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Quando sono andata in Indonesia per la prima volta, non avevo idea che mi sarei innamorata così follemente di questa terra. Nonostante io avessi solo 7 anni avevo la fortuna di essere già entrata in contatto con tanti popoli, culture e tradizioni diverse. Ma qualcosa di questo Paese mi ha colpito fin dal primo istante, al punto che una parte di me non è mai più tornata in Italia. Nel nostro Paese se sorridi a qualcuno per strada, magari solamente perché per te è una bella giornata, la gente ti guarda in modo strano o si gira dall’altra parte. In Indonesia invece le persone ti sorridono e ti salutano senza un perché, i bambini ti rincorrono e la gente ti invita nei propri villaggi per offrirti latte di cocco e tapioca. E’ un popolo con tante lacune e tanti difetti, ma a cui non manca mai il sorriso sulle labbra. Anche chi vive di quel poco che coltiva, è sempre disposto ad offrire ciò che ha.
E’ il Paese-arcipelago più grande del mondo, in cui vivono oltre 300 etnie diverse, con culture, religioni e lingue differenti. E’ un luogo così variegato che andrebbe esplorato in ogni suo antro. Vi sono spiagge mozzafiato, colorate dalle tante tipiche barchette ancorate sulla spiaggia. Il mare è cristallino e ospita sempre pescatori che da esso traggono ciò di cui vivere. Vi sono tantissime e diverse escursioni da fare a disposizione del turista.
Una delle esperienze più belle, a livello umano, è trascorrere una giornata nei villaggi locali, ad esempio quelli “sasak”, abitanti dell’isola di Lombok. Si entra in contatto con le loro più antiche tradizioni, la loro cultura, i loro usi e costumi, costeggiando risaie piene di mondine, campi di tabacco e peperoncino. Da piccola andai nella “fabbrica” del sale: nella mia ingenuità mi aspettavo di vedere macchinari e attrezzature specifiche, ma rimasi colpita nel vedere questi giganteschi coni bianchi di sale che assomigliavano ad enormi gelati al fior di latte. Per ricavare il sale si limitavano a far evaporare l’acqua al sole, nella maniera più naturale possibile. Anche il mercato del pesce ha il suo fascino, anche se è triste vedere quanti squali vengono sacrificati a scopo di lucro.
Dal punto di vista religioso il Paese è estremamente vario. Il motto indonesiano recita “Bhinneka tunggal ika” che significa “Unità nella diversità”, ad indicare la grande tolleranza nei confronti delle differenti religioni che convivono pacificamente. Numerosissime moschee dalle cupole lucide e colorate risuonano in ogni dove, cinque volte nell’arco della giornata. I fedeli si riuniscono seguendo i dettami del loro credo e le preghiere che, per chi le sente la prima volta possono essere fastidiose, ma poi diventano a mano a mano una cantilena piacevole che riempie il silenzio della notte. A pochi metri dalle moschee sono visibili templi indù, con le statue tipicamente vestite con colorati abiti locali e le numerose offerte agli dei. Merita di essere visitato il Tanah Lot, un tempio a Bali, situato in un isolotto roccioso nel Pacifico, dedicato alle divinità marine. Anche il Buddhismo ha un’ampia diffusione, il tempio di Borobudur, situato nel centro dell’isola di Java, è il monumento più visitato di tutta l’Indonesia.
Per me che sono un’amante della natura, questo arcipelago è decisamente il luogo giusto. Vi sono spiagge di ogni colore, nere per la sabbia vulcanica, bianche e morbide come farina, rosa perchè costituite di corallo rosso sbriciolato dall’azione delle onde marine. Vi sono foreste tropicali che tolgono il fiato… ricordo la prima volta che visitai le cascate dell’isola di Lombok, dove ogni passaggio sembrava un ostacolo. Attraversare torrenti gelati, passare su ponti forati e senza alcuna ringhiera, camminare all’interno di tunnel bui dove occorre soppesare ogni passo, sono esperienze uniche che consiglierei a chiunque.

Ma come ogni luogo, anche l’Indonesia ha i suoi punti deboli: l’elevato tasso di corruzione, una sanità estremamente arretrata, l’inquinamento ambientale e urbano causato dalla deforestazione, dagli incendi e da una pessima gestione dei rifiuti. Sono tutti problemi seri, a cui però il governo fatica a porre rimedio.
Per sfatare un luogo comune, occorre inoltre sapere che l’Indonesia, come invece molti credono, non è da classificare a tutti gli effetti come un Paese del cosidetto Terzo Mondo. Un aspetto particolare del luogo è infatti l’evidente accostamento di modernità e povertà. Vi sono città come Jakarta, Medan e Surabaya dove lo sviluppo è stato imponente ed è quindi normale vedere, per le strade, maxi schermi e tecnologie all’avanguardia. In alcune zone invece, come nei piccoli centri abitati o nelle isolette, è paradossale vedere villaggi con ingenti parabole a fianco di casupole dal tetto ricoperto di alang-alang (una lunga erba verde). Qui molte persone vivono ancora senza elettricità, né acqua calda.
L’Indonesia è un Paese che sta crescendo sotto tutti i punti di vista, specialmente per quel che riguarda la tecnologia. Negli annunci pubblicitari che costeggiano numerosissimi le strade, rendendole vive e colorate, è pazzesco notare quanti di questi reclamizzino le compagnie telefoniche. Molti indonesiani, per quanto assurdo possa sembrare, vivono in villaggi su strade sterrate, mangiando ciò che pescano e producono, ma possiedono uno smartphone e ricevono il segnale radiotelevisivo. E’ come se la crescita tecnologica non andasse di pari passo con lo “sviluppo antropologico”. E mi riferisco anche a questo quando parlo di lacune. Il tasso di alfabetizzazione e scolarizzazione è aumentato notevolmente, ma una parte della popolazione resta analfabeta e ignorante, quindi non in grado di capire quali sono le vere priorità. Nonostante tutto, anche chi potrebbe essere classificato come ‘povero’, ha una ricchezza interiore che a molti ‘ricchi’ manca. Basta guardare gli occhi dei bambini, che nudi corrono sulla spiaggia, per innamorarsi di questo popolo e di questo paese che offre ai visitatori infinite meraviglie.
Diversità linguistiche, diversità etniche, diversità religiose, diversità culturali e diversità sociali che però hanno saputo, nel corso degli anni, trovare un loro equilibrio, vivendo ora in uno stato di armonia.

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Silvia Malacarne


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

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Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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