Ovvero: Il declino della civiltà occidentale è legata alla crisi identitaria dell’uomo bianco
Era il 2004. Le immagini dei prigionieri di Abu Ghraib fecero il giro del mondo, furono pubblicate su tutti i quotidiani, furono le prime notizie dei TG e provocarono lo sdegno collettivo. L’immagine simbolo delle torture fu quella di un uomo costretto a rimanere in piedi su una scatola, con le braccia aperte e dei fili collegati alle dita. Come quasi tutti i prigionieri nelle altre foto, ha il volto coperto da un cappuccio.
È di due anni fa il video clip di una canzone, “Strega”, di un rapper nel quale si mostrano scene di violenza accompagnate da un testo che non è da meno . E’ una canzone che de-canta un femminicidio: al 47° secondo si vede una donna incappucciata – un cappuccio che ricorda molto quello di Abu Ghraib – seduta su una sedia in un garage, legata mani e piedi. Il cantante mascherato, ai suoi piedi le urla (canta?) la sua rabbia, dice che l’ha uccisa e che con il cappuccio si è fatto la maschera. Questo rapper calcherà le scene dell’Ariston, scelto dalla direzione artistica di Sanremo per gareggiare nella celebre kermesse. Pare che i direttori artistici lo abbiano scelto per la sua canzone contro i populismi, come se cantare ‘contro’ sia di per sé eroico.
Questo cantante, che si è mostrato per la maggior parte delle sue esibizioni con una maschera antigas, altro non è che l’immagine di un uomo bianco, spaventato, pavido, fragile, in piena sintonia con molti uomini afflitti dall’ansia di perdere la loro mascolinità. Lascia basite l’asservimento di altri maschi bianchi che, per non rimanere nell’ombra, accettano con sufficienza tutto questo . Non stupiscono dunque le parole di Amadeus, con cui strumentalizza le donne, le oggettifica, a suo dire “begli abat jour”, tutte dedite a dare luce a chi gli è accanto.
Ma le donne hanno elaborato un pensiero, oggi sono in grado di vedere molto bene la crisi di identità che li attanaglia e non hanno più intenzione di correre in loro soccorso, anche perché soccorrerli significa correre verso l’autodistruzione. Sta ormai emergendo sempre di più che lo sguardo predatorio dell’uomo bianco, uno sguardo che la nostra società ha assunto nei confronti delle natura, attraverso un capitalismo industriale ed estrattivo cinico e senza scrupoli, oggi appare il responsabile della apocalisse ambientale che ci troviamo a fronteggiare. Il mondo occidentale che tutti siamo stati abituati a chiamare orgogliosamente primo (il Primo Mondo) oggi si mostra per quello che è, incivile e retrogrado.
Roberta Trucco
Caro lettore
Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.
Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta. Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .
Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line, le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.
Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.
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