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(pubblicato il 22 marzo 2016)

Preso dalla vertigine della lista sono andato alla ricerca dei luoghi nei quali si offre conoscenza nella nostra città, o perché la si produce o perché la si mette a disposizione degli altri. Tra associazioni, circoli, scuole, università, biblioteche, istituzioni culturali, cinema e teatri, ne ho impilati più di 250.
Ne emerge il profilo di una città che gestisce la conoscenza in vari modi. Più difficile, invece, tracciare il disegno di una città gestita per mezzo della conoscenza, utilizzando cioè la conoscenza come risorsa. Ricerca, scienza, innovazione, creatività ne dovrebbero costituire i polmoni per respirare nel presente e progettare il futuro. Sento già l’obiezione di qualcuno a questa mia affermazione.
Certo nessuna città può essere gestita senza conoscenza. Basta pensare alla grande quantità di servizi che la città produce per i suoi cittadini, dall’istruzione alla salute, dalle infrastrutture di base alle imprese. È superfluo dire che la produzione di tutti questi servizi richiede un immenso ammontare di conoscenze relative ai campi in questione, difficili da quantificare, ma ci sono, in ogni momento e ogni giorno dell’anno.
Si tratta tuttavia di uno specifico tipo di conoscenza, la cosiddetta “conoscenza tacita”, quella incorporata dai singoli individui e dalle organizzazioni. Differente è però il concetto di “gestione con la conoscenza”, dell’uso della conoscenza come risorsa su cui investire per il governo della città, il suo territorio, la sua economia, i suoi traguardi. Pensare al destino di una città che fonda il suo sviluppo sui saperi, sulle loro potenzialità, muta la prospettiva, coinvolge vari fattori relativi agli investimenti, all’ economia, alla produzione, alla qualità della vita delle persone. Usare la conoscenza per perseguire la prosperità economica, la tutela dell’ambiente, la salute, la felicità e la sicurezza dei suoi cittadini. La domanda da porsi è: a quanto ammonta l’investimento in conoscenza, in capitale umano nella nostra città per raggiungere e avanzare in questi obiettivi?
La conoscenza che non sia quella tacita, ma la conoscenza come risorsa diffusa da cui fare scaturire idee e progetti per la nostra città, sembra non fare parte delle prospettive del nostro futuro.
La stampa cittadina ha riportato la piattaforma, da qui al 2025, su cui sta lavorando la Camera di Commercio ferrarese e non vi ho trovato nessun accenno alla conoscenza come risorsa strategica per il futuro. Soprattutto manca di quella conoscenza che aiuti a immaginare un futuro che non sappia di passato.
Le imprese nostrane chiedono più aiuti finanziari, più servizi, più infrastrutture, più formazione, più politica degli eventi, più turismo. Una città che porti utili alle imprese, una città da vendere, una città da consumare che sa troppo di egoismi, di interessi di bottega. Non è nuovo il paradigma.
Creatività e invenzione, che oggi dovrebbero essere le molle dell’impresa per sfidare i mercati, non esistono nel documento della Camera di Commercio. Come non esistono i giovani su cui investire.
Nel settembre scorso il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha lanciato un bando da 45 milioni di euro per la realizzazione territoriale di laboratori per l’innovazione e il lavoro, come risposta alla disoccupazione e alla dispersione scolastica. Finanziamenti di 750 mila euro per laboratorio. Era necessario fare rete, mettere insieme l’Ente locale, gli istituti scolastici di secondo grado, gli istituti comprensivi, la Camera di Commercio, associazioni del lavoro e imprese, l’Università, i centri di formazione professionale, il Cpia (Centro Provinciale Istruzione Adulti), l’Its (Istruzione Tecnica Superiore); e se non tutti, almeno alcuni di questi. A Ferrara nessuno degli attori citati si è mosso, nessuno se ne è occupato. Si trattava di gestire con le conoscenze e le strutture di ogni soggetto coinvolto almeno un laboratorio aperto sul territorio, che avrebbe consentito agli studenti dei corsi di studi regolari di potenziare la loro preparazione, di sperimentare nuovi apprendimenti e di procedere alla realizzazione di idee o progetti di impresa. Per gli studenti fuori dai canali ordinari dell’apprendimento, avrebbe costituto l’occasione di reinserirsi nel normale ciclo di studi, recuperando quanto perduto, oppure di misurarsi nella realizzazione di nuove idee e progetti. Un’occasione per quel più di formazione che pure la Camera di Commercio locale rivendica. Un’occasione importante di usare la conoscenza come risorsa da gestire, che è andata perduta.
Forse la prima cosa che tutti dovremmo rivendicare per Ferrara è la costituzione di un tavolo, di un luogo in cui alleare cittadini, istituzioni culturali, scuole, università e imprese intorno al tema della conoscenza come risorsa con la quale gestire la crescita della città. Un tavolo attorno al quale sedersi per condividere prima di tutto una interpretazione comune sul corrente stato di sviluppo della città e del suo territorio. Come sono le attuali prestazioni, quali sono le più importanti sfide e opportunità che abbiamo di fronte, qual è il ruolo della conoscenza per guidare la prosperità della città, del territorio, dei suoi cittadini. Solo dopo aver risposto a questo tipo di domande è possibile condividere una visione che non sia di una sola parte e definire gli obiettivi. Poi questi obiettivi possono essere usati come guida delle attività dei principali attori economici e sociali. Idealmente ogni portatore di interesse dovrebbe implementare politiche che servono gli obiettivi comuni. Infine dovrebbe essere realizzato un sistema per misurare e monitorare lo sviluppo, per guidare le scelte e facilitare l’apprendimento su quelle politiche che sembrano produrre risultati o che necessitano di essere riviste.
Se emblematicamente il fallimento della Cassa di Risparmio ferrarese segna il tramonto di una stagione per la vita della città e del suo territorio, forse è il caso di dare segnali altrettanto emblematici della volontà degli attori del mondo delle imprese, del sociale e della conoscenza di voler muoversi verso orizzonti del tutto nuovi, anziché rischiare di rimanere invischiati in ragionamenti formulati ancora al passato.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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