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Nel Gennaio 1959 mia madre Anna Ghepardi aveva 17 anni, ne compì 18 il 21 Ottobre.
Fu l’anno in cui si diplomò maestra. Per una femmina che veniva da una famiglia povera fu una grande conquista.

Racconta che nessuna delle sue amiche di Cremantello raggiunse il diploma, le più brave tra le sue coetanee fecero tre anni di quello che allora si chiamava ‘Avviamento professionale’ e poi si misero a fare le segretarie o le centraliniste.

Le altre andarono a fare le operaie in filanda, rovinandosi le mani con l’acqua bollente, in cui bisognava inserire i bozzoli dei bachi da seta per poi sgarzare il prezioso filamento.

Era l’anno 1959 quando imperversava una famosa epidemia, quella portata dal ceppo influenzale conosciuto come ‘Asiatica’ [Qui]. La vita scorreva senza troppi problemi e le informazioni su questa pandemia erano scarse, sia da parte delle Autorità che da parte dei medici di famiglia.

L’Asiatica contaminava giovani, meno giovani, ma soprattutto anziani. Si trattava di una forte influenza che colpiva le vie respiratorie, causando forti febbri (fino a quaranta), indebolendo tutti i muscoli e costringendo chi la contraeva a letto per settimane.

Tra il 1957 e il 1960 morirono per l’Asiatica circa quattro milioni di persone nel mondo. Fu causata dal virus A/Singapore/1/57 H2N2 (influenza di tipo A), isolato per la prima volta in Cina nel 1954.

Mia madre racconta che anche lei prese l’influenza e stette a casa una settimana da scuola. Il collegio che ospitava mio padre chiuse venti giorni perché erano tutti ammalati: ragazzi e insegnanti. Lei però guarì, così come mio padre. Molte informazioni non c’erano, non si sapeva quante persone si fossero ammalate, quanto grave fosse la pandemia, quante persone morirono.

Nel gennaio del 1959 successero nel mondo diversi eventi importanti, ma mia madre dice che non ne conoscevano nessuno. I giornali non si leggevano, la TV era presente solo in qualche esercizio pubblico e le notizie arrivavano, in un paese piccolo come Cremantello, frammentate, ritardate e poco attendibili.

Fu così che, ignorati dagli abitanti di Cremantello, successero nel Gennaio 1959 alcuni grandi avvenimenti.

Il primo gennaio il dittatore Fulgencio Batista abbandonò l’Avana. Fidel Castro entrò nella capitale cubana in testa alle sue truppe.

Il due Gennaio l’Unione Sovietica lanciò nello spazio Luna 1, il primo oggetto costruito dall’uomo ad uscire dall’orbita terrestre.

Il tre gennaio l’Alaska entrò negli USA, diventandone il 49º stato.

Il sei gennaio a Bologna Giuseppe Dossetti, ex politico e parlamentare democristiano, esponente della sinistra del partito, ricevette l’ordinazione sacerdotale.

L’otto gennaio, al Palazzo dell’Eliseo in Francia, René Coty, ultimo presidente della Quarta Repubblica, passò le consegne a Charles de Gaulle, primo presidente della nuova Costituzione.

Il ventisei Gennaio in Italia cadde il secondo governo Fanfani. Il politico abbandonò anche la carica di segretario della Democrazia Cristiana.

Di tutto questo a Cremantello non si seppe nulla. Si andava avanti conducendo una vita relativamente tranquilla e complessivamente povera. In una famiglia di contadini di quattro persone c’erano quattro piatti, quattro forchette e quattro bicchieri. Se andava tutto bene, c’era un cappotto o una giacca pesante a testa.

I bambini andavano a scuola con gli zoccoli (per fortuna gli zoccoli scaldavano i piedi e li tenevano asciutti) e possedevano sei pastelli di legno per colorare i loro disegni. I pastelli dovevano durare tutto l’anno, non era possibile ipotizzare di doverli rimpiazzare.

Se un pastello cadeva lo si raccoglieva subito e si controllava che la mina fosse integra. La mina rotta era una grande sfortuna. Tutte le volte che si provava a fare la punta al pastello, la frazione di mina usciva dall’involucro di legno in maniera anomala e si depositava sul pezzo di carta dove si erano appena raccolti i trucioli della limatura.

Era un evento che intristiva sia i bambini che i genitori e per il quale non c’era rimedio. Le matite colorate che cadevano generavano sicuramente apprensione. A maggior ragione se cadevano il rosso o il giallo, i due colori primari prediletti dai bambini.

Mia mamma quell’anno fece la maturità. L’autobus per la città passava davanti a casa sua e si fermava poco più in là, ma lei non lo poteva prendere perché costava troppo. Doveva fare ogni mattina cinque chilometri in bicicletta per arrivare al paese più vicino, dove si trovava la stazione ferroviaria e dove lei poteva permettersi di pagare il biglietto del treno per arrivare a scuola.

Al ritorno il percorso era fatto in senso inverso. Prima un pezzo di viaggio in treno e poi cinque chilometri in bicicletta per arrivare a casa. Ricordo di aver sentito la nonna Adelina dire che avrebbe voluto mettere le ruote sotto la casa e spostarla vicino alla città per aiutare sua figlia negli studi e non doverla vedere arrivare a casa col buio e, d’inverno quando faceva molto freddo, congelata o bagnata.

Ma la grande casa della nonna le ruote non le aveva, non le ebbe mai e mia madre dovette continuare a fare dieci chilometri in bicicletta tutti i giorni, finché si diplomò.

Ogni tanto mia madre dice che il poter stare in casa al caldo, quando fuori fa freddo, è tutt’ora una delle sue massime soddisfazioni. Racconta anche la nonna Adelina la aspettava a casa con la cena pronta, anche se la qualità del cibo non era eccellente, un po’ per la mancanza di materie prime e un po’ perché la nonna non amava cucinare.

Quando si doveva fermare a scuola anche al pomeriggio, mangiava nella pausa pranzo due panini con la pancetta, il salume che costava meno.

Aveva però una grande fortuna. Il padre di una sua compagna di classe faceva l’apicultore e, per lo stesso motivo per cui mia madre aveva sempre la pancetta, la figlia dell’apicultore aveva sempre due panini col miele.

Così si creò un sodalizio davvero vincente. Siccome mia madre era stufa della pancetta e Verbena era stufa del miele, facevano uno scambio. Mia mamma dava uno dei suoi panini a Verbena, la quale le cedeva uno dei suoi al miele.

Fu in quel modo che la situazione migliorò senza costi aggiuntivi per nessuno. La solidarietà e la reciprocità sono uno dei vettori del senso di comunità e uno dei collanti sociali più forti che conosciamo, senza bisogno di spendere nulla. Senza soldi si acuisce l’efficienza e, purtroppo solo in alcuni casi, anche la solidarietà.

Mia madre dice che quando sente pronunciare delle frasi stucchevoli del tipo “si stava bene quando si stava peggio” le viene la nausea. Si stava peggio e basta. Ci si ammalava di più, si moriva prima, si soffriva il freddo, c’erano meno possibilità di vedere, imparare, capire e conoscere.

Dopo cena la nonna le cercava i termini da tradurre sul vocabolario di latino. Spesso mia madre era costretta a fare delle tardive versioni, dalla nostra ‘lingua morta’ all’italiano, che non le piacevano minimamente. Il latino non è mai stato il suo forte e forse proprio per quello, le versioni scivolavano verso la fine della giornata e non la chiudevano nel migliore dei modi. Ma a scuola non si studiava solo latino e, per fortuna, nelle altre materie era brava.

Mia madre non aveva il padre. Era morto improvvisamente d’infarto a cinquant’anni. Questo condizionò sicuramente la sua infanzia e la sua adolescenza, così come quella dello zio Giovanni e fece sì che il carattere della nonna Adelina diventasse complicato e a volte inspiegabile.

La nonna si intristiva sempre durante le feste, non le piaceva il Natale e non voleva mai festeggiare nessuno. Le feste le ricordavano il marito morto e penso che le venisse una terribile nostalgia del poco tempo in cui lei e i suoi bambini erano potuti stare con lui.

Quando è avvenuto questo tremendo lutto, mia madre aveva otto anni e lo zio Giovanni due. Chissà com’era il nonno, non avrò mai la possibilità di saperlo. Nel 1959 erano passati dieci anni da quella nefasta giornata e la vita scorreva tutto sommato tranquilla.

La loro situazione era simile a quella di altri compaesani perché, nonostante la mancanza del papà, erano economicamente indipendenti. La nonna Adelina era una brava sarta e lavorava sempre.

Mentre tutto questo accadeva a Cremantello, nel mondo succedeva di tutto, ma loro non lo sapevano e continuarono la loro vita di sempre, coltivando l’orto, aiutando lo zio che vendeva le stoffe, andando in giro in biciletta e mangiando il gelato la domenica pomeriggio.

Del resto i confini del mondo e del sapere sono mutevoli e la differenza la fa ‘ciò che si sa’.
‘Ciò che non si sa’ non condiziona in alcun modo la qualità della vita percepita.

N.d.A.
I protagonisti dei racconti hanno nomi di pura fantasia che non corrispondono a quelli delle persone che li hanno in parte ispirati. Anche i nomi dei luoghi sono il frutto della fantasia dell’autrice.

N.B. Per leggere tutti i racconti di Costanza Del Re è sufficiente cliccare il nome dell’autore sotto il titolo. 

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Costanza Del Re

E’ una scrittrice lombarda che racconta della vita della sua famiglia e della gente del suo paese, facendo viaggi avanti e indietro nel tempo. Con la Costanza piccola e lei stessa novantenne, si vive la storia di un’epoca con le sue infinite contraddizioni, i suoi drammi ma anche con le sue gioie e straordinarie scoperte.

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di Piermaria Romani

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Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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