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Da Ufficio Stampa Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna

L’Ordine Psicologi ER contro omofobia e transfobia, in occasione della Giornata Internazionale

Come ricordava il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della scorsa Giornata Internazionale contro l’omofobia e la transfobia, “questa giornata offre l’occasione di riflettere sulla centralità della dignità umana e sul diritto di ogni persona di percorrere la vita senza subire discriminazioni”. Richiamando una famosa frase di un altro presidente, J. F. Kennedy, si potrebbe anche dire “non chiederti che cosa puoi fare per definire la normalità, chiediti che cosa puoi fare per fermare l’omofobia”. L’omosessualità è da considerarsi uno dei tanti aspetti della sessualità umana, così come l’eterosessualità che, pur essendo più diffusa, non è la “norma”. Anche nel mondo animale l’omosessualità è sempre esistita proprio perché si tratta di una delle possibili varianti dell’orientamento sessuale. Da quando è stata derubricata dai manuali di psicopatologia, la ricerca in ambito psicologico e sociale ha iniziato a spostarsi sull’altro fronte, quello dell’omofobia: non ci si chiede più perché una persona è omosessuale, ma perché provi ostilità, paura, disgusto verso l’omosessualità.
Ci sono essenzialmente due dimensioni nell’omofobia, una psicologica e un’altra sociale. Quando il termine “omofobia” è stato coniato nel 1972 dallo psicologo americano Weinberg l’attenzione era più concentrata sugli aspetti psicologici, data appunto la natura di “fobia”. In breve è stato chiaro come, alla stregua della xenofobia, l’omofobia è fortemente determinata da fattori sociali, al pari del razzismo e dell’antisemitismo.
L’omofobo, infatti, come il razzista, non ritiene di avere un problema: i suoi pregiudizi si inseriscono in un sistema codificato di credenze diffuso nell’ambito in cui si muove e interagisce.
La descrizione più corretta dell’omofobia, dunque, è quella di fenomeno sociale che può essere individuato all’interno delle ideologie culturali e nelle relazioni inter-gruppo, dove i sentimenti omofobi, gli atti denigratori e i pensieri di disprezzo soggettivi sono indotti da pregiudizi sociali oltre che da fattori personali. Il timore di essere identificato o etichettato come omosessuale può essere un ulteriore fattore scatenante degli atteggiamenti omofobici. È infatti possibile che l’omofobo, esprimendo giudizi o manifestando atteggiamenti antiomosessuali, non solo esterni la propria opinione, ma contemporaneamente segnali al mondo circostante la sua distanza dalla categoria in questione. Vuole così ribadire l’identità eterosessuale che gli è stata assegnata fin dalla nascita, approvata dalla maggioranza della società.
L’omofobia, nella sua dimensione psicologica individuale, si riferisce alle rappresentazioni interne degli stereotipi riferiti alla identità sessuale, dei comportamenti non eterosessuali e dei pregiudizi riferiti alle credenze sulle persone omosessuali. Quando genera malessere può essere un segno di debolezza e fragilità ed è necessario affrontarla: tramite un lavoro profondo su se stessi può infatti essere modificata. L’omofobo, sia maschio che femmina, per recuperare benessere dovrebbe ricercare le motivazioni profonde che lo condizionano negativamente, nei processi di pensiero e di azione, verso le diverse possibili relazioni interpersonali. Se in difficoltà ad affrontare in modo autonomo tale stato di disagio o sofferenza andrebbe accompagnato a farlo con il supporto di uno psicologo, con la rassicurazione che la sua identità non può esserne compromessa.
In questo senso allargato, che comprende sia i processi psicologici individuali che gli elementi sociali e culturali, si potrebbe anche parlare di omonegatività per descrivere il fenomeno discriminatorio. Decenni di studi hanno dimostrato che non è l’omosessualità, ma l’omonegatività, che deve essere curata in quanto malattia socio-culturale antica e radicata: può essere combattuta e nel tempo debellata con l’integrazione, l’informazione, il rispetto e l’educazione sociale al valore delle diversità.

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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