di Lorenzo Bissi
Immaginatevi di essere nei primi anni del novecento, di possedere una macchina ed essere un amante della velocità. Aggiungete anche di essere un poeta ed uno scrittore piuttosto affermato, di stampo decadentista e liberty.
State sfrecciando con la vostra macchina a tutta velocità per una strada di campagna, improvvisamente due ciclisti vi tagliano la strada: come lanciati da una catapulta finite dritti dentro ad un fossato.
Siete vivi, vi ripescano, e indovinate un po’? Vi siete finalmente riusciti a liberare degli orpelli della poesia decadentista, non volete più guardare al passato, ma essere proiettati fieramente verso il futuro, vi rendete improvvisamente conto che per affrontare la vita serve audacia, coraggio, arditezza, vitalità.
Siete un uomo nuovo, un uomo futurista.
Così il giorno 20 febbraio del 1909 è nato il manifesto del futurismo di Filippo Tommaso Marinetti; è questo un inno al progresso, all’azione, all’audacia, alla vita.
È rivoluzione pura. L’intenzione è quella di bruciare tutto ciò che è vecchio: al rogo Venezia in primis, e le biblioteche, covi di ragnatele e di scheletri di morti.
Che lo sguardo degli uomini sia sempre rivolto verso il futuro, verso il progresso; si corra in avanti senza meta, l’importante è che lo si faccia con violenza, con forza, con aggressività, con vivacità.
Si faccia la guerra, perché è l’unico modo per ripulire il mondo da chi non è capace di combattere, dalla feccia della società.
E in questo irrazionale grido si legga la passione per la propria nazione, l’attaccamento irrefrenabile alla vita, l’obbligo morale di fare poesia, di fondare una nuova cultura.
Oggi, rivolti ad ammirare il passato, estasiati da questa vitalità, siamo sedati dal Nulla, nemico tremendo perché invisibile, e aspettiamo sempre che un nuovo Manifesto del futurismo lo scriva qualcun altro…
“1. Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.
2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
3. La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
4.Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un’automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.
5. Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.
6. Bisogna che il poeta si prodighi con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.
7. Non v’è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo.
8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!… Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.
9. Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.
10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica e utilitaria.
11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, e le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.”
Filippo Tommaso Marinetti
Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la settimana…
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