Tra domenica 3 marzo e lunedì 4 non ho dormito per accompagnare la cerimonia di consegna dei Premi Oscar. Non è stato facile sopportare l’esibizione del lusso, la frivolezza del mondo di celluloide, l’idiozia del presentatore, le affermazioni banali dei commentatori italiani. La ragione che mi ha portata ad assistere a un evento così futile è stato il desiderio de vedere come il film Io sono ancora qui sarebbe stato accolto e giudicato. Quando iniziarono a circolare notizie sul lungometraggio, a richiamare la mia attenzione è stato il fatto che si ispira alla vita dell’avvocato Eunice Paiva. Io non l’ho conosciuta personalmente, ma il suo nome è indissolubilmente legato alla lotta degli indigeni brasiliani per la difesa dei loro diritti. Immediatamente, il coinvolgimento suo e mio nella stessa causa, ha suscitato il desiderio di assistere al film.

Negli anni Novanta, lessi il libro Ua:brari, di Marcelo Rubens Paiva. Mi piacque tanto che tradussi un brano in italiano e lo inserii nel libro di racconti Amazzonia portatile, pubblicato nel 2003. Però, solo nell’agosto del 2015, navigando in Internet, ho saputo che Marcelo è divenuto tetraplegico a venti anni di età dopo aver saltato da una pietra dentro un lago; che il padre fu sequestrato, torturato e assassinato da militari nel 1971, che è figlio dell’avvocato Eunice.

La prima di Io sono ancora qui è avvenuta durante il Festival di Venezia, il primo settembre del 2024; è stato applaudito per dieci minuti consecutivi dal pubblico, che ha anche acclamato l’interpretazione dell’attrice Fernanda Torres. Nel manifesto utilizzato a Venezia appare Marcelo Paiva, così ho saputo che è l’autore del libro che ha ispirato il film. Immediatamente, la notizia è divenuta una ragione in più per voler assistere al lungometraggio. Nel novembre del 2024, da Boa Vista ho viaggiato per Brasilia, avendo un’idea fissa e chiara in testa: la prima cosa che avrei fatto arrivando sarebbe stato andare al cinema.

Qualunque sia l’evento al quale partecipo, mi piace arrivare in anticipo. Aspettando che il cinema aprisse, ho trascorso il tempo scattando autoritratti davanti al manifesto di Io sono ancora qui, sperando che almeno uno risultasse decente. La prima volta che si assiste a un film, non è possibile catturare tutte le sue sfumature, i suoi messaggi subliminali.

Durante la proiezione, ciò che più ha richiamato la mia attenzione è stato che non appaiono militari, armi, torture. La crudele dittatura brasiliana, fra le più lunghe dell’America Latina, è denunciata attraverso l’angustia del gruppo familiare ritratto; gli orrori perpetrati all’epoca sono enunciati attraverso il silenzio, lo smarrimento esistenziale, la sofferenza, le difficoltà affrontate dai componenti di una famiglia che era molto unita, molto allegra, molto ospitale.

Dopo aver assistito al film ho iniziato a divulgarlo sistematicamente. Non mi rassegno al fatto che in Brasile non c’è mai stato processo e punizione delle persone che hanno commesso crimini durante la dittatura. La Legge dell’Amnistia, denominazione popolare data alla Legge nº 6.683, venne sanzionata dall’allora presidente João Batista Figueiredo il 28 agosto 1979, quando ancora era in vigore la dittatura. Tra i beneficiari dell’amnistia c’erano il sociologo Herbert José de Souza (Betinho), il giornalista Fernando Gabeira, gli intellettuali Darcy Ribeiro e Paulo Freire, i governatori Leonel Brizola e Miguel Arraes, l’ex consigliere comunale Antônio Losada. Questa stessa legge, però, ha concesso il perdono anche a tutti i coinvolti in “crimini politici o collegati”, includendo agenti della repressione che realizzarono torture, assassini e occultamento dei corpi dei prigionieri politici fino al 1979. La legge è ancora in vigore e ciò significa che la scappatoia dell’impunità resta aperta per chi cospira contro la democrazia. La redazione originale del Progetto di Legge nº 14 del 1979-CN è la seguente: “Art. 1º È concessa amnistia a tutti quelli che, nel periodo compreso tra il 02 settembre 1961 e il 15 agosto 1979, hanno commesso crimini politici o collegati con essi, crimini elettorali, a coloro che hanno avuto i propri diritti politici sospesi e ai servitori dell’Amministrazione Diretta e Indiretta, di fondazioni vincolate al potere pubblico, ai servitori dei Poderi Legislativo e Giudiziario, ai militari e ai dirigenti e rappresentanti sindacali, puniti in base agli Atti Istituzionali e Complementari  e altri diplomi giuridici”. La locuzione finale, che dice “e altri diplomi giuridici”, fu vietata su richiesta dell’allora presidente João Batista Figueiredo attraverso un messaggio presentato alla seduta congiunta del Congresso Nazionale del 22 agosto 1979.

L’impeachment di Dilma Rousseff, durante il suo secondo mandato come presidente della Repubblica Federativa del Brasile, è stato un colpo di Stato. Il processo fu giuridico, politico e soprattutto mediatico. Il Tribunale Regionale Federale della 1ª Regione ha ritenuto Dilma innocente dall’accusa che avrebbe praticato “pedalate fiscali”; accusa abbondantemente e falsamente utilizzata da deputati e senatori per cancellare il suo mandato durante il processo di impeachment del 2016. L’impeachment ha aperto la strada all’estrema destra che, nel 2018, ha eletto presidente Bostanaro, un essere ignobile del quale mi rifiuto persino di scrivere il nome. Dato che ‘bosta’ in portoghese significa merda, modificando il suo vero nome io lo chiamo Bostanaro. Questo energumeno nega che ci sia stata la dittatura in Brasile e i suoi eroi sono efferati dittatori latinoamericani; ha portato avanti la sua campagna elettorale esibendosi nell’osceno gesto di puntare la mano come se fosse un revolver; ha vomitato parolacce contro donne, omosessuali, negri, indigeni; nei ministeri ha sistemato esseri ignoranti, ottusi, retrogradi; come presidente della repubblica ha parlato a vanvera offendendo mogli di presidenti di altri Paesi e figli di personalità assassinate durante le dittature militari latinoamericane. I suoi discorsi di odio, naturalmente, hanno incentivato la violenza contro le minoranze sopra citate, specialmente contro gli indigeni che hanno preservata intatta la foresta amazzonica fino ai nostri giorni. Lui è capitano dell’Esercito, il suo vice era il generale Antônio Hamilton Martins Mourão, sette dei suoi ministri erano militari, due dei quali lavoravano direttamente con lui. Circa cento persone provenienti dalle Forze Armate hanno occupato poltrone nel secondo e terzo scalone di ministeri e organi federali.

Nel 2022 Bostanaro non è stato rieletto. Mentre scrivo, lo stanno giudicando per il tentativo di colpo di stato avvenuto l’8 gennaio del 2023; con lui vengono giudicati i suoi alleati e gli allucinati seguaci responsabili di atti terroristici e depredatori di beni pubblici. Sapete qual è la parola d’ordine con la quale questi mascalzoni cercano di sottrarsi alla giustizia? Amnistia.

Il film Io sono ancora qui ha innescato una potente riflessione sulla dittatura, tortura, occultamento di corpi, impunità dei responsabili. Il pericolo di nuovi colpi di stato continuerà ad essere reale se la verità non viene gridata, se la memoria non viene recuperata, se i colpevoli non sono puniti, se la popolazione non viene educata e informata. Divulgando il film, io ho voluto richiamare l’attenzione sull’impunità dei torturatori e assassini, sulla vergognosa legge che li protegge; ho voluto richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sui rischi che la democrazia corre anche ai nostri giorni; ho voluto fare la mia parte per contribuire alla sensibilizzazione e presa di coscienza della società.

L’intensa attività promozionale del film, instancabilmente portata avanti dagli attori principali e dal regista, ha contribuito a dare visibilità all’opera, che ha ottenuto premi e riconoscimenti nel mondo intero. Ma è stata la massiccia, appassionata divulgazione fatta dal pubblico che ha portato l’opera alle indicazioni del Premio Oscar: Fernanda Torres, già premiata con il Globo d’Oro, è stata indicata come Migliore Attrice, mentre il lungometraggio ha concorso come Miglior Film e Miglior Film Internazionale. Dubito proprio che il film sarebbe stato preso in considerazione se ciò fosse dipeso solo dai “gringo”; ho calcolato anche che i “cowbays” non avrebbero fatto portar via due Oscar. Quindi, ho tifato affinché a brillare non fosse solo un’attrice con la sua interpretazione, ma fosse il film nel suo insieme, con il suo contenuto, storia, messaggi; ciò anche perché la vera luce è quella emanata dalla resilienza e attivismo di Eunice Paiva, l’effettiva protagonista del film. Quando hanno annunciato che Io sono ancora qui ha vinto l’Oscar come Miglior Film Internazionale, mi sono sorpresa delle mie stesse reazioni, vedendomi saltare di allegria e sentendo il cuore accelerare per l’emozione.

Ho sempre pensato che arte e poesia sono più efficaci di scienza e politica; il film di Walter Salles ha ottenuto ciò che i politici di vari partiti non hanno saputo, non hanno voluto fare fino ad oggi: mettere in discussione l’impunità e l’indecenza della Legge dell’Amnistia attraverso un ampio dibattito popolare.

Rubens Beyrodt Paiva (Santos, 26-12-29/Rio de Janeiro, tra il 20 e il 22-01-71) era ingegnere. Nel 1962 fu eletto deputato federale per il PTB – Partido Trabalhista Brasileiro.  Dopo il golpe de 1964, il mandato venne cancellato dall’Atto Istituzionale Numero Uno e lui si esiliò. Tornato in Brasile, continuò ad esercitare l’ingegneria, ma mantenne contatti con esiliati. Inutilmente si oppose alla dittatura. Nel gennaio del 1971 fu sequestrato. Sequestrarono anche la figlia Eliana, che restò prigioniera per ventiquattro ore, e la moglie Eunice, che venne sottoposta a interrogatori durante dodici giorni. Rubens fu torturato e assassinato nei sotterranei del DOI-CODI – Distaccamento di Operazioni di Informazioni-Centro di Operazioni della Difesa Interna; il suo corpo fu sepolto e dissotterrato diverse volte dagli agenti della repressione e infine venne gettato in mare, al largo di Rio de Janeiro, due anni dopo l’assassinio.

Rubens era sposato con Eunice Facciolla, figlia di immigrati italiani che alla fine del 1800 lasciarono la città di Polignano a Mare, baciata dal mar Adriatico, per stabilirsi in Brasile. Con la scomparsa del marito e con cinque figli di cui prendersi cura, Eunice ebbe bisogno di reinventarsi. Da Rio de Janeiro la famiglia ritornò a San Paolo. Nel 1973, Eunice Paiva entrò nell’Università Mackenzie e iniziò il corso di Diritto, formandosi a quarantasei anni. Instancabile ha cercato  informazioni sulla fine del marito e per il riconoscimento della responsabilità dello Stato nella sua scomparsa. Ha coordinato campagne per l’apertura di archivi sulle vittime del regime militare ed è divenuta simbolo della lotta contro la dittatura. Con la sua militanza e critica al regime dittatoriale ha rischiato la propria vita, come dimostrano i documenti del SNI – Servizio Nazionale di Intelligenza rivelati nel 2013; documenti che mostrano, ad esempio, che sia lei che i suoi figli sono stati spiati da agenti militari dal 1971 al 1984. La forza di pressione canalizzata da Eunice Paiva, è culminata con la promulgazione della Legge n° 9.140/95, che riconosce come morte le persone scomparse in ragione della partecipazione ad attività politiche durante la dittatura. Eunice è stata l’unica parente di scomparso invitata ad assistere alla solenne occasione durante la quale l’allora presidente Fernando Henrique Cardoso ha firmato la legge. Dopo venticinque anni di lotta per verità, memoria e giustizia, nel febbraio del 1996 Eunice ha ottenuto il certificato di morte del marito Rubens Paiva.

Nel film non è stata contemplata l’azione dell’avvocato Eunice a favore delle etnie brasiliane, e questa è una ragione in più che mi ha portata a scrivere il presente testo. Durante la dittatura, il governo militare ha perseguitato gli indigeni, ne ha espulsi a migliaia dalle loro terre, ne ha deportato a centinaia nei campi di lavoro forzato e nelle prigioni. In mezzo all’angosciante dolore della perdita del marito, Eunice Paiva ha studiato Diritto specializzandosi nella difesa giuridica dei popoli indigeni.  Mentre cercava risposte per la scomparsa dello sposo, ha collaborato intensamente con la lotta di leader indigeni, firmando pareri giuridici, esigendo risarcimenti e demarcazioni di terre, pubblicando articoli e libri che hanno contribuito alle discussioni inerenti il diritto dei popoli indigeni.

Eunice ha guadagnato sempre più notorietà grazie alla sua serietà e impegno.  Si è dedicata alla causa indigena agendo contro la violenza e l’espropriazione indebita delle terre. Nell’ottobre del 1983, insieme all’antropologa Manuela Carneiro da Cunha, ha firmato l’articolo “Difendete i pataxós”, che venne pubblicato nella sezione “Tendenze e Dibattiti” del giornale Folha; l’articolo è divenuto una pietra miliare della lotta indigena ed è servito da modello per altri popoli nativi, tra cui africani, americani e esquimesi.  Indicata dall’Associazione Brasiliana di Antropologia, Eunice ha svolto il ruolo di perito nell’azione giudiziaria della FUNAI nella demarcazione della terra Indigena Krikati. Commentando una foto del 1985, in questi giorni un leader Krikati ha scritto: “Siamo riconoscenti per aver avuto lei come avvocato nella difesa del nostro territorio”. Nel 1986, quando Eunice arrivò al caso Zoró, la dittatura era finita da un anno, ma la deforestazione continuava a tutto vapore. Lei elaborò un parere giuridico analizzando gli argomenti favorevoli al riconoscimento dell’area Zoró come terra indigena. Chiudendo il documento, fu categorica: “Nulla impedisce la demarcazione dell’Area Indigena Zoró. I diritti degli indios al possesso delle loro terre sono diritti inalienabili e che non possono essere negoziati, non esistendo nessuna impugnazione valida capace di annullare, restringere, estinguere o modificare i diritti della comunità Zoró sulla terra che è il suo ‘habitat’ naturale”. Il parere dell’avvocato Eunice contribuì a evitare l’estinzione di questo popolo. Nel 1987, insieme ad altri soci, fondò lo IAMA – Istituto di Antropologia e Ambiente, organizzazione non governativa attiva fino al 2001 nella difesa e autonomia dei popoli indigeni. Nel 1988, fu consulente dell’Assemblea Nazionale Costituente, che ha scritto la Costituzione Federale dove articoli importanti assicurano diritti territoriali e culturali ai popoli indigeni.

Acque di marzo

Prima di chiudere questo testo, il Supremo Tribunale Federale ha dichiarato l’ex presidente Bostanaro e un gruppo di militari di alto rango colpevoli del tentato colpo di Stato avvenuto l’8 gennaio del 2023.  Per la prima volta in Brasile, militari sono giudicati da un tribunale civile.

Eunice Paiva, l’avvocato che ha lottato affinché il Brasile non perdesse la memoria, è morta a San Paolo il 13 dicembre 2018, a 89 anni, dopo quindici anni vissuti con l’Alzheimer. Oggi, 30 marzo, in varie città, il popolo ha manifestato in strada per esigere che non sia concessa l’amnistia ai golpisti e che siano debitamente puniti. La storia dell’avvocato Eunice Paiva è stata onorata, la memoria storica del Brasile riscattata; ciò che non può cessare è l’impegno di ognuno di noi nel mantenimento  della democrazia e nella sensibilizzazione della società.


Bibliografia

Eunice Paiva: uma Antígona brasileira na defesa dos direitos humanos para além da finda-linha, Mariana Rodrigues Festucci Ferreira, SciELO AnalyticsAnalytica: Revista de Psicanálise, versão On-line ISSN 2316-5197, Analytica vol.7 no.12 São João del Rei jan./jun. 2018.

http://pepsic.bvsalud.org/scielo.php?script=sci_arttext&pid=S2316-51972018000100003

Nome e sobrenome de quem destrói a Amazônia, Loretta Emiri, janeiro de 2022.

https://drive.google.com/file/d/10xQZlgO6d3lLdH-UdpvEC3_MSkGwLGBK/view

Cover: immagine da Cineforum