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La parola greca ‘eudaimonìa’ può indicare lo stato di benessere che ingloba sia la soddisfazione personale dell’individuo sia il suo rapporto con il mondo. Si pensa, dunque, che un buon eudemonismo abbia sviluppato il nostro destino nella collocazione nel mondo, e non solo, rispetto al nostro umore personale. In fondo il benessere si potrebbe definire come un buon rapporto con noi stessi e con il cosmo. Siamo allora felici? Oggi, troppo spesso, quando si pensa alla felicità si pensa alla soddisfazione individuale, al modo in cui ci sentiamo, mentre la vera felicità dipende anche molto dal luogo in cui viviamo. Gli inglesi la chiamano ‘happiness’, ossia ciò che deve ancora accadere (to happen).

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Copertina del report

Hanno provato a studiare l’argomento e a costruire una geografia della felicità in cui vengono indicati i luoghi in cui si vive meglio. Il “World happiness report 2015” stila un elenco: tocca alla Svizzera il primato, pare sia il luogo in cui si vive meglio e si è più felici (sarà vero?). Seguono Islanda e Danimarca. Lo studio è stato realizzato per l’Onu per meglio realizzare il programma sullo sviluppo sostenibile. Chi lo ha scritto sono illustri professori della University of British Columbia, della London School of Economics e dell’Earth Institute della Columbia University. Gli si può credere. Noi siamo al cinquantesimo posto, tra Ecuador e Moldavia. Se si leggono gli indicatori presi a riferimento si può capire il perché: si misura l’ordine pubblico, la salute, l’ambiente, il Pil, la corruzione, il reddito pro capite, le aspettative di vita e molto altro.
A me le classifiche non sono mai molto piaciute, però non è corretto sottovalutarle, perché comunque offrono segnali utili e interessanti. In questo caso, seguire il principio che occorre perseguire il benessere dei propri cittadini è importante e sarebbe utile che i governi del mondo (a partire dal nostro) affrontassero seriamente l’obiettivo di come promuovere e perseguire la felicità (e non solo la sopravvivenza).

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Mappa del mondo con colorazioni in base al livello di felicità

Esiste poi uno stretto rapporto tra economia e felicità. E’ un tema centrale della modernità. Non si deve però confondere il benessere economico (ricchezza personale e dunque felicità esclusivamente privata) con la felicità pubblica (il bene comune, il benessere collettivo). C’è chi, come me, pensa che la felicità individuale discenda dal benessere pubblico, inteso come indicatore globale. Anzi c’è chi pensa che la felicità privata sia da considerare una felicità degli idioti e che solo la ricchezza collettiva (intesa come “economia civile” come la definisce Zamagni) conduca al valore dei diritti comuni, perché in fondo non si può essere felici da soli.

LEGGI IL RAPPORTO 2015 SULLA FELICITA’ NEL MONDO (in inglese)

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Andrea Cirelli

È ingegnere ed economista ambientale, per dieci anni Autorità vigilanza servizi ambientali della Regione Emilia Romagna, in precedenza direttore di Federambiente, da poco anche dottore in Scienze e tecnologie della comunicazione (Dipartimento di Studi Umanistici di Ferrara).

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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