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Quarantasette minuti e trentasei secondi di intervento. Tanto è durato quello di Matteo Renzi all’assemblea nazionale del Pd il 7 luglio scorso. L’ex segretario può piacere o no, ma gli va riconosciuto il merito di dire ciò che pensa in modo diretto. Ed è proprio questo che lo rende antipatico soprattutto in ambienti in cui la politica è felpata, ingessata, politicamente corretta allo sfinimento. Ed è lo stesso motivo per cui piace, invece, a larga parte della base del suo partito.
I giornali hanno titolato a tutta pagina di un presunto attacco di Renzi a Gentiloni. Ma se si ascoltano le parole dell’ex segretario (il discorso integrale lo si trova su youtube) non ha fatto altro che dire ciò che anche la sinistra sinistra (il secondo termine non è un aggettivo qualificativo, ma un rafforzativo del primo sostantivo) ha detto in campagna elettorale. E cioè che uno dei motivi per voltare le spalle al Pd era la mancata approvazione dello ius soli. Ecco cosa ha detto Renzi in assemblea. “Sullo ius soli dovevamo decidere. O si prendeva e si metteva la fiducia a giugno e allora lo si portava a casa o si smetteva di parlarne. Ma non è pensabile che prendi una decisione in cui dici che ‘per noi questo è fondamentale perché i bambini sono fondamentali’, la trascini e poi dici ‘Eh, non abbiamo i numeri’”. E in effetti questo è proprio ciò che è successo. Molti ricorderanno la prudenza di Gentiloni nel differire questo tema per la solita paura del populismo. Come si è visto una prudenza che non è servita. Anzi. Ed è qui che arriva la stoccata al governo Gentiloni e al partito non più a guida renziana: “Non è l’algida sobrietà a far sognare un popolo. Tu devi dare un messaggio e un orizzonte forte sul futuro. E noi su questo non siamo stati all’altezza”. E come dargli torto! Ed è proprio sulla mancanza di un orizzonte su cui misurare i passi da compiere per raggiungerlo che la sinistra sta rischiando l’estinzione. Poi però verso la fine del suo intervento dice, e sembra rivolgersi soprattutto alla minoranza interna: “Mi colpisce che quando abbiamo messo gli ottanta euro in tasca agli italiani sia stata definita una mancia elettorale che va avanti da quattro anni. La mancia elettorale più lunga della storia”, dice con ironia. “Penso che se quando hai il tuo governo il tuo obiettivo è dire che il jobs act non va bene, la buona scuola non va bene, le periferie non va bene il costo del lavoro non va bene, allora non devi votare Pd devi votare M5S”. Un’affermazione stupefacente. Infatti, è proprio ciò che hanno fatto anche molti elettori del Pd, ma sembra non rendersene conto con un candore disarmante.
Un altro tema su cui il Pd si è fatto scavalcare dal M5S è quello dell’abolizione dei vitalizi. In Parlamento c’era una proposta di legge, primo firmatario Matteo Richetti del Pd, che fu stoppata dal suo stesso partito. E anche qui non era Renzi alla guida. Lo ricorda all’assemblea. “Se approvi la Richetti alla camera non puoi poi dire che non abbiamo tempo per approvarla al senato. Il tempo c’era. Al senato il Pd non ha voluto approvarla. E allora bisognava fermarsi prima e non approvare la Richetti”. Un linguaggio chiaro, senza fronzoli, com’è nel suo stile, con molti elementi di verità.
Sui voucher, e in particolare sul jobs act, non retrocede, su questo invece l’autocritica dovrebbe essere più forte. I voucher furono introdotti in una prima versione che presto si rivelò un boomerang per l’uso distorto che molti imprenditori ne facevano come strumento di flessibilità del lavoro. Erano nati per l’agricoltura, ma presto furono estesi a tutti i settori, anche a figure professionali di alta qualificazione, tanto da indurre i sindacati a chiederne una modifica radicale. “Se facciamo credere che il jobs act sia la madre di tutti i mali – ha detto Renzi senza alcun ombra di riflessione critica – poi non ci stupiamo che vinca Di Maio. Noi siamo stati i primi a cedere alla cultura della Cgil sui voucher, salvo poi avere oggi loro (il M5S, ndr) che li rimettono dopo che hanno detto, testuale, che ‘Renzi concepisce il lavoro come schiavismo’”. Certo, è esagerato dire che le riforme del lavoro sono una nuova forma di schiavismo, di certo però hanno reso precaria ed insicura (ne ho scritto ancora su queste pagine) la vita di molte persone, giovani in particolare, a causa di una pletora di tipologie contrattuali tutte a vantaggio delle imprese. Anche se Renzi continua rivendicare la bontà della riforma del mercato del lavoro che a suo dire avrebbe dato più opportunità ai giovani, è innegabile che sui temi del lavoro il Pd ha attuato una politica neoliberista col sostegno di Forza Italia e della Confindustria.
A questo proposito i dati Istat ci danno una fotografia netta. A maggio di quest’anno, infatti, rispetto allo stesso mese dell’anno scorso, l’occupazione è cresciuta del 2% (+457mila), ma di questi ben 434mila sono lavoratori a termine. Praticamente il 95% dei nuovi assunti nell’ultimo anno sono precari.
Ma il passaggio dell’intervento di Renzi che svela qual è la sua idea di centrosinistra per il futuro è quando ha ricordato il tentativo fallito di Pisapia, che definisce “fantomatica operazione”, di creare una coalizione larga di centrosinistra. Resta convinto, almeno questo traspare dalle sue parole, dell’autosufficienza del Pd per vincere le elezioni. E anche qui non c’è ombra di autocritica. Se questa è la sua idea la sinistra è destinata a sparire dallo scenario politico italiano. Ha detto, infatti, senza riconoscere la generosità dell’azione di Pisapia: “Ci siamo autoimposti un tema, quello della coalizione, che non interessava agli italiani e che ha rimesso in campo soltanto il centrodestra. Aver inseguito per mesi la fantomatica operazione di Giuliano Pisapia autoimposta o impostaci dalla stampa cosiddetta amica è un errore clamoroso che ci deve servire come lezione”. Insomma, un partito eterodiretto (sic!). A parte il fatto che è tutto da dimostrare che quell’operazione non interessasse agli italiani, è evidente a questo punto che il modello di riferimento che ha in mente, per quanto lo critichi, è quello del M5S che da solo conquista più del 30% e non il modello di coalizione del centrodestra. Del resto la riforma della legge elettorale che aveva in mente era tagliata sull’ipotesi di un Pd autosufficiente. Se così è, se questa sarà la linea che prevarrà al prossimo congresso, temo che per il centrosinistra ci siano poche prospettive di ritornare a vincere. Certo, va detto che i matrimoni hanno bisogno del consenso di entrambi i contraenti e non è detto che la sinistra sinistra (quella di cui sopra) voglia allearsi col Pd. Lo abbiamo visto appunto nel tentativo fallito di Pisapia.
Su un altro tema, quello degli immigrati, Renzi non ha fatto alcun riferimento alle condizioni di vita a cui sono costrette nel nostro paese queste persone e che è diventato motivo di tensione con la popolazione residente delle città su cui la Lega ha fatto leva, rivendicando invece il merito dei salvataggi in mare. A questo proposito ha detto: “L’Italia non ha una emergenza emigrazione, ha un’emergenza legalità che riguarda italiani e stranieri”. Che ci sia un’emergenza legalità, e non da oggi, è vero, ma non sembra sia stata fatta una riforma della giustizia seria, nemmeno con i governi a guida Pd. Detto questo non credo comunque si possa prescindere da una forza come il Pd per riportare il centrosinistra al governo del paese. Diversa è la prospettiva locale. Molto dipenderà dal prossimo congresso del partito, ma anche dalla capacità di interlocuzione tra il Pd e la sinistra sparsa. Un’apertura di dialogo dall’una e dall’altra parte penso possa influire positivamente sulle linee programmatiche del prossimo congresso del partito. Finché ognuno resterà chiuso nel proprio fortino, finché l’orgoglio di appartenenza impedirà di fare il primo passo verso l’apertura al dialogo temo non usciranno grandi novità.
Infine è passato a rivendicare i meriti del governo e del suo partito contestando chi dice che il partito “è stato poco presente nel sociale”. “Noi siamo quelli che hanno fatto per la prima volta una misura contro la povertà. Noi siamo quelli che hanno messo due miliardi sulle periferie. Noi siamo quelli che hanno fatto le leggi sull’autismo, sul terzo settore, sulla cooperazione internazionale. Noi siamo quelli che hanno scritto una pagina nuova nella storia dei diritti di chi diritti non aveva. Noi sul sociale abbiamo fatto molto e abbiamo raccontato poco. Noi siamo stati poco sui social dove si è sviluppata una campagna devastante che non abbiamo saputo leggere e che ha mostrificato i nostri, che ha attaccato con fake news, che ha disintegrato persone e famiglie (il riferimento anche alla vicenda di suo padre) con falsità alle quali non siamo stati in grado di replicare”. E poi l’affondo al gruppo dirigente del partito dal quale non ha sentito solidarietà che invece dice di ricevere dalla base quando gira l’Italia.
Bisognerebbe ricordare a Renzi che stare nel sociale non significa solo, per quanto importante, fare le leggi di settore come quelle elencate, ma stare tra le persone, sul territorio, nelle città, nelle periferie, proprio ciò che ha fatto la Lega sul modello dei vecchi partiti della tanto bistrattata prima Repubblica che erano presenti con le loro ramificazioni territoriali. Paradossalmente il vecchio modello di partito solido, radicato è tornato ad essere vincente nella società liquida.

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Giuseppe Fornaro


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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