Ebrei italiani e sionismo:
tutto ebbe origine nella Ferrara ebraica
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La giornata di studi che si è svolta domenica 11 nella Sala dei Comuni del Castello Estense, organizzata dal Meis- Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, è stata dedicata a “Gli ebrei italiani e il sionismo tra ricerca storica e testimonianze”.
Perché un convegno sul sionismo a Ferrara? Perché un convegno sugli ebrei italiani e il sionismo?
Alla prima domanda ha risposto la testimonianza di Gabriela Padovano, arrivata da Israele: suo nonno, Felice Ravenna, fondò a Ferrara nel 1901 la Federazione Sionistica Italiana, ne fu il primo presidente e la diresse per un ventennio. Ma soprattutto accolse nella propria casa di via Voltapaletto Theodor Herzl quando nel 1904 venne in Italia per incontrare il re Vittorio Emanuele III e Papa Pio X. L’avvocato ferrarese, allora trentacinquenne, accompagnò il fondatore del movimento anche nei suoi appuntamenti romani e in seguito continuò a collaborare con lui, aiutandolo nella stesura del suo ultimo memoriale prima della morte.
Felice era l’ultimo di “tre generazioni di avvocati, tutti laureati in giurisprudenza qui all’Università di Ferrara”: prima di lui, il padre Leone (1837-1920) e il nonno Salomone (1804-1895). Cresciuto in una famiglia ortodossa e lui stesso “ebreo fin nel più profondo”, era allo stesso tempo molto aperto, ben contento che i figli avessero amici di ogni fede.
Gabriela dà voce ai ricordi della zia, quasi omonima, Gabriella Falco: “nostro padre voleva che avessimo una coscienza e una dignità ebraica, da sventolare al sole come una bandiera”. Lei e i suoi tre fratelli hanno “respirato il sionismo dalla loro nascita”.
Gabriella era solo una bambina, nel 1904 aveva sette anni, ma ha sempre ricordato “la voce un po’ gutturale di Herzl” e i suoi giorni nella casa di famiglia come “uno degli avvenimenti più grandi della mia infanzia”. La visita di Herzl in casa Ravenna diventò un evento centrale nella vita famigliare, anche negli anni seguenti, tanto che la moglie dell’avvocato, quando Gabriella le confessò di non aver mai parlato ai propri compagni del suo papà, che aveva ospitato a casa loro quel personaggio così importante e lo aveva accompagnato dal re e dal papa, si arrabbiò con la figlia. Inoltre “sotto al quadro con la sua firma, che Herzl ci aveva donato, si accendevano le luci di Hannukkah”.
Alla fine della sua testimonianza Gabriela, un po’ commossa, ha concluso: “il sionismo di mio nonno ha fatto sì che io nascessi a Tel Aviv, nella Palestina che poi è diventata Israele. Sono grata e orgogliosa della scelta sua e dei miei genitori”.
Alla seconda domanda hanno invece pensato gli storici di professione: Alberto Cavaglion, dell’Università di Firenze, e Simonetta Della Seta, attuale direttore del Meis.
Cavaglion ha subito chiarito che la risposta del re Vittorio Emanuele III a Herzl e all’avvocato Ravenna, in quell’incontro romano del 1904, fu che “gli ebrei italiani appartengono come tutti i loro compatrioti alla nazione italiana e non si differenziano da essi se non per il culto che professano”. In un contesto di forte fermento nazionalista, in cui certamente non era dato di avere identità plurime, come invece è possibile – almeno per ora – nel nostro secolo, il problema principale per gli ebrei italiani sionisti era conciliare “l’appartenenza nazionale italiana” e “l’aspirazione alla nascita di uno stato ebraico”. Secondo Cavaglion, essi furono insomma “chiamati a una scelta” e “la controversa storia del rapporto fra sionismo e fascismo ha le sue radici proprio in questo dibattito dei primi del Novecento, ancora prima della Grande Guerra”. Fra le caratteristiche principali di questa prima fase del movimento sionista in Italia, a parere del professore di Firenze, c’è il configurarsi come “movimento politico umanitario” in favore di un rifugio in terra d’Israele per gli ebrei perseguitati di altri paesi, spesso vicino “ai partiti democratici pacifisti”. Inoltre, “la dicotomia fra un sionismo istituzionale, ‘dell’establishment’, di quei giovani professionisti di Ancona, Venezia, Modena, Ferrara, che proprio qui daranno vita alla Federazione Sionista e al primo giornale del movimento in Italia, e a fianco un filone sotterraneo militante, anonimo, potremo definirlo quasi anarchico” che, allo scatenarsi della prima guerra mondiale, si schiererà “con l’interventismo democratico in solidarietà con i popoli oppressi dallo zar”.
Anche Simonetta Della Seta ha sottolineato questa natura di “movimento filantropico” fondato da “ebrei ‘liberi e felici’ sul suolo italiano”: “il sionismo politico di cui stiamo parlando oggi è il desiderio di appartenenza nazionale, di plasmare la propria realtà con le proprie mani che è comune a tutte le popolazioni di fine Ottocento”. Tutto cambiò con l’ebraismo integrale del fiorentino Alfonso Pacifici, allievo del rabbino galiziano Margulies: nel 1907 arrivò a maturare l’idea che “per essere ebrei dobbiamo coniugare tre componenti: Torah, popolo, terra”, ha spiegato Della Seta. Questo fermento fiorentino “suscitò fastidio e preoccupazione nella Federazione” e nel 1920 si arrivò allo scontro aperto, scatenato dall’arrivo in Italia di Chaim Weizmann, colui che era riuscito a ottenere dal governo britannico la Dichiarazione Balfour a favore dell’insediamento ebraico in Palestina e futuro primo presidente di Israele. Fu di nuovo l’avvocato Felice Ravenna a invitarlo a Ferrara per ospitarlo nella propria casa durante la sua permanenza in Italia, ma “Pacifici lo invitò a Firenze”, per avere così quello che oggi si chiamerebbe un ‘endorsement’ a favore della sua visione integrale di Sionismo. E fu proprio così che andò.
Nel novembre 1924, quando si tenne il quarto convegno giovanile del movimento sionista, era ad alcuni già chiaro che gli ebrei non sarebbero più stati “liberi e felici” nell’Italia fascista. Quale risposta dare, come ebrei italiani, a ciò che stava succedendo in Italia e in Europa? A quel convegno tre giovani offrirono tre risposte diversissime fra loro: Nello Rosselli propose “l’antifascismo”, Alfonso Pacifici ribadì la via dell’“ebraismo integrale”, mentre Enzo Sereni – fratello del comunista Emilio – “fece un discorso completamente nuovo”, come ha detto Della Seta domenica. Figlio di una famiglia dell’alta borghesia ebraica romana – il padre Samuele è stato medico del pontefice – Sereni, scrive lo storico Mario Toscano, si fece promotore di un “sionismo socialista”: non erano sufficienti l’antifascismo o il rispetto della Torah, bisognava emigrare in Palestina e rafforzare il focolare nazionale ebraico attraverso il lavoro manuale. “Lui e sua moglie nel 1927 furono i primi ebrei italiani a emigrare in Israele”, ha sottolineato il direttore del Meis, dove fu fra i fondatori del kibbutz Givat Brenner. Ciononostante tornò poi in Italia per aiutare i suoi connazionali, italiani ed ebrei, nella lotta contro il nazifascismo: nel 1943 si fece paracadutare in Toscana oltre le linee nemiche, fu catturato dai tedeschi e deportato a Dachau, dove morì.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale e la Guerra d’indipendenza del 1948 si è aperto un nuovo capitolo, lo Stato d’Israele è diventato una realtà. Una realtà, come ha affermato Corrado Israel De Benedetti (leggi qui la sua intervista), non sempre corrispondente a quel sogno coltivato dalla fine dell’Ottocento dagli ebrei italiani sionisti come Felice Ravenna: una sorta di Risorgimento ebraico per creare un rifugio per gli ebrei perseguitati. Appuntamento al prossimo Convegno per approfondire questo nuovo capitolo.
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