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di Giuseppe Lipani e Paola Rossi

UBICAZIONE E ORIGINI
Collocata all’angolo tra Via Borgovado e Via Scandiana, la Basilica di Santa Maria in Vado si offre già in forza di questa sua collocazione ad uno sguardo molteplice, che non si risolve in una predominanza semantica e formale della facciata principale, ma che nella facciata settentrionale ha un punto nodale di accordo tra il volume dell’edificio e il contesto urbano nel quale si inserisce. In ragione di questa pluralità di punti di vista, Santa Maria in Vado mostra la sua centralità sul piano urbanistico ancor prima che su quello strettamente architettonico, come tassello fondamentale del rinnovamento del tessuto urbano a cui si stavano dedicando Biagio Rossetti e il duca Ercole I proprio negli anni in cui misero mano alla Basilica. Rinnovamento che investiva non solo, come si sarebbe tentati a credere, la vastità dell’Addizione, ma che veniva adeguando tutta la città pre-esistente all’assetto unitario e nuovo che si stava concependo.
L’importanza del prospetto laterale in quanto momento di raccordo con il contesto urbano è già un assunto centrale in Rossetti, si pensi ad esempio a san Francesco il cui fianco costituisce una sorta di quinta, che contiene e proietta, tracciando una linea di tensione, Via Savonarola verso Palazzo Pareschi, di cui non a caso, anzi a motivo di questa unitarietà di visione, decentra il portale. Se la facciata principale si struttura in prima istanza in funzione dell’autonomia dell’opera architettonica, il fianco ne definisce l’eteronomia e diventa il momento privilegiato di raccordo tra l’edificio e la città.

Alle origini della basilica, così come si viene strutturando negli anni tra il 1495 e il 1518, sta proprio una di queste valutazioni di contesto. Ricordiamo che nel 1493 Rossetti ha dato un nuovo volto a Schifanoia, abbattendone la merlatura di Benvenuto degli Ordini e costruendone il cornicione in cotto. Con un atteggiamento, come ricorda Zevi, di «rispetto alla tradizione», Rossetti ne condensa il portato ma lo incanala verso intenti espressivi nuovi. La via pubblica assume così un aspetto moderno a cui con ogni probabilità non riesce a corrispondere, nelle forme, nei volumi e nei valori espressivi, la vecchia chiesetta di Santa Maria in Vado. L’operazione dunque di costruzione di una nuova e imponente basilica, che, per quanto orientata secondo l’asse est-ovest, tenga in conto essenziale anche il fianco settentrionale che si affaccia sulla via e su Palazzo Schifanoia, va letto all’interno di queste più generali considerazioni urbanistiche.

[…]

Nel corso del Quattrocento la Chiesa, abbandonata dai portuensi passa in commenda a diversi beneficiari, tra questi Giovanni Aurispa e più tardi Leonello Trotti, con una breve parentesi di rientro dei portuensi, nel frattempo diventati lateranensi. Su richiesta del duca Ercole I, nel 1473 Trotti la cede ai canonici regolari del Santissimo Salvatore, che la reggeranno fino al 1797, quando, a seguito delle leggi napoleoniche di soppressione degli ordini religiosi, saranno costretti ad abbandonare convento e basilica.
La richiesta di Ercole I si inserisce in una più ampia politica di gestione e di occupazione degli spazi sacri che si connette ad una volontà centralizzatrice, tesa a inserire tra le priorità dell’amministrazione dello stato anche la politica religiosa, e perciò si configura come un primo atto che da lì a poco porterà alla costruzione della nuova basilica, in una tensione culturale e politica volta a pianificare urbanismo, mecenatismo artistico, pietà religiosa e dominio politico.

LA COSTRUZIONE DELLA NUOVA BASILICA
Già negli anni ’80 Ercole I comincia a concedere esenzioni ai canonici di Santa Maria in Vado «pro fabricanda ecclesia», mostrando come l’erezione della basilica sia progetto costruito nel tempo con lungimiranza e consapevolezza. È ragionevole ritenere che la fabbrica vera e propria cominci intorno alla metà degli anni ’90 del XV secolo. Secondo il Caleffini i lavori sarebbero cominciati il 15 marzo del 1494.

[…]

ALTRE VICENDE COSTRUTTIVE

Tra il 1498 e il 1499 i lavori procedono, come riporta la Cronaca di autori incerti, che descrive a chiusura dell’anno 1498 il lavoro intenso in più posti in città: «In questo tempo se lavorava circa lo vescovado de Ferrara e la giesia de Sancto Francesco, di Sancto Andrea, di Sancto Spirito, di Sancta Maria del Vado, di Sancto Benedetto et di Sancto Bartolomeo, et circa fare molti palatii et case in Terranuova»25. Ferrara è un immenso cantiere, il fervore costruttivo di quegli anni è chiaramente leggibile in queste righe. Poche pagine più avanti il cronista ribadisce l’alacrità dell’impegno: «In le giesie di Sancto Francesco, Santo Andrea, Sancta Maria del Vado, Sancto Spirito et altre giesie tutavia se lavora a furia per renovarle». Il 1500 è Anno Santo e la chiesa è designata in diocesi tra le basiliche giubilari. Si tratta verosimilmente della chiesetta originaria non ancora demolita ed aperta al culto.

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Redazione di Periscopio

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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