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A volte basta una chitarra e un buon giro di accordi per fare centro. Se poi ti chiami Paul Weller e ci infili pure un andamento cadenzato e quasi ipnotico, il risultato non può che essere un instant classic del pop d’autore britannico.

I 3 minuti e 27 secondi di Wild Wood (1993) hanno ispirato un sacco di connazionali dello stesso Weller (Stereophonics, Oasis e Richard Ashcroft su tutti), dando maggiore respiro alle sonorità perlopiù elettriche dell’allora neonato Britpop. D’altronde, è difficile non subire il fascino di una ballata folk che sembra uscita da Harvest di Neil Young.

Il cantato è a tratti languido e mellifluo, a tratti rauco e dirompente, ed esprime senza troppi giri di parole una riflessione da vecchio saggio che potremmo riassumere così: “prendi una direzione chiara e decisa nella vita, sii deciso, fidati delle tue capacità, continua a provarci e vedrai che troverai un modo per uscire da questa giungla”.

L’album omonimo è uno dei più eleganti e raffinati dell’immenso catalogo di Paul Weller, che all’inizio degli anni ’90 intraprese una carriera solista a metà strada tra il punk-rock degli esordi e il soul-pop degli Style Council. Dentro Wild Wood ci sono almeno altri due brani acustici di rara bellezza (All The Pictures On The Wall e Foot Of The Mountain) che alimentano quell’atmosfera rilassata e ammaliante introdotta dalla suddetta title track. Un’atmosfera che ha lo stesso effetto di una carezza o di un bacio gentile in un pomeriggio soleggiato al parco.

Perché sì, in fin dei conti Wild Wood è un disco dal sapore bucolico: dalla copertina al video, passando per gli arrangiamenti. Sedici tracce che sono in controtendenza con tutto ciò che stava accadendo, o stava per accadere, nell’industria musicale del 1993.

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Paolo Moneti

Sono un pendolare incallito a cui piacciono un sacco le lingue straniere e i dialetti italiani. Tra un viaggio e l’altro passo il mio tempo a insegnare, a scrivere articoli e a parlare davanti a un microfono. Attualmente collaboro con Eleven Sports, Accordi & Spartiti, Periscopio e Web Radio Giardino.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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