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da: Interris info@interris.it (Giacomo Galeazzi, 06.11.2020)

Intervista di Interris.it ad Emanuela Cutelli, responsabile Comunicazione per l’Italia del World Food Programme (Wfp, premio Nobel per la pace 2020)

“I dati della Banca Mondiale indicano che le conseguenze della pandemia potrebbero spingere fino a 100 milioni di persone nella povertà estrema. Ciò in un contesto in cui l’economia globale è in fase di forte contrazione. Si prevede la peggiore recessione dai tempi della Seconda guerra mondiale. Con un collasso del reddito per capita come non si vedeva dal 1870. Segnato da una contrazione del 5,2 per cento nel Pil globale nel 2020″, afferma a Interris.it Emanuela Cutelli, responsabile Comunicazione per l’Italia del World food programme (Wfp, premio Nobel per la pace 2020).Wfp

Allarme Wfp

A causa della pandemia, si rischia un aumento dell’80 per cento del numero di persone che soffrono gravemente la fame. Si tratta di fino a 270 milioni di persone entro la fine di questo anno, in 79 tra i paesi in cui il World Food Programme (Wfp) opera.

Come l’emergenza Covid ha aggravato la piaga planetaria della malnutrizione?

“La pandemia di Covid-19 si inserisce in un momento in cui i numeri globali della fame e della malnutrizione erano già drammatici e in ascesa. Il virus ha esacerbato le difficoltà. E sta agendo come un moltiplicatore di criticità. Perché aumenta in maniera esponenziale la vulnerabilità delle comunità più povere e fragili del mondo. E aggrava le esistenti minacce alla sicurezza alimentare. Con un impatto di lungo termine su centinaia di milioni di bambini e adulti”.

Con quali conseguenze?

“La pandemia ha acceso i riflettori sulle debolezze nei sistemi alimentari. Dal campo alla tavola. Compromettendo la capacità di comunità già vulnerabili a trovare sistemi di adattamento in tempi di crisi. In numerose parti del mondo sta anche mettendo a dura prova la stabilità economica e politica. Con tensioni sociali in crescita, soprattutto, ma non solo, in situazioni di lavoro precario e a giornata. I primi ad essere colpiti

E l’impatto sulla disoccupazione?

“La disoccupazione cresce. Mentre diminuiscono le rimesse globali. In un calo stimato fino al 20 per cento. Un problema serio in paesi come Haiti, per esempio. Dove le rimesse contano per il 37 per cento del Pil. La fame si è cominciata a sentire anche in comunità precedentemente sicure dal punto di vista alimentare. Soprattutto nei contesti urbani. Bisogna evitare a tutti i costi che la pandemia sanitaria diventi una pandemia della fame”.

 

In un mondo che ha sempre più fame, come si sviluppa nel pianeta l’impegno del Wfp?

“Il World Food Programme (Wfp) è l’agenzia delle Nazioni Unite. Ha sede a Roma. Si occupa di assistenza alimentare. E’ la più grande organizzazione umanitaria al mondo. Finanziata su base volontaria, il Wfp conta circa 20.000 operatori umanitari. Di cui circa il 90 per cento lavora sul campo. Portando assistenza alimentare salvavita in situazioni di emergenza. E migliorando le condizioni di vita e i mezzi di sussistenza in contesti di sviluppo”.

 

Dal punto di vista istituzionale, come svolgete il vostro lavoro di supporto ai bisognosi?

“Lavoriamo a stretto contatto con governi, organizzazioni non governative, settore privato. E, di fatto, con chiunque possa aiutarci a consegnare cibo, contanti e voucher a circa 100 milioni di persone. Che soffrono la fame in 88 paesi nel mondo. Molte di queste persone vulnerabili vivono in zone di conflitto. O in aree vulnerabili ad alluvioni, siccità, cicloni o altri shock climatici. Quest’anno, inoltre, milioni di persone sono state spinte nella crisi a causa della pandemia di Covid 19”.

Con quali strumenti?

“Ogni giorno, ci sono 5.600 camion, 30 navi e circa 100 aerei del Wfp in movimento per fornire cibo e altri tipi di assistenza a chi ne ha più bisogno. Ogni anno, distribuiamo circa 15 miliardi di razioni alimentari. A un costo stimato di 61 centesimi di dollaro a razione. E’ grazie a questi numeri che si deve la reputazione di eccellenza del Wfp nelle risposte alle emergenze. Nella sua capacità di ottenererisultati rapidi e su larga scala nei contesti più difficili”.

 

Dove operate in prevalenza?

“Dalla Siria alla Repubblica Democratica del Congo, dallo Yemen alla Nigeria. Il Wfp è in prima linea nel portare asssistenza e speranza a comunità che soffrono le conseguenze di conflitti. Due terzi dei nostri interventi, infatti, si svolgono proprio in paesi colpiti da guerre e conflitti. Dove il rischio per le popolazioni di essere denutrite è tripla rispetto ai paesi in pace”.

Foto © AcF

Quali sono oggi le priorità nella vostra lotta all’indigenza?

“In tutto il mondo, in risposta alla pandemia di Covid, le squadre in prima linea del Wfp lavorano giorno e notte. Insieme ai nostri partner. Per fare arrivare l’aiuto dove è più necessario. Qualche mese fa abbiamo lanciato la più imponente risposta umanitaria della nostra storia. Con piani di potenziamento in 83 operazioni e questo per raggiungere 138 milioni di persone nel 2020”.

E per fronteggiare la crisi Covid?

“La pandemia di Covid-19 aumenterà il numero di persone in stato di bisogno. E i nostri sforzi aumenteranno di conseguenza. A patto di riuscire a ricevere i finanziamenti necessari dai donatori. Crescono i bisogni nel mondo e aumenta di conseguenza la richiesta di contributi. Al momento, abbiamo bisogno di 5,1 miliardi di dollari. Per poter fare fronte alle conseguenze della pandemia di Covid-19 dal punto di vista dell’assistenza alimentare”.

“Allo stesso tempo, non bisogna dimenticare gli sforzi per costruire la resilienza delle comunità a futuri shock. Lavorando per promuovere lo sviluppo sostenibile e un cambiamento di lungo termine. Attraverso partnership con i governi nazionali. Tra i nostri obiettivi, infatti, c’è anche quello di prevenire emergenze future. Non solo di rispondervi”.

In che modo?

Si tratta di un approccio che aiuta non solo le comunità ma fa anche risparmiare risorse. Per ogni dollaro investito nella gestione dei rischi climatici, infatti, se ne risparmiano tre nella risposta umanitaria di emergenza. Siamo a fianco dei governi nei programmi di protezione sociale nazionali. Utili ad evitare che le persone cadano nella morsa della fame e dell’indigenza”.

Può farci un esempio?

In Kenia, ad esempio, il Wfp ha iniziato un programma di assistenza. Attraverso trasferimenti di denaro per tre mesi per quasi 280.000 persone che vivono in insediamenti informali a Nairobi. A complemento degli aiuti governativi in risposta alla pandemia di Covid-19. Un programma importante di protezione sociale, dal forte impatto sulle famiglie e le comunità intere, è per esempio quello dell’alimentazione scolastica”

A cosa si riferisce?

Il Wfp ha fornito nel 2019 pasti e snack ad oltre 17 milioni di bambine e bambini a scuola.E ha aiutato i governi nazionali a raggiungere ulteriori 39 milioni di bambini, per i quali il pasto a scuola è, spesso, l’unico della giornata”.Dove si concentrano maggiormente le necessità di intervento umanitario del Wfp, premiato quest’anno con il Nobel per la pace?

“E’ stato un onore ricevere il Premio Nobel per la Pace 2020. Si tratta di un riconoscimento al lavoro degli operatori umanitari del Wfp. E di tutti quelli che collaborano con noi nel volere mettere fine alla piaga della fame e della malnutrizione nel mondo. Il cibo deve essere uno strumento di pace, non un’arma di guerra”.Cioè?

“La motivazione del Premio Nobel al Wfp lo sottolinea chiaramente. ‘Per i suoi sforzi nel combattere la fame. Per il suo contributo nel migliorare le condizioni per la pace nelle aree colpite da conflitti. E per la sua azione nel guidare gli sforzi per prevenire l’uso della fame come arma di guerra e conflitto’. E’ un riconoscimento che rende però difficile brindare”.Perché?

“Perché significa che ancora troppe persone sono vittime di guerre. E della fame che inevitabilmente e tragicamente ne consegue. Diventa quindi sempre più necessario trovare soluzioni politiche. Che mettano fine ai conflitti. E permettano alle famiglie di ritrovarsi. Di ricostruire le proprie vite. Di ripristinare i propri mezzi di sostentamento”.In quali paesi in particolare?

“Yemen, Sud Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Sahel centrale, Siria, Afghanistan. Sono alcuni tra i paesi che maggiormente hanno bisogno di pace. La lista è però lunga. Quasi il 60 per cento dei 690 milioni di persone che nel mondo sono affamate, infatti, vive in zone colpite da conflitti. L’assistenza del Wfp salva le vite nelle emergenze. Alle persone le cui vite sono state sconvolte dalla guerra”.Chi sono?

“Persone che vivono sotto assedio. O che sono state costrette ad abbandonare le proprie case. E ciò rappresenta un primo passo verso la pace. Perché l’equazione è semplice. Dove ci sono conflitti c’è fame e dove c’è fame, spesso ci sono conflitti. E’ un circolo vizioso”.Ossia?

“Guerre e conflitti possono causare insicurezza alimentare e fame. Allo stesso tempo, la fame e l’insicurezza alimentare possono essere lo spunto per dare il via a proteste. Che poi possono tramutarsi in violenze. E innescare conflitti latenti. L’obiettivo Fame Zero non potrà essere raggiunto se non si raggiungono prima le condizioni per la pace. Il cibo è uno strumento di pace, che deve essere usato per creare le condizioni di pace. E non usato come arma di guerra”.

In che modo?

“Ecco perché sono così fondamentali anche i programmi del Wfp che sostengono lo sviluppo economico sostenibile e a lungo termine. E gli sforzi per la costruzione della pace. Continuiamo altresì ad innovare e adattare i nostri programmi a seconda delle diverse esigenze e dei vari contesti. In modo che si continui a fornire assistenza in totale sicurezza a tutti quelli che ne hanno maggiormente bisogno”.Cioè?

“Per esempio, è stata aumentata in modo significativo l’assistenza alle popolazioni urbane colpite dal Covid. E potenziato ancora di più l’uso di contante e vouchers e razioni da portare a casa. Per minimizzare i rischi sulla salute nelle distribuzioni fisiche di cibo e nei pasti a scuola”.

E ora?

“A fronte degli ostacoli che ci si pongono davanti, il Wfp farà tutto il possibile. E anche di più. Ciò per far arrivare la nostra assistenza salvavita laddove è più necessaria. Per farlo, abbiamo bisogno del sostegno e della mobilitazione della comunità internazionale. Perché la buona notizia è che, se i finanziamenti arriveranno, c’è ancora del tempo per evitare carestie. E salvare molte, molte vite umane.

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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