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1 Dicembre 2016

Il tramonto di un sogno

Tempo di lettura: 4 minuti


Weimar è una città della Germania Nord-Orientale di 65.479 anime, nella regione della Turingia, lontana dagli affollati flussi turistici che portano inevitabilmente a Berlino, Dresda e più su, Amburgo e Lubecca. Anzi, nelle mappe si fa perfino fatica a trovarla e per quanto la si cerchi, il più delle volte si rimane delusi. Anche se un tempo fu dimora di Bach, Goethe, Schiller, Liszt, Wagner, Nietzsche e in Weimar nacque la famosa scuola di avanguardia di architettura, arte e design, il Bauhaus di Walter Gropius; anche se oggi è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità Unesco.
Ma ci sarebbe anche un altro buon motivo per segnalare con più evidenza la città sulla cartografia, un evento particolare che ha unito per sempre il suo nome ad una delle più complete, equilibrate, democratiche costituzioni dell’epoca moderna. Una Costituzione che anticipò con un grande margine d’anticipo i nostri tempi, precorrendo bisogni sociali, esigenze istituzionali, richieste culturali con tempestività, intuizione e contributi prestigiosi come quelli di Hugo Preuβ, Carl Schmitt e Max Weber. In essa, la Repubblica edificò un welfare dettagliato che rimane punto di riferimento delle democrazie attuali, anche se l’epilogo dimostra delle falle nell’impianto istituzionale che, in concomitanza con altre variabili storiche e sociali, posero termine a questo notevole tentativo. Radicali riforme sociali, interventi economici, progetti per la collettività cambiarono l’ottica sui rapporti tra cittadini e istituzioni, tenendo conto realmente della metamorfosi culturale in atto.

Era il 1919, l’alba amara di una disastrosa guerra che aveva messo in ginocchio la Germania, quando il Congresso Nazionale elaborò ed approvò la nuova Costituzione, riunito al Deutsches Nationaltheater, lontano dai clamori, gli scioperi, i tumulti e le manifestazioni di piazza a Berlino. Il Paese chiedeva con urgenza una Carta costituzionale per poter essere governato e guidato nella fase di passaggio da monarchia a democrazia parlamentare, in un contesto di grande confusione e disorientamento, mentre l’intera nazione sprofondava nel caos, tra molteplici tentativi rivoluzionari di destra e di sinistra per la conduzione dello Stato. L’11 agosto 1919 la Costituzione divenne legge che prevedeva un panorama rappresentativo completo: Un Reichstag (Parlamento) eletto a suffragio universale con sistema proporzionale; un Presidente del Reich eletto con plebiscito direttamente dal popolo ogni 7 anni che godeva di ampi poteri e attribuzioni, come scioglimento e revoca nei confronti del Parlamento e del Governo e in sostanza, il vero “custode della Costituzione”; un Reichsrat (Senato) formato dai rappresentanti dei Länder (Regioni) che vedevano anche rafforzate molte competenze, prima fra tutte quella legislativa in materie ed ambiti previsti.

Il Cancelliere (Bundeskanzler), Primo Ministro, godeva di un terreno di azione, controllo e decisione nelle direttive e indirizzi della politica. Un grado di responsabilità molto vicino a quello del presidente e questo per garantire una distribuzione di potere che potesse rafforzare l’ equilibrio. Con questo modello semipresidenziale, è inevitabile concludere che le coalizioni parlamentari instabili (primo partito l’SPD, Sozialistische Partei Deutschlands) esercitarono gravi ripercussioni sulla formazione dei governi con ricaduta negativa su tutto l’assetto statale.
La costituzione di Weimar, avrebbe dovuto rappresentare un grande tentativo di tessitura della nuova carta fondamentale della Germania postbellica, in cui trama ed ordito tra istituzioni e loro competenze apparivano e dovevano risultare una superba realtà di equilibri e reciproche induzioni. Un unico, affascinante e notevole esperimento, un laboratorio di idee e decisioni non sempre perfette e coerenti ma sicuramente pionieristiche.

Nella realtà storica dei fatti però, la repubblica di Weimar (1919-1933) incontrò difficoltà e venne travolta proprio dalle contraddizioni e dalle zone d’ombra che finirono con il creare quel baratro in cui precipitò la democrazia, per lasciare il posto alla dittatura nazista. Il sistema elettorale proporzionale e le coalizioni mutevoli condussero alla frammentazione del parlamento e alla formazione di governi ballerini, decisionalmente inefficaci, minando l’equilibrio fra i poteri e tutte quelle garanzie che la Costituzione proclamava. Su quella base traballante non fu possibile dare vita a formazioni governative durevoli e sviluppare strategie politiche consistenti. Nell’arco dell’esistenza della Repubblica, dal 1919 al 1933, si ebbero ben 20 cambiamenti di governo; la durata più breve, 48 giorni, toccò al governo Stresemann nel 1923 e quella più longeva, appartiene al governo Müller, 636 giorni, nel 1928.
In un clima di perenne crisi economica aggravata dall’influenza della grande depressione americana del 1929, sei milioni di disoccupati, salari e sussidi di disoccupazione tagliati, enormi debiti di guerra da onorare puntualmente, rapporti tesi con l’esterno e conflitti interni alla nazione, la china era inevitabile. La crisi spezzò i reni dello Stato, senza autorità, che manifestò il suo tallone d’Achille proprio in quella magnifica Costituzione che avrebbe dovuto accompagnare il popolo tedesco nella nuova dimensione.

Nel 1930, l’inaspettata vittoria del partito nazionalsocialista di Hitler è da interpretare come lo stato d’animo popolare, la protesta e il dissenso contro la situazione esistente. La popolarità del partito crebbe in modo esponenziale negli anni a seguire e il 30 gennaio 1933, il Presidente von Hindemburg nominò cancelliere Adolf Hitler, il quale, avvalendosi subito del famigerato Art. 48 della Costituzione, emanò decreti d’urgenza per censurare stampa, libertà di opinione e manifestazione di pensiero.
E’ l’inizio del Nazismo; il resto ci è tristemente noto. Doloroso rammentare che a soli 80 chilometri da Weimar si trova quello che rimane del lager di Buchenwald, il campo di concentramento in cui vennero uccise più di 54.000 persone tra il 1937 e il 1943 e in cui morì Mafalda di Savoia.

La fine della democrazia tedesca, con l’avvento del nazionalsocialismo, fa pensare ad una frase di Immanuel Kant: “Die Demokratie ist kein Naturzustand unter den Menschen – sie muβ also gestiftet werden, Tag um Tag.” ( La democrazia non è una condizione naturale tra gli uomini – essa deve essere dunque curata nelle fondamenta giorno per giorno.)

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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