personale avviso serve di più è un’aggregazione dell’offerta adeguatamente ampia, non inferiore al 51%, in grado di poter realmente influenzare il mercato perché finalmente in grado di esprimere un potere contrattuale comparabile con quello degli altri attori principali della filiera che va dai frutteti alle tavole. La pera dunque – e con essa chi la coltiva – ha tantissime opportunità. Ne ha più di qualsiasi altro frutto largamente consumato. Ma per poterle cogliere i produttori devono aggregarsi molto di più di quanto lo abbiano fatto sino ad oggi. Sarà possibile? Accadrà? Non lo so, ma lo spero vivissimamente. Perché se non accadrà – e in fretta – credo che perderemo l’ennesimo storico settore produttivo italiano dopo averne persi molti altri nel corso degli ultimi decenni. Credo che tutti gli agricoltori e tutti quelli che hanno veramente a cuore la reale sostenibilità vera dell’agricoltura italiana dovrebbero adoperarsi al meglio delle loro rispettive capacità per favorire il rapidissimo raggiungimento di un adeguato livello di aggregazione dell’offerta dei prodotti agricoli. E dovrebbero farlo davvero, con i fatti, e non solo a parole durante i convegni e sulle riviste di settore.

tag:

Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it