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Siamo nel 1989, a Berlino, momento storico e unico (e per molti di noi indimenticabile). Christiane Kerner, una madre che alleva da sola i sui figli, Alex e Ariane, dopo che il marito è andato in Occidente nel 1978, e impegnata, da allora, nella costruzione della “patria socialista”, è invitata al ricevimento ufficiale organizzato in occasione dei festeggiamenti per il quarantesimo anniversario della Repubblica Democratica Tedesca.

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Locandina del film

Quella sera, a Berlino Est, molti manifestanti scendono in piazza per protestare contro il regime socialista che ormai logora e affanna la popolazione. Fra essi, vi è il figlio Alex, che viene pestato e arrestato dalla polizia. Per la paura, il dolore e la preoccupazione, Christiane è colta da un infarto e cade in coma. La casa dove vive la famiglia, la zona di Karl-Marx-Allee con sullo sfondo i grandi edifici costruiti con pannelli prefabbricati, i Plattenbauten, viene turbata e sconvolta dalla vicenda della donna che coglie tutti di sorpresa. Durante gli otto mesi di coma, nella città e nel paese tutto cambia. L’incoscienza di Christiane nulla può contro il partito che cade a pezzi, i confini che si aprono, il muro di Berlino che crolla, un mondo che cambia improvvisamente e che vede i tedeschi di nuovo uniti, di nuovo un popolo e una nazione sola. Ma c’è un problema, perché quando la loro madre si sveglierà dopo otto mesi, Alex e Ariane dovranno far finta che nulla sia successo, per evitarle emozioni forti e shock che potrebbero comportare una ricaduta fatale. Inizia allora la fase di (ri)creazione di un “micromondo” protetto, sicuro e immutato intorno alla madre. Nulla è cambiato, apparentemente. Almeno non per lei (per Alex e Ariane molto è cambiato, invece, e non solo nel paese: Alex ha perso il lavoro precedente e Ariane è fidanzata con un “occidentale,” Denis).

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Una scena del film, cimeli della Germania Est

La normalità del tempo passato e che non ritorna viene “preservata’ con attenzione dai ragazzi: vengono recuperati cimeli, prodotti e giornali della Germania Est, realizzati improbabili e falsi ma credibilissimi telegiornali della televisione orientale per tenere aggiornata la madre, fino a coinvolgere sempre più amici e vicini, sperando che la donna non scopra mai la verità. Il precipizio pare vicino quando Christiane si alza dal letto, da sola, ed esce da casa. Vede allora cose strane: pubblicità e prodotti occidentali, vestiti alla moda, macchine di lusso e, soprattutto, un elicottero che porta via una grande statua di Lenin. Una statua che pare pendere dal cielo e nel cielo. Alex convince la madre che nulla è cambiato, inventando per lei una bella storia. Ancora una volta.

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Una scena del film, Christiane e il figlio Alex

Intanto Christiane sente la necessità di raccontare ai figli la verità sul padre: il genitore non era fuggito con un’altra donna, com’era sempre stato raccontato loro, ma la coppia aveva progettato di comune accordo la fuga dal sistema socialista, che ormai li opprimeva. All’ultimo momento, tuttavia, lei non se l’era sentita di raggiungerlo per la paura di perdere i figli. Ora, davanti a un nuovo infarto, Christiane vuole solo rivedere il marito un’ultima volta. Il film è bellissimo, accompagnato dalla colonna sonora del francese Yann Tiersen (autore delle musiche de Il favoloso mondo di Amelie), con qualche velo di malinconia e nostalgia per le radici di una nazione creata dal laboratorio dell’ideologia, ma comunque con un suo popolo e persone dagli ingenui ideali. Fortissimo, poi, l’amore tenero e intenso per la madre (e per la patria) che sembra davvero poter fare tutto: anche, apparentemente, cambiare la storia. Almeno per un po’.

Good Bye, Lenin!, di Wolfgang Becker, con D.Brühl, K. Sass, M. Simon, Germania, 2003, 120 mn.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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