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Io mi chiamo Giada e abito a Cominella, la più piccola delle due frazioni di Pontalba, sopra la pizzeria di Giacinto, in un vicolo silenzioso che diparte dall’unica strada che attraversa da nord a sud il paesino.

Arrivando da nord, a circa metà strada tra l’inizio e la fine del centro abitato, bisogna girare a destra, continuare per qualche caseggiato e poi si arriva a una palazzina rosa a tre piani.  Al pian terreno si trova la pizzeria, al secondo paino la casa di Giacinto e al terzo la mia. Un appartamento di quattro ampie stanze e un balcone grande quanto una quinta stanza con tanto di tetto. Dal mio balcone si vedono i campi della pianura padana e, d’estate, il sole rosso fuoco che tramonta.

Sono una psicologa e mi occupo di minori senza famiglia. Ho i capelli biondi e gli occhi azzurri. Sono un po’ sproporzionata, perché a forza di fare sport i miei muscoli sono particolarmente sviluppati, soprattutto quelli di braccia e spalle. Tengo sempre i capelli legati dietro la nuca con un grosso elastico blu. Porto quasi sempre pantaloni e felpa, scarpe da ginnastica. Qualche rara volta mi vesto come piace agli uomini. Vestiti corti e scarpe tacco dodici. Raramente però, molto raramente.

D’estate, quando posso, vado in giro in bicicletta. Di solito dalle 19.00 alle 20.00, prima di rincasare, fare la doccia e cenare velocemente. Mi piace molto mangiare, anche se non si direbbe, visto che ho quarantacinque anni e sto perfettamente nella taglia 42. Eppure io mangio sempre e non salto nemmeno un pasto. Mi piace così.

Oltre a mangiare, mi piace Guido, il professore di Storia che abita di fronte a Villa Cenaroli e che ha quattro nipoti, gemelli a due a due. Forse anche a lui piaccio io, visto che ci frequentiamo da vent’anni e riusciamo ancora a sopportarci.

A volte Guido dorme a casa mia e di mattina, prima che ognuno inizi il suo lavoro, facciamo colazione insieme. Io prendo il thè nero con due fette biscottate: una con burro e marmellata e una senza nulla, da sgranocchiare così com’è. Lui dice che non mangia niente e poi si beve un thè alla cannella e mangia qualche biscotto.

Di solito quando facciamo colazione lui è già vestito, mentre io ho ancora il pigiama. Abbiamo ritmi di lavoro e di vita molto diversi. Mentre lui, se ha del lavoro particolarmente impegnativo da fare, si alza all’alba (comincia a lavorare alle 6.00 di mattina), io faccio l’esatto contrario. Se ho tanto lavoro vado avanti fino a mezzanotte e poi dormo la mattina seguente fino alle 8.00.

Così ci troviamo a fare colazione alle 8.30 e la nostra giornata è in una fase di risveglio completamente diversa. Lui è già completamente immerso nelle sue ricerche storiche e io sto appena riemergendo dal sonno, non so ancora esattamente cosa sia vero e cosa mi sono semplicemente sognata.

Di solito ci ricordiamo entrambi cosa abbiamo fatto durante la notte, il nostro ricordo si colloca in qualche orario imprecisato, che per me è l’inizio della notte e per lui è già notte fonda. Di quello che facciamo durante la notte parliamo sempre poco e di solito in maniera lapidaria. La mattina siamo già di nuovo tutti e due schivi e non ci piacciono le allusioni piccanti che molte persone riprendono a fare quando c’è luce. Ciò che viene consumato basta a sé stesso, senza bisogno di rinforzi diurni che normalizzano troppo l’amore. In questo siamo uguali, ci piacciono i sogni e cerchiamo di non inquinarli.

Comunque la notte ci appartiene, è un rapporto che prevede un contatto fisico frequente, non siamo due intellettuali che si nutrono di spirito. Facciamo ‘gli intellettuali’ di giorno, quando serve per lavoro. Si fa per dire, visto che l’uso che di solito si fa di questo termine e gli attributi che vengono riconosciuti come esplicativi di questo modo di essere (leggere molto, essere molto colti, avere sempre qualcosa da spiegare agli altri, essere snob, vestire solo alcune marche, essere vegetariani, votare a sinistra) ci lasciano assolutamente indifferenti.

In alcune di queste caratteristiche ci potremmo anche riconoscere, ma sicuramente non in tutte e non in tutti i momenti. Certo è che siamo tutti e due laureati in materie umanistiche e questo ci permette di parlare all’infinto di ciò che abbiamo studiato, di ciò che abbiamo letto, di ciò che vorremmo fare e di quello che pensiamo della vita.

A volte portiamo a spasso Reblanco, il cane bianco di Guido. Passeggiamo sul sentiero dei castagni, quello che da Villa Cenaroli sale verso il cimitero di Pontalba. Un sentiero sterrato, che per un tratto costeggia il parco della Villa e per un tratto l’argine del Lungone. Poi risale verso Nord.  Un percorso ombreggiato, circondato da una folta vegetazione, garantita dalla vicinanza del fiume. Il Lungone scorre lì vicino e accompagna lento e regolare la vita della gente di questa zona.

Spesso sul sentiero incontriamo Costanza, la prima fidanzata di Guido. Quella bella donna, dagli occhi color delle foglie d’autunno, è sposata da molti anni e non sembra interessata a Guido, se non come un amico o forse qualcosa in più, come un fratello. Un legame forte che ormai si è cristallizzato e non credo cambierà.

Però, come diceva sempre mia nonna Argene: – Mai mettere la mano sul fuoco, quando si tratta di belle donne. Nessuno sa quel che può succedere. – Aldilà della nonna Argene, la possibilità di un cambiamento nei rapporti tra Costanza e Guido mi sembra davvero remota. Quello che Guido dice di Costanza è per me confortante. Dice sempre: – Costanza è una donna molto intelligente, molto bella, ma non la si può proprio sopportare a lungo.- Non so per quale motivo non la si possa sopportare a lungo, ma va bene così, benissimo.

Guido è un bell’uomo, ha un gran fisico, gli occhi neri e ama molto il suo lavoro, i suoi nipoti, il suo cane, la sua casa e l’eros. Appena vestito, con la camicia che profuma di pulito e l’ultimo bottone slacciato, mi piace da matti. Veder affiorare un pezzo del suo collo morbido e rosa mi affascina. Me ne starei là molto tempo semplicemente a guardarlo.

Anche questo è un pezzo del nostro rapporto, della nostra storia. Forse Guido direbbe che non è vero, che questo ‘incantamento’ per i colli delle camicie è una delle tante stranezze che appartengono solo al mondo femminile e che ai maschi non interessa. Può essere.
Guido è molto schietto. Dice sempre quello che pensa, senza mezzi termini e a chiunque.

Mi piace anche quando mi racconta del suo lavoro, di quello che sta facendo, delle sue riflessioni sugli eventi storici che sta approfondendo e sulle personalità di personaggi, ormai secolarmente morti, che studia con accanimento. Quest’ultimo argomento è uno dei nostri punti d’incontro, ci racchiude in un’invisibile bolla.

Grazie a questo nostro discorrere continuo, il tempo diventa molle e si adagia su sé stesso, come un soufflè. Ovviamente i nostri rispettivi lavori, io la psicologa e lui lo storico, ci garantiscono sufficienti conoscenze per alimentare la bolla, per sostenerla con riflessioni, parole e sguardi.

A volte ci mettiamo anche a discutere di argomenti apparentemente scontati: come poteva essere l’amante preferita di Giulio Cesare, come prendeva decisioni Nerone, cosa amava delle donne Kennedy. Tendiamo a interrogarci sui tratti della personalità di questi grandi personaggi che hanno condizionato, con alcune loro scelte, il futuro del mondo.

Questo strano argomentare ci assorbe come una spugna, ci permette di continuare a trovare nuovi stimoli per parlare, per continuare a ritenere questi confronti costruttivi. Facciamo anche delle vere discussioni, ogni tanto. Ieri mattina prima di uscire Guido si è girato a guardarmi:
– Quel pigiama verde ti sta bene – mi ha detto.
– Bah, a me sembra come tanti altri – gli ho risposto.
– E invece no, questo mi ispira -.
Non mi dilungo a riflettere su quali siano le cose a cui di solito Guido associa il verbo ‘ispirare’. Si sa.

E così tra pizze, baci e discorsi su eventi e personaggi storici, abbiamo passato vent’anni e ci piacciamo ancora.
– Sei una testa di cavolo, che capisce solo quel che vuole lei – mi dice a volte Guido, sapendo perfettamente che io non ho nulla a che fare coi cavoli.
– Anche tu sei una vera testa di cavolo, anzi sei una capra – gli rispondo e lui sa che con le capre non c’entra niente.

Questi risvegli e le conseguenti colazioni ci permettono di affrontare molte impegnative giornate. Sapere che alla sera ci ritroveremo tra capre e cavoli, rende migliore la nostra vita. Non sarebbe la mia vita senza Guido. Non sarebbe la vita di Guido senza di me.

Costanza e il suo mondo sono solo apparentemente diversi e distanti dal mondo che usiamo definire “reale”, e quasi sovrapponibili ad ogni mondo interiore. Chi fosse interessata/o a visitare gli articoli-racconti di Costanza Del Re, può farlo cliccando [Qui]

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Costanza Del Re

E’ una scrittrice lombarda che racconta della vita della sua famiglia e della gente del suo paese, facendo viaggi avanti e indietro nel tempo. Con la Costanza piccola e lei stessa novantenne, si vive la storia di un’epoca con le sue infinite contraddizioni, i suoi drammi ma anche con le sue gioie e straordinarie scoperte.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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