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Da BIRMINGHAM – Il passare del tempo non si smentisce mai e rapido, anche quest’anno, tra uno scroscio di pioggia e l’altro, a Birmingham è arrivato il Summer term: peculiarità dell’Università, infatti, è che gli esami siano concentrati nel mese di maggio. A sostegno degli studenti in questo periodo di revision, la Main Library del Campus è ormai da un mese aperta 24 ore su 24 per venire incontro alle esigenze più bizzarre, notturne, diurne o festive che siano. I ragazzi paiono apprezzare, trascorrendo letteralmente giornate intere studiando tra scaffali, computer e vicini più o meno apprezzabili. L’affluenza si mantiene costantemente alta e la tensione per gli esami in vista (questa annebbiata per i più sfortunati anche da quattro o cinque in una settimana) si fa sentire, anche con singhiozzi disperati per i corridoi. Certo, può risultare stressante, ma non è un’impresa eroica… In Italia lo sarebbe?
“Non puoi sapere tutto!” è il tipico commento degli studenti inglesi avviati al sistema; difatti, uno dei punti chiave della preparazione di un buon esame d’Oltremanica non è lo studio, matto e disperatissimo, di tutto lo scibile, come tipicamente avviene nel Belpaese, bensì la tattica statistica: avendo domande aperte tra cui scegliere, nella maggior parte dei casi, si può calcolare la mole di studio da affrontare e gli argomenti da studiare in vista dell’obiettivo che si vuole raggiungere. Strategia a cui non è concessa una seconda chance per rimediare, se non per risostenere un failed exam in agosto, superandolo con il voto minimo; insomma, si rischiano anche disfatte napoleoniche, non solamente vittorie. I professori, però, sono consapevoli della situazione e si dimostrano più transigenti e tolleranti nel giudicare le risposte date in sede d’esame. Certamente un approccio simile non è l’emblema dello studente perfetto, ma è da biasimare? È meglio applicarsi e snocciolare nozioni non avendo mai sentito parlare di una lettera di presentazione o non avendo svolto attività parallele? Nel Regno Unito è normale che alla fine del primo anno gli studenti trovino già uno stage da svolgere, così da acquisire familiarità e confidenza imparando sul campo. Nessuno pretende esperienza. Per la stessa posizione aperta per un tirocinio in una multinazionale, il requisito inglese recitava “Bachelor”, quello italiano, in aggiunta a innumerevoli altri requisiti, “Laurea specialistica”; stessa azienda, stesso ruolo, diversa latitudine. Inoltre, anche le attività extracurriculari hanno un notevole peso all’interno del curriculum, dove le competenze di team-working e leadership acquisite danno lustro a chiunque, dimostrando proattività e voglia di fare.
Forse l’impostazione del sistema universitario inglese, concepito come un ambiente più orientato al mondo del lavoro, non considera la laurea come uno strumento fine a se stesso, come a volte sembra durante il percorso universitario in Italia, dove manca la visione sul lungo periodo: il voto è lo scopo, non un mezzo. Tant’è che il numero di fuoricorso in Italia è altissimo, come hanno dimostrato recenti sondaggi, mentre in Inghilterra il fenomeno è pressoché inesistente. Sarà colpa della situazione politico-economica in cui siamo impelagati da troppo tempo? Sarà questione di produttività ed efficienza lasciti di Margaret Thatcher? Come sempre, la verità giace nel mezzo, a patto che di verità si possa parlare. Il Regno Unito ha molti problemi al suo interno, dalla scalpitante Scozia agli eccessivi investimenti su Londra noncuranti delle ex città industriali, rimane, però, un Paese capace di offrire soddisfazioni a chi è meritevole, locale o straniero che sia. Magari è questo ciò che manca in Italia, lo stimolo per fare meglio, il fervore che si respira su quest’isola, dove tutto è in continuo movimento ed evoluzione, dove la quasi totalità degli studenti all’inizio del terzo anno ha già un contratto in mano.
Come sconsigliare, quindi, a un giovane italiano di partire e lasciarsi alle spalle un Parlamento che discute di come tagliare le spese risparmiando sul conio dei centesimi, quando mancano concrete misure di rilancio e spinta dell’economia? Ritengo sia inutile tagliare se mancano i presupposti per ripartire. Rimanere, o tornare, pertanto, significa essere sciocchi? Probabilmente è più corretto definirlo come una sorta idealismo che confida nel riconoscimento del merito, supportato dall’auspicio di un miglioramento generale delle condizioni; resta il fatto che tutto dipende da cosa vogliamo e cosa siamo disposti a perdere. È anche vero, però, come sottolineava Orson Welles, che “in Italia sotto i Borgia, per trent’anni, hanno avuto assassini, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù”.

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Ajla Vasiljevic


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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