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Nicolai Lilin non è sicuramente un personaggio che può passare inosservato, come non passano inosservati i suoi lavori letterari che da ‘Educazione siberiana’, sono approdati a ‘Spy Story Love Story’, passando attraverso ‘Caduta libera’, ‘Il respiro del buio’, ‘Trilogia siberiana’, ‘Storie sulla pelle’ e ‘Il serpente di Dio’. Una collezione di tutto rispetto, data l’età dell’autore. Lilin si dichiara subito disponibile e collaborativo per un’intervista che considera più una chiacchierata amichevole, libera da pressioni o obblighi che ricordano semmai attacchi e illazioni subìti da qualche stampa in passato. La sua voce è profonda e calma, senza esitazioni; il suo interloquire è attento, composto, educato, rilassato e dà subito l’idea del coinvolgimento in ciò che andiamo a toccare anche se rimane sospesa una certa riservatezza soprattutto nelle questioni più intime.

Buongiorno Nicolai, la Sua grande famiglia ha origini siberiane, con mescolanze russe, polacche, ebree e tedesche. Il grande pubblico italiano ha conosciuto la Siberia come la terra del confino e dei gulag, pochissimi la conoscono come la terra degli sciamani. Cos’è oggi quel Paese?
E’ un Paese molto grande e c’è tutto. E’ conosciuto purtroppo in Occidente attraverso ‘I Racconti di Kolyma’ di Verlam Tichonovič Šalamov e ‘Arcipelago Gulag’ di Aleksandr Solženicyn, però è una terra molto ricca di tradizioni dure, un grande territorio dove si incontrano Oriente e Occidente e quindi questo ci dà una capacità di prospettiva molto ampia. In Siberia c’è tutto, soprattutto una natura che domina l’uomo. A tutto ciò sono legate le tradizioni sciamaniche e anche la visione della vita dei siberiani stessi.

Lei è un po’ un cittadino del mondo, può dire quali sono i momenti più significativi per Lei, nel suo passaggio dalla Transnistria dove è nato, fino ad arrivare in Italia? Quali le tappe fondamentali che ritiene pietre miliari nella Sua vita?
Io purtroppo ho avuto drammatiche esperienze di vita che sono state però molto importanti perché mi hanno formato come persona, mi hanno insegnato molte cose su come funziona la società umana e mi hanno dato anche quella che oggi possiamo definire la mia capacità narrativa, la capacità di raccontare le cose. La prima guerra che ho vissuto a 12 anni, è stata la guerra tra Transnistria e Moldavia. Questa amara esperienza per me è stata molto importante perché è il primo conflitto che ho vissuto e è stata la prima volta che ho compreso dove possono arrivare gli uomini, dove finisce l’intelligenza umana e cominciano l’ignoranza e la cattiveria. Altro conflitto che ho vissuto e conosciuto è stato quello ceceno, ho lavorato in Medio Oriente, ho visto zone di guerra in Iraq e Afghanistan. La guerra mi ha insegnato molto e dalla guerra ho tratto le lezioni di vita più significative. E poi la mia formazione deve molto anche all’aver vissuto con i miei vecchi e l’aver conosciuto mio nonno e gli anziani che a quel tempo abitavano nel mio quartiere. Avevano ancora la capacità di trasmettere moltissimo e questo per me è stato determinante.

Quali sono, secondo Lei, le opportunità e gli aspetti positivi che ha rilevato del nostro Paese al Suo arrivo e, viceversa, le difficoltà e gli atteggiamenti che possono aver creato qualche disagio?
Disagio poco, l’Italia è comunque un Paese bello, ospitale, che ha le sue particolarità culturali che una persona deve comprendere. Occorre integrarsi in qualche maniera, all’interno di questo mondo variegato. L’Italia oggi è un Paese multiculturale e trovo che la cosa bella sia l’apertura delle persone e la semplicità con cui la gente ti viene incontro. Penso che la mia esperienza letteraria ne sia un esempio in questo senso, perché la curiosità degli italiani nei confronti di un russo che racconta storie legate a ciò che è accaduto in Unione Sovietica e alle tradizioni ancestrali che stanno nelle radici di quel Paese è stato possibile solo perché le persone sono aperte alla curiosità nei confronti di questi temi. La curiosità è un atteggiamento molto positivo perché permette agli individui di scoprire il mondo, di viaggiare anche semplicemente con la fantasia, con la mente.

In Educazione siberiana, il libro che L’ha fatta conoscere e da cui Gabriele Salvatores ha tratto il film omonimo, Lei parla di un mondo in cui la violenza reca in sé un codice d’onore, un codice morale che in qualche modo la giustifica o comunque la fa comprendere, perché rivolta contro i poteri forti e corrotti. Pensa che nel mondo di oggi permanga ancora questo profondo senso dell’onore legato al forte orgoglio di appartenenza e alla tradizione?
Nel nostro mondo moderno, quello che stiamo vivendo è il fenomeno della globalizzazione e quindi spesso le antiche tradizioni, gli antichi modi di vivere il mondo e di misurarsi con esso come era per i nostri antenati stanno sbiadendo o scomparendo. Questo è un male e la colpa sta nella forza che la globalizzazione esercita sulle nostre vite, sta soprattutto nel consumismo.

Nella Sua vita esistono figure solide e importanti di cui Lei parla con grande rispetto e considerazione, tra cui il nonno Boris. Che influenza ha avuto su di Lei questa persona, cosa ha significato e continua a significare?
Lui per me era tutto, la figura maschile di riferimento perché mio padre non ha partecipato alla mia infanzia e alla mia educazione. L’unico che ho conosciuto era mio nonno. In questo caso si può anche affermare che era il mio eroe.

Nel Suo ultimo lavoro, Spy story love story, si avverte una nuova sensibilità che La porta a narrare di sentimenti e relazioni che Lei sa descrivere con l’abituale schiettezza e forza, senza rinunciare all’emotività e al sentimento più delicato. A cosa deve questa Sua nuova esperienza che La porta ad esplorare un campo del tutto inatteso per i lettori?
Nel mio ultimo libro ho voluto raccontare gli anni Novanta in Russia, il crollo dell’Unione Sovietica e quello che è successo dopo di esso. Ho voluto raccontare questa realtà attraverso le storie umane, storie semplici; ho voluto esplorare storie diverse, entrare nelle dinamiche umane più profonde per poterle rappresentare meglio. Ci sono anche gli aspetti sentimentali che forse i miei lettori non si attendevano, ma hanno reagito bene, stanno accogliendo molto bene anche questo libro.

Lei non ha mai rinunciato alla Sua attività di tatuatore che esercita con altrettanta passione. Cosa rappresentano i tatuaggi, in particolare i tatuaggi siberiani e perché è così importante per Lei continuare a dedicarsi alla loro creazione?
Il tatuaggio siberiano è una lingua, una lingua che trasmette informazioni come la narrazione letteraria e io continuo a farlo soprattutto nel rispetto dei miei anziani, dei miei vecchi che mi hanno insegnato questa pratica, ma in prima istanza perché per me il tatuaggio è un modo di comunicare con il mondo esterno. Sono abituato a farlo da sempre.

Infine, qual è il Suo rapporto con i lettori? Vorrebbe lasciare loro, in quest’intervista, una riflessione, un messaggio, un pensiero?
Per me i lettori sono amici. Quando scrivo, immagino di comunicare con un amico e quindi cerco di raccontare storie a cari amici. Il mio pensiero rivolto ai lettori è molto semplice, lo ripeto ogni giorno ai miei cari, la mia compagna, le mie figlie: Vivete, bisogna vivere e gioire perché ogni momento che noi viviamo dev’essere vissuto con gioia. Già il fatto di essere vivi, essere in questo mondo, avere la possibilità di vivere è un buon motivo per provare gioia.

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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