Skip to main content

Io sono una scuola.
Mi chiamo “scuola di Cocomaro di Cona”.
Cocomaro e Cona non sono i nomi del mio papà e della mia mamma ma è il nome del paese dove abito.
Da alcuni anni mi chiamano anche “scuola Bruno Ciari”. Neanche lui è il mio papà ma il nome di un insegnante che ha sempre creduto nelle scuole come me.

Io sono una piccola scuola… uguale a tante altre scuole.
Però sono una scuola unica e diversa, come tutte le altre scuole.

Sono uguale perché dentro di me si fanno le stesse cose che si fanno nelle altre scuole e sono unica e diversa perché ogni scuola ha bambini diversi, insegnanti diversi, genitori diversi, bidelli diversi quindi i modi in cui si impara e si sta insieme sono diversi.

I miei genitori mi hanno voluto tanto bene. Loro desideravano che io diventassi una scuola dell’infanzia; io invece sognavo di diventare una scuola elementare (o primaria, come si dice adesso).

Un proverbio africano dice: “Se si sogna da soli, è solo un sogno. Se si sogna insieme, è la realtà che comincia“. Così, sognando insieme alla comunità del paese, sono cresciuta e sono riuscita a realizzare il mio sogno.

Sono cresciuta nel periodo in cui tutti i genitori pensavano ad una scuola a tempo pieno cioè una scuola che stesse aperta 8 ore al giorno, che proponesse  alternative educative rispetto alla scuola tradizionale, che rispettasse i tempi di apprendimento dei bambini, che curasse la loro crescita globale, il loro atteggiamento di ricerca, che potesse essere accogliente ed ospitale e che si occupasse dell’osservazione dell’ambiente, della comunicazione con diversi linguaggi, della socializzazione con i compagni e con gli adulti. Insomma una scuola che si preoccupasse di educare i bambini e le bambine ad avere un’intelligenza autonoma, critica e creativa.

La gazzetta del cocomero, il giornale dei bambini della scuola primaria “Bruno Ciari” di Cocomaro di Cona

Quando io ero piccola, sono stata accolta molto bene nel paese e tutti mi hanno aiutata a crescere. Hanno proposto che, a scuola, ci fosse la cucina; si sono inventati una sperimentazione per l’uso di fonti alternative al libro di testo su cui imparare a leggere e a studiare; tutti mi volevano invitare a casa loro; hanno realizzato un giornale dei bambini che si chiama “La Gazzetta del Cocomero (che quest’anno compie 30 anni); si sono riuniti in un’associazione che si chiama “I bambini del Cocomero”, hanno sistemato il cortile della scuola togliendo l’asfalto e mettendo l’erba e hanno fatto tante altre cose.

Tutte quelle persone mi hanno aiutato a capire che si può imparare meglio insieme, divertendosi, anche uscendo dalla scuola ma soprattutto che si può insegnare ed imparare ascoltando le persone.

I primi giorni di ogni anno scolastico, qualche bambino ha un po’ paura di me ma ciò succede perché io sono grande e i bambini sono piccoli e ancora non mi conoscono.

Del resto succede così anche agli adulti, anche loro hanno un po’ paura delle cose che non conoscono, anche se non lo dicono perché tutti abbiamo paura di qualcosa e perfino il buio, che di solito spaventa, ha un po’ paura della luce. Una volta che i bambini hanno imparato a conoscermi, la paura scappa via e lascia il posto alla voglia di venire da me tutti i giorni.

Dentro la scuola i bambini fanno e pensano tante cose, ne imparano e ne insegnano molte e si divertono insieme ai loro compagni e ai loro maestri.
Dentro e fuori dalla scuola si gioca insieme: anche con la terra, i rametti, le foglie e i sassi.
Vicino alla scuola, i bambini imparano a saltare i fòssi perché questo li aiuta ad affrontare i rischi, a sconfiggere le paure e a conoscersi meglio.

Dentro la scuola i bambini imparano a non saltare i fóssi perché le maestre e i maestri gli insegnano a vedere le cose anche da altri punti di vista e, ad esempio dopo un litigio, chiedono: “Cosa avresti fatto tu se fóssi stato nei panni del tuo compagno?”

Mi piace stare aperta fino a tardi la sera.
Mi piace sentir ridere i bambini e le bambine.
Mi piace stare con le finestre aperte sul mondo.
Mi piace quando vengono degli ospiti a trovarmi.
Mi piacciono le storie inventate, i disegni, i colori, l’erba.
Non mi piace quando rimango sola il sabato e la domenica.
Non mi piace quando mi lasciano aperta per le elezioni perché non ci sono i bambini a farmi compagnia.
Non mi piace l’estate perché ho paura che mi abbiano abbandonata (anche se negli ultimi anni mi sono divertita quando nel mio cortile sono venuti a fare delle feste: mi sono sentita più utile).

Per me, non ci sono scuole più brave o scuole meno brave: ci sono scuole che sanno ascoltare i bambini e scuole che vogliono essere ascoltate; ci sono scuole che vogliono insegnare ad imparare e scuole che vogliono imparare ad insegnare; ci sono scuole a cui piace cambiare e scuole che vogliono rimanere sempre uguali.

Io posso solo dire che non sarei la scuola che sono se non avessi conosciuto i bambini, i genitori, le maestre, i maestri, le bidelle, le cuoche, le educatrici e tutti gli ospiti che sono venuti a trovarci.

Nella mia esperienza ho incontrato tanti bambini tante bambine e ho capito che da tutti, ma proprio da tutti, c’è da aspettarsi qualcosa di bello, perché ognuno porta a scuola qualcosa di diverso e di importante: se stesso.

I bambini dicono che la scuola è un posto dove…

  • si impara con gli amici;
  • puoi imparare a studiare e farti dei nuovi amici;
  • si imparano le lettere e i numeri;
  • si impara mentre ci si diverte;
  • si impara a non aver paura;
  • si impara ad affrontare il futuro;
  • si possono fare nuove amicizie;
  • si fanno anche lezioni di vita;
  • si possono risolvere i propri problemi quando si è tristi;
  • si imparano cose nuove e si sta bene con gli amici;
  • ci si diverte e si gioca;
  • far sorridere gli altri;
  • non si deve aver paura di imparare;
  • ti insegnano molte cose bellissime;
  • è divertente stare con gli amici;
  • uno va a imparare ad essere grande;
  • si può essere felici.

Io penso che per fare una SCUOLA non basti la scuola.

Per fare una scuola ci vogliono i bambini e per fare i bambini ci vuole l’amore.
Per fare una scuola ci vogliono gli insegnanti e per fare gli insegnanti ci vuole la passione.
Per fare una scuola ci vuole un paese e per fare il paese ci vogliono tante idee, l’impegno e la partecipazione.
Per fare una scuola ci vogliono la passione, l’amore, tante idee, l’impegno e la partecipazione.

Per fare il futuro ci vuole la scuola.

tag:

Mauro Presini

È maestro elementare; dalla metà degli anni settanta si occupa di integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Dal 1992 coordina il giornalino dei bambini “La Gazzetta del Cocomero“. È impegnato nella difesa della scuola pubblica. Dal 2016 cura “Astrolabio”, il giornale del carcere di Ferrara.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it