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Come ogni mercoledì ho attraversato la piazza del mio paese e le vie d’intorno per stare al mercato e respirarne l’atmosfera. È un rito, lo so bene, ma non ci posso rinunciare.

Stavolta non ho nemmeno fatto spesa di verdura e frutta, non mi serviva nulla che non avessi trovato proprio il giorno prima al supermercato. Però c’è stata una piccola avventura dello spirito, come accade spesso.

Piccola, ci tengo a ribadirlo, ed è questa.

La Livra, il soprannome di sempre, non compare nel necrologio che ho letto entrando nella piazza: ci sono cognome e nome e la bella età, 93 anni portati col sorriso fino all’ultimo giorno.

L’ho incontrata l’ultima volta in ottobre, proprio sul bordo di questa piazza, con una affettuosa badante seduta sulla stessa panchina. Ahi, ho pensato, non sei più sulla porta della tua casa a guardare chi passa stando in piedi a braccia conserte.

Abiti a due passi da qui e, se ti vedo seduta e scruto il tuo sorriso, trovo che è cambiato insieme a te, è più opaco, leggermente smarrito. Ma mi riconosci: non appena ti saluto e ti chiedo come stai, pronunci il mio nome e subito mi collochi nel passato che abbiamo in comune, quando i nostri appartamenti affacciavano sullo stesso cortile.

Ci vorrebbe mia madre, qui e ora, a tirare fuori dal cilindro dei ricordi una quantità di aneddoti più o meno faceti, che potremmo rivivere con leggerezza.

Io ero bambina e voi due giovani donne sposate: mia madre lavorava per una ditta che le consegnava a domicilio montagne di scarpe da cucire e tu seguivi la casa e la famiglia. Ma lei manca da oltre vent’anni e tu da qualche giorno, come mi ha appena detto il necrologio.

Nessuna di voi due è più qui, non mi rimane che la leggerezza. Mi arriva dai ricordi infantili (dalla vita) e dalle letture che ho in corso (dalla letteratura).

Il caso vuole che in queste settimane mi stia dedicando a conoscere la figura e l’opera poetica di Roberto Roversi [Qui]. È un primo approccio, frammentato in tanti brevi momenti in cui consulto i manuali e le storie della letteratura che ho nello studio, alternandoli con la lettura delle sue poesie.

fausto coppi roberto roversiIl testo che Roversi ha dedicato a Fausto Coppi [Qui] mi è apparso sullo schermo mentre navigavo in internet alla ricerca di un’altra sua raccolta. L’ho letto con rapimento e mi sono sentita catturare in particolare da tre versi: il primo recita “Coppi leggero leggero come un pensiero” e gli altri due “Fausto un gatto/anzi no, una livra”.

Eccola, la lepre stigmatizzata dal poeta, scegliendo la versione del nostro dialetto bolognese, la lepre che accende la scintilla, in cui si incontrano un ciclista eccezionale e una donna della mia infanzia.

Sul dizionario Treccani il lemma ‘lèpre’ recita nella prima accezione di significato: “Nome comune delle varie specie di roditori leporidi del genere Lepus, diffusi in tutto il mondo; hanno abitudini prevalentemente notturne, indole paurosa, udito finissimo con buona vista e olfatto; ottimi corridori, molto veloci e resistenti, sono uno dei capi di selvaggina più comuni e ricercati”. E più avanti sul suo valore simbolico: “È talora assunta come simbolo o metafora della velocità nel correre, della timidezza, della sospettosità”.

Ho trovato il tratto semantico che cercavo, posso uscire dal dizionario e tornare alle due figure umane in cui la qualità principale dell’animale, la sua velocità nella corsa, è stata fissata come uno stigma. Roversi abbrevia la similitudine, non usa il come per il confronto con Coppi, ma utilizza una metafora netta, “Fausto un gatto…, una livra”.

Quanto alla mia simpatica compaesana, il soprannome inchioda anche lei a quella sua agilità nei gesti e nella camminata. Nei paesi o nei quartieri di città usava (e usa ancora) identificare le persone con un soprannome.

Ora la nostra Livra trovava espressa nel suo la dote della velocità in senso letterale, secondo la variante della dantesca legge del contrappasso che fa corrispondere per analogia la qualità e la persona.

Potrei citare altresì il caso di un mio coetaneo piuttosto robusto che veniva chiamato Trasparént in ossequio all’altra variante, quella secondo cui la corrispondenza avviene in modo contrario.

Mi piacerebbe divagare su nomignoli, apostrofi e soprannomi paesani, alcuni sono un vero spasso linguistico, ma torno a lei. La vicina di casa giovane e poco esperta, che dalle finestre aperte nella stagione calda sentivamo camminare in lungo e in largo nel cortile, tra casa, lavanderia e bassocomodi.

Parlava tra sé e sé e la voce era spesso alterata dall’ansia di fare bene i lavori di casa, attività in cui metteva tanto impegno, ma in cui l’organizzazione di giorno in giorno si manteneva difettosa. Vedevamo le sue gambe magre avvicinarsi alla finestra sotto la quale mia madre lavorava alle sue preziose scarpe: aveva sempre un lavoro venuto male di cui discolparsi, un consiglio da chiedere. A volte un prestito.

Temeva il giudizio del marito, che al rientro dal lavoro le chiedeva cosa avesse fatto durante il giorno, non trovando pronta la cena o non ancora asciutti i suoi indumenti. Eppure la sua giornata era piena di battute di spirito e risatine.

Anche Coppi sapeva dissimulare la fatica lungo i percorsi di montagna, sapeva attaccare e arrivare da solo al traguardo della corsa dopo una lunga lunghissima fuga solitaria. Mio padre lo vide correre al motovelodromo di Ferrara, quando ancora non era famoso, e rimase conquistato dal suo portamento timido e dalla gambe esili, che in realtà sapevano pedalare come delle bielle d’acciaio. Quella per Fausto Coppi rimase poi una fede assoluta fino all’ultimo giorno.

Mi rimane la leggerezza, dicevo. In quella forma che Italo Calvino nella prima delle sue Lezioni americane definisce “una immagine figurale di leggerezza che assuma un valore emblematico, come, nella novella di Boccaccio, Cavalcanti che volteggia con le sue smilze gambe sopra la pietra tombale”. Presso il Battistero di Firenze scavalcò infatti con un balzo solo un imponente sarcofago e si liberò della sgradita brigata di Betto Brunelleschi – dice Boccaccio – “sì come colui che leggierissimo era”.

Tuttavia questa definizione non basta. La leggerezza attiene anche alle parole con cui formuliamo le nostre narrazioni e i ricordi, e consiste – mi soccorre di nuovo Calvino – in “un alleggerimento del linguaggio, per cui i significati vengono convogliati su un tessuto verbale come senza peso”.

Le parole aleggiano come “un pulviscolo sottile” sopra le cose, agiscono per astrazione. Direi, distillano dalla distanza che si sono date i significati che vanno a immettere nella comunicazione.

Della Livra e di Fausto Coppi ci arriva da un lato l’essenza figurale della lepre che corre veloce e del gatto dal passo felpato, dall’altro la parola che rende lei e il Campionissimo leggeri come pensieri.

Nota bibliografica:

  • Italo Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il nuovo millennio. Garzanti, 1988
  • Giovanni Boccaccio, Decameron, Garzanti, 1974 (novella di Guido Cavalcanti, VI,9)
  • Roberto Roversi, Quando Coppi e Bartali correvano in bicicletta (L’Espresso, 29 luglio 1979)

 

Per leggere gli altri articoli e indizi letterari di Roberta Barbieri nella sua rubrica di Mercoledì, clicca [Qui]

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Roberta Barbieri

Dopo la laurea in Lettere e la specializzazione in Filologia Moderna all’Università di Bologna ha insegnato nel suo liceo, l’Ariosto di Ferrara, per oltre trent’anni. Con passione e per la passione verso la letteratura e la lettura. Le ha concepite come strumento per condividere l’Immaginario con gli studenti e con i colleghi, come modo di fare scuola. E ora? Ora prova anche a scrivere

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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