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MW: Ciao Emanuele, cosa stai leggendo di bello ultimamente?
E: Ciao Mister Writer! In questo periodo più che leggere direi che sto studiando.

MW: Puoi spiegarci meglio?
E: Se voglio svagarmi, guardo un film. I libri sono un’altra cosa. Questa differenza credo che dipenda dalla loro natura: una visiva, l’altra verbale. Le parole riverberano, hanno una vita e un modo di riprodursi, di radicarsi e ramificarsi tale per cui sento la necessità di essere attento, prudente nella scelta di cosa, quando e quanto leggere.

MW: Riavvolgiamo allora un attimo, se sei d’accordo. Ci dici che film hai visto di recente?

E: Certo. Come diceva Roberto Bolaño, una persona è più facile che abbia piacere di parlare della seconda cosa che gli sta a cuore, nel mio caso del cinema, piuttosto che della prima, nel mio caso della letteratura 🙂
Proprio ieri sera ho iniziato Elephant di Gus Van Sant. Mi piacerebbe parlarne con un appassionato di fotografia, perché le inquadrature hanno una grana e dei colori così belli che vorrei conoscere il vocabolario tecnico per descriverle, e invece rimango solo meravigliato.
Prima di tornare a Ferrara, avevo riguardato un vecchio film di Kubrick che avevo visto anni fa, quando ero ancora al liceo, The killing, o nella traduzione italiana, Rapina a mano armata.
Prima ancora avevo tentato un approccio a Karate kid, che però è fallito.

MW: Sono film molto diversi fra loro. L’unica cosa che li accomuna è di essere americani.
E: In effetti, sì. E pensa che io cerco anche di starci attento.
Il magnetismo statunitense è così potente che secondo me dovremmo sforzarci tutti quanti di guardare e leggere cose che vengono da altri posti. Non ho niente contro quella nazione, ma dovremmo prendere consapevolezza della quantità di roba che proviene da quel paese rispetto al resto del mondo.

MW: Di non statunitense hai qualcosa da consigliarci?
E: Due esempi su tutti potrebbero essere Aparajito, un film indiano degli anni ’50 che vinse il Leone d’oro, e The woman who left, un film del regista filippino Lav Diaz, che ha vinto sempre a Venezia, ma molto più di recente.
Sono delle pazzie… film a tratti inguardabili per un occhio abituato alle velocità dei film di oggi. Ma mi sforzo di guardare anche roba così, per generare un po’ di caos al mio algoritmo interno.

MW: Anche coi libri presti attenzione alla provenienza dell’opera?
E: Sì, certamente rimane una questione principale per me. Ma coi libri è più facile.

MW: Ci sono più scrittori e opere classiche provenienti da altre parti del mondo, intendi?
E: Esatto. Non che nel cinema questo non sia accaduto. Ma la differenza fra letteratura e cinema sta anche nella reperibilità delle opere.
In una qualsiasi libreria posso trovare tranquillamente le opere di Dostoevskij, Goethe, Sofocle, Cervantes, Hamsun e I Ching. Sulle piattaforme di streaming, legali o illegali che siano, difficilmente riuscirei invece a trovare i film di Fritz Lang, Bergman, Kaurismaki, Chris Marker e Kurosawa. Eppure sono dei classici e dei maestri tanto quanto gli scrittori che ho citato.
In altre parole, il motivo del monopolio dei film americani è, per gran parte, una conseguenza della diffusione e della facilità con cui è possibile reperirli.
Mentre in letteratura gli scrittori-minori-non-americani, quasi sempre, puoi trovarli in biblioteca.

MW: Il tuo discorso è molto interessante. In altre parole, stai comparando il cinema e la letteratura in termini di reperibilità.
Tu dici: nel cinema i registi davvero sofisticati non finiscono nelle grandi sale, né sulle piattaforme di streaming. Bisogna cercarli nelle sale di super-essai, oppure nei festival in cui vengono presentati. Un esempio potrebbe essere il cinema di Hou Hsiao-hsien, che è un maestro dell’epoca contemporanea ma è molto difficile riuscire a vedere un suo film in Italia.
In letteratura, invece, anche gli autori molto antichi, come i tragici greci, o i mistici orientali, sono acquistabili in librerie normalissime.
Trovare un dvd dei fratelli Lumière non sarebbe altrettanto comune.

E: Le case editrici indubbiamente riescono a garantire una eterogeneità culturale a cui Netflix, Prime o Disney non sembrano interessati e che i cinema non si possono permettere.
Oltre a questo, visto che siamo entrati in argomento, vorrei aggiungere un’altra cosa.
Ognuno di noi va creandosi un proprio immaginario, tanto in letteratura quanto nel cinema. In parte alimentato da quello che effettivamente consumiamo, in parte dai consumi degli autori che ammiriamo.
Per fare qualche esempio, la mia passione per Bolaño mi ha portato a leggere Cortázar, così come partendo da Gaspar Nöe sono arrivato a guardare un film minore di Fellini, Prova d’orchestra, che non avevo mai sentito nominare prima.
Ecco, vorrei sottolineare l’importanza dei nostri autori favoriti per scoprire opere che ancora non conosciamo.
Forse, più che farci guidare dall’algoritmo di Netflix, potremmo ascoltare l’intervista a un regista che ci piace quando siamo a corto di film da vedere. O a uno scrittore, se invece sono finiti i libri sul comodino.

MW: Avevamo cominciato a parlare di cinema quasi per scherzo, collegandoci alla tua riflessione sul fatto che se vuoi svagarti guardi un film, mentre se leggi ti proietti in un’altra dimensione, quella dello studio.
Adesso ho quasi paura a chiederti di tornare al vero tema di questa intervista, la lettura (ride).
E: Hai ragione, ho un po’ paura anche io 🙂
Possiamo sempre parlare delle nostre discoteche preferite…

MW: Che sarebbe?
E: La discoteca che preferisco ultimamente è l’Azimut di Torino.

MW: Sarebbe più difficile rispondere con la stessa sicurezza alla domanda sul tuo libro preferito?
E: Sicuramente. E pensa che una volta invece mi piaceva rispondere a questo genere di quesiti. Tipo: che musica ti piace, i tuoi film preferiti…

MW: Poi hai fatto la Holden
E: Hai capito?! Cinque mila euro all’anno per avere le idee più confuse di prima.
No, dai. Non è colpa della Holden. Più che altro sono cambiato io negli ultimi tre o quattro anni. Per esempio dei libri non mi interessano quasi per niente le trame.
All’inizio della nostra chiacchierata dicevo che i film sono per svagarmi e i libri per studiare. Forse non è del tutto vero. Un altro modo per cercare di inquadrare il mio rapporto con queste due discipline potrebbe essere: i film perché mi appassiono alle storie che raccontano, i libri perché mi danno le parole per descrivermi e delle analogie a cui riferirmi.

MW: Cosa intendi per analogie?
E: Personaggi o anche più in generale delle dinamiche che mi rispecchiano, o che riproducono nel loro ambito qualcosa che ho pensato. Sono degli appoggi concreti grazie ai quali posso dire: “Hai presente X nel libro Y? Ecco io mi sento come lui”.
È un bel vantaggio.

MW: Continua, per favore.

E: Sai, Calvino diceva che leggere letteratura specialistica lo dotava di uno strumento per esprimersi: un vocabolario di parole tecniche e teoriche.
In origine, quelle parole descrivevano soltanto un campo specifico del sapere, la fisiologia mettiamo. Passando da un manuale scientifico alla mente di Calvino, però, si trasformavano. Diventavano degli utensili per parlare delle sue esperienze.
In altri termini, quelle parole e quei concetti creavano una corrispondenza fra un ambito scientifico X e un’esperienza personale Y. Questo gli permetteva di dare un nome a cose che prima non sapeva come chiamare.

Il mio rapporto con la lettura ha molto a che fare con questo.

MW: Interessante.
Correggimi se sbaglio. Raccontare il metodo di Calvino è già un esempio di quello che intendi quando dici che per te leggere ha a che fare con l’imparare delle parole per spiegarti meglio, no? Se non avessi scoperto che anche lui faceva così, forse, non avresti saputo come descrivere il tuo rapporto con la lettura.

E: Assolutamente sì, hai colto il punto.
Con l’unica differenza che Calvino parla di libri teorici, quindi testi e letterature specialistiche. Mentre per me ogni libro è valido. Il comportamento del principe Myskin può essere utile per spiegare una parte del mio carattere quanto le regole delle scale musicali per rappresentare dei miei meccanismi mentali.
Quasi in ogni testo che mi capita di leggere colgo delle corrispondenze essenziali fra me e loro.

MW: Sembra bellissimo.
E: Da una parte è meraviglioso. Dall’altra mi sono accorto che, come dicevo all’inizio, non è un fenomeno che posso prendere alla leggera, come se non cambiasse nulla.
Voglio dire, ho dovuto ripensare ai momenti della giornata da dedicare alla lettura, che non possono essere troppo lunghi, per esempio, perché la mia mente ha bisogno di tempi di digestione. E perché non voglio essere profondo in tutte le ore.

MW: Questo genere di lettura sembra richiedere delle dosi massicce di metodo, disciplina, auto-controllo, ascolto di sé…
Non il tipo di qualità che siamo abituati ad associare alla lettura.
E: Hai ragione. Per questo motivo è difficile spiegare agli amici il mio modo di leggere e perché lo faccio.

MW: Loro cosa ne pensano?
E: Direi che non ne pensano quasi niente. La lettura non è, in realtà, un argomento di conversazione. Quando sono con gli amici preferisco parlare d’altro. Ma quelle volte in cui è venuto fuori il tema si creava uno scarto fra ciò che la lettura è per loro, e ciò che invece la lettura è per me.

MW: Immagino che per loro avesse a che fare più che altro con il piacere.
E: Di solito è così.

MW: Abbiamo parlato di cose belle, intime e profonde. Ti ringrazio molto per la disponibilità che hai dimostrato.
Adesso che ci avviamo verso la conclusione di questa intervista, vorrei domandarti un’ultima cosa. Hai detto che i libri ti aiutano a trovare le parole che ti servono per esprimerti. Ami i film, invece, per via della storia che raccontano e per la bellezza delle loro immagini.
A questo punto, sembrerebbe non esserci spazio per l’empatia nel tuo modo di consumare l’arte. È così o, invece, ha una rilevanza?

E: Me lo sono chiesto spesso anche io!
E la risposta che mi sono dato è: no. Molto poca, davvero. Ricordo, infatti, che guardando i film con mia madre lei rimaneva sbalordita dalla mia freddezza di fronte a storie paurose, drammatiche, tragiche…
Ma non è del tutto vero che nelle cose che guardo da consumatore sono soltanto freddo.
Esiste infatti un’eccezione: lo sport. Tifare, secondo me, rappresenta il momento di empatia per eccellenza.
Ho tifato a squarciagola per mille squadre e personaggi. Di solito minori. Bruno Senna in Formula 1, i Charlotte Bobcats in NBA, Bernard Tomic nel tennis, la Spal nel calcio.

MW: Che tipo di tifoso sei, allora? Cosa succede quando invece di studiare diventi un ragazzo a cui batte forte il cuore?
E: Ma stiamo parlando di sport o delle mie relazioni sentimentali?

MW: Non mi sarei azzardato a tanto!
E: Per fortuna, forse non me la sarei sentita di rispondere!
A parte gli scherzi, ho capito cosa intendi.

Quando mi trasformo in un tifoso riesco a capire cosa provano le persone che amano le serie televisive. Perché immedesimarmi in un giocatore o in una squadra significa avere a cuore le sorti della sua stagione e della sua carriera. Il punto smette di essere la qualità della singola partita, ma il successo a cui può ambire o la salvezza per cui deve lottare. In poche parole: ci attacchiamo con i denti e con le unghie allo svolgimento della “trama”.
Nelle serie televisive è così. I singoli episodi non sono pezzi d’arte, non è quella la ragione per cui la gente aspetta tutta la settimana il nuovo episodio.
Ci sono delle emozioni in ballo. Che tu sia un tifoso di sport o un fan di serie tv, vuoi sapere cosa succederà la settimana dopo, e quella dopo ancora, e speri che i tuoi beniamini vadano in paradiso, mentre che i tuoi nemici brucino all’inferno.

MW: Ricapitolando: i libri per le analogie, i film per la storia e per le immagini, mentre lo sport per l’empatia. Tutto giusto?
E: Confermo.

MW: E allora verrà messo a verbale!
Emanuele, ti ringrazio ancora una volta per la tua disponibilità.
E: Grazie a te, Mister Writer.

MW: Sei sempre il benvenuto su queste pagine. Ci risentiamo prestissimo, quando ormai ti sarai stabilito sull’isoletta di Strynø. Siamo tutti molto curiosi di ascoltare i tuoi racconti da lassù e assolutamente certi che sarà una grande esperienza.
E: Lo credo anche io! Grazie a voi e un abbraccio.

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Emanuele Gessi

Cresciuto a Ferrara, ha vissuto a Torino per fare l’università, poi ha trascorso un periodo in Danimarca per lavoro e volontariato.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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