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di Fabio Rossi

“Crimes against reality” è il titolo del loro terzo recente album. Per i Game Over, band trash-metal ferrarese, si profila un nuovo successo. Il gruppo da tempo raccoglie significativi riscontri da parte di pubblico e critica ed è presente anche sulla scena internazionale, con tournée in Giappone e persino in Cina, dove pochissime band italiane si sono esibite. Luca Zironi, Alessandro Sansone, Anthony Dantone sono i componenti del gruppo, con Renato Chiccoli – bassista e canigo1tante – con il quale abbiamo scambiato quattro chiacchiere…

Quali gruppi avete preso come riferimento nell’idea iniziale del vostro progetto musicale?
Beh, chiaramente tutta la scena thrash metal americana degli anni ‘80, come Testament, Megadeth, i primissimi Metallica, Anthrax e Overkill. Con il tempo abbiamo iniziato ad inglobare sempre più l’influenza britannica; Iron Maiden in primis. In particolare, l’ultimo disco è quello che abbiamo scritto più a mente libera cercando di riprendere un po’ tutto quello che alla fine ci piace.
Quali sono i pezzi a cui siete più affezionati?
Per certi versi “Dawn Of The Dead” è uno di quelli a cui teniamo di più perchè generalmente chiude la scaletta della serata: è un must immancabile di ogni concerto e senza, lo show sarebbe in qualche modo evirato! Ci diverte molto anche a “Mountains Of Madness” perchè rappresenta il prototipo di quello che sarebbe stato il nostro percorso musicale, e per quanto riguarda l’ultimo album siamo molto affezionati anche a “With All That Is Left” perché è una delle canzoni più strane che abbiamo mai prodotto; è una ballata su cui abbiamo “scommesso” perché esce prepotentemente dalla nostra solita linea compositiva.
Secondo voi nel 2016, in Italia, è ancora possibile vivere di musica?
Per noi no! Forse, del nostro genere, solo i Rhapsody of Fire ed i Lacuna Coil, che si sono traferiti in America, ce la possono fare. Però se consideriamo “vivere di musica” più a trecentosessanta gradi, con lezioni o produzioni musicali allora si, potrebbe diventare possibile.
Se dovessi descrivere il vostro ultimo disco con 3 parole quali sarebbero?
Beh, la prima sarebbe “personale” perché stiamo cercando di prendere una direzione più distaccata dai clichè che a volte il genere impone, poi sicuramente “tamarro” perchè deve essere pacchiano ed ignorante! La terza parola potrebbe essere “eterogeneo” perché abbiamo cercato di fare suonare tutti i pezzi uno diverso dall’altro: ci sono alcuni pezzi che hanno un tiro più hardcore e ce n’è uno che invece incarna una melodia più orientaleggiante, oltre alla già citata ballad.
Le aspettative circa l’ultimo disco, sono state soddisfatte?
A sorpresa si! Pensavamo che molta più gente avrebbe storto il naso perché il disco è meno granitico e meno omogeneo dei precedenti, invece anche a livello di recensioni è andato molto bene sia in Italia che all’estero. Mi aspettavo che avrebbe più diviso quelli che già da tempo ci seguivano invece pare sia stata generalmente gradita la direzione che stiamo prendendo.
Astral Matter ha un’intro alla Kyuss, in che modo altri generi hanno influito nella scrittura del disco?
Si, come ti dicevo prima, abbiamo ripreso alcune sonorità “settantiane” e stoner/acide, ma anche solo lo stile dei Rainbow ricompare frequentemente, i Maiden, i Diamond Head, e poi ci sono le solite influenze Hardcore presenti fin dall’inizio; in particolare Sanso e Ziro (entrambi chitarristi nella band) sono “in fissa” con i gruppi Punk-Hardcore anni ’80, Vender, il batterista, ha la passione dei Toto, e quindi bene o male, tutte queste influenze vengono a galla, ed abbiamo lasciato che tutto venisse fuori.
Quanto tempo ci mettete all’incirca per comporre un pezzo?
Un casino! Troppo! Da quando abbiamo fatto uscire il disco, ancora non ne abbiamo scritto nessuno, perché in realtà lavoriamo bene solo quando qualcuno ci mette il fiato sul collo ed abbiamo delle scadenze da rispettare, perché siamo pigri. Metti però che se ci mettiamo sotto seriamente in un paio di settimane un pezzo viene fuori.
E’ importante il lavoro di gruppo o ognuno mette la sua parte per conto proprio e si prova cosa viene fuori?
Di solito qualcuno propone un riff, e poi tutti assieme ci si trova e ci si lavora sopra, cercando di vedere cosa ne viene fuori. Spesso e volentieri i pezzi sono il risultato di vari riff, magari originariamente sconnessi tra loro, che facciamo in modo di mettere assieme. Tutto ciò ovviamente, una volta che lo proviamo tra di noi magari non ci piace, o lo modifichiamo retroattivamente dopo aver “assemblato” il pezzo completo. Comunque si parte sempre dall’idea di qualcuno e come gruppo ci si lavora attorno assieme.
Com’è la scena musicale italiana locale, e com’è quella estera?
La scena italiana è sicuramente lo specchio di quella locale, adesso ci sono meno gruppi del nostro genere, qualche anno fa ce n’erano molti di più. Poi senza dubbio un problema che si ripercuote nell’ambiente musicale è quello di internet: oggi c’è troppa musica in giro e tutto è alla portata di tutti: chiunque può fare qualcosa e buttarlo in faccia al resto del mondo, rischiando di rendere satura la situazione e di dare meno spessore a ciò che vale veramente. Fortunatamente c’è stata una scrematura generale dei gruppi. E poi parliamoci chiaro, qui a Ferrara siamo in quattro gatti che vanno ai concerti, se ci metti che i locali non si organizzano a sufficienza per promuovere gli eventi e spesso ci si ritrova ad avere due o più concerti la stessa sera di genere simile, ecco che il pubblico che può venire a sentirti si restringe sempre più. All’estero invece, si va proprio per il gusto di andare a vedere un concerto: la musica è vista come intrattenimento. Nel Nord-Europa in particolare la mentalità è del tutto diversa; ci è capitato di suonare in palazzetti tra i primi gruppi di un festival, e la gente veniva a vederti proprio per scoprire qualcosa di nuovo.
Per finire: quale gruppo con cui avete condiviso serate secondo voi merita e consiglieresti di ascoltare di più?
Ci è capitato di suonare all’Headbangers in Germania, dove gli headliner erano gli Overkill, uno dei nostri gruppi preferiti di sempre, da commuoversi! Gli Exciter, con cui abbiamo suonato ad Osaka in Giappone sono uno un altro gruppo clamoroso!

 

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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